Santuario di Santa Maria di Mongiovino – Mongiovino di Panicale (PG)

E’ uno dei più bei Santuari mariani dell’Umbria, presenta al suo interno la più importante decorazione ad affresco del secondo Cinquecento esistente nella regione, ha un’iconostasi di foggia orientale con capitelli ionici inspiegabilmente rovesciati (rivolti in alto).

 

Cenni Storici

Il santuario di Santa Maria di Mongiovino sorge sul declivio ai piedi del castello di Mongiovino, celebre per la battaglia combattuta nel secolo XVII tra l’esercito pontificio e quello del Granducato di Toscana.
All’inizio si chiamò Madonna di S. Martino, perché situata nella villa omonima, appartenente al territorio di Mongiovino, ma dal 1536 nei registri dell’archivio del Santuario appare sempre con l’attuale denominazione.
L’immagine dipinta in una piccola Cappelletta a foggia di quelle che noi sogliamo chiamare Maestà vicino ad un Pozzo, o Fonte in cui le Donne di San Martino andavano ad attingere l’acqua.
Per lungo tempo rimase abbandonata e seminascosta fino alle apparizioni della Vergine alla pastorella Andreana ed ai primi eventi miracolosi.
E’ un tipico Santuario mariano, che si colloca sulla scia di un fenomeno di devozione destinato ad una vasta fortuna nell’Europa cristiana nei secoli finali del medioevo, quando furono costruiti numerosi edifici sacri per commemorare una visione della Vergine o il ritrovamento miracoloso di un’immagine sacra.
Nei castelli intorno al lago Trasimeno è possibile ancor oggi visitare I numerosi santuari rinascimentali costruiti a protezione di dipinti più antichi.
L’episodio che dette inizio alla devozione mariana di Mongiovino avvenne ad una data imprecisata intorno al 1500.
Il 4 giugno 1513 il vescovo di Chiusi concedette agli abitanti del castello lo juspatronato di un oratorio che si stava costruendo in onore di una Maestà miracolosa, nonché l’amministrazione delle offerte che erano lasciate da “una moltitudine incredibile ed ammirevole di gente si reca qui in devoto pellegrinaggio”.
Cinque mesi dopo papa Leone X Medici intervenne in favore degli strepitosi prodigi che vi avvenivano.
Nel giro di pochi anni questo primo edificio si rivelò insufficiente per accogliere il numero crescente di pellegrini, e nel 1524 si dette inizio alla costruzione di una chiesa monumentale.
Una voce tradizionale ne indicava l’autore in Donato Bramante da Urbino, ma una serie di pagamenti registrati negli anni 1525-26 ha restituito la paternità del progetto a Rocco da Vicenza, un architetto e lapicida vicentino che era già da alcuni, anni attivo in Umbria e che le dette l’aspetto di un massiccio blocco quadrato con un’abside sporgente, sormontato da una cupola centrale e con quattro facciate completate da timpani orizzontali con rosoni.
Nel giro di pochi anni fu portata a termine la costruzione.
La data 1525 si legge nella decorazione scultorea della cappella della Madonna, mentre da documenti risulta che la cupola era già ultimata e imbiancata nel 1528.
Nel 1533 i due ingressi simmetrici che si aprono sul lato nord e sud furono decorati da sculture di lapicidi veneti e toscani.
Gli affreschi nelle lunette sono del perugino Orsino di Antonio Carota (1578).
 

La Sacra Immagine

L’immagine miracolosa che ha dato inizio alla costruzione del santuario di Mongiovino dipinta da un ignoto pittore umbro del XIV secolo, probabilmente perugino, e raffigurante la Madonna col Bambino in trono tra quattro angeli, è conservata in un altare isolato in forma di tempietto posto al centro della cappella della Madonna.
Nel 1525 Rocco da Vicenza portò a termine la costruzione della cappella, data che si legge sulle candelabre di un pilastro.
Della stessa epoca è l’altare in pietra, compresa la figura dell’Eterno dipinta nella lunetta sopra la Maestà.
 

La Leggenda

La leggenda di fondazione narra di una pastorella di nome Andreana, che sentì una voce uscire da un’edicola posta ad un trivio di strade nei pressi di una fonte.
La Madonna la pregava di dire agli abitanti del vicino castello di Mongiovino di ripulire l’edicola dai rovi e di restituirla alla venerazione.
La giovane non fu creduta, benché avesse a lungo insistito nella richiesta.
Un giorno, mentre si recava a prendere acqua alla fonte, la Vergine le ordinò di tornare al castello portando sulla testa una brocca piena con l’apertura rivolta verso il basso senza che ne cadesse una goccia.
Di fronte all’evidenza del miracolo, la popolazione di Mongiovino si recò all’edicola e la liberò dai rovi e dalle pietre.
I miracoli che seguirono furono raffigurati da Giovan Battista Lombardelli (1587) alle pareti del coro retrostante l’altare.
Il primo episodio racconta di una donna in occasione di un doloroso parto, fece voto di coprire con un velo questa S. Effigie, ma nonostante il velo fosse stato più volte tolto dal Piovano per custodirlo nella chiesa di San Martino, fu ritrovato sempre al medesimo posto tanto che, sia il Pievano che gli abitanti di Mongiovino, dovettero credere che quello fosse il volere di Dio.
Il secondo episodio racconta quando il pievano ordinò ai suoi parrocchiani di pulire intorno all’edicola e di digiunare tre giorni a pane e acqua.
Il terzo episodio raffigura gli uomini di Mongiovino impegnati a tagliare i rovi e a portare via le pietre intorno alla Maestà.
Il quarto episodio datato 23 aprile 1513 ha come protagonista San Giorgio, il quale, vista la misera quantità di pane raccolta da Andreana durante la questua per procurare il pasto ai lavoratori impegnati nel cantiere della chiesa, interviene e fece sì che dal sacco semivuoto della pastorella venisse fuori tanto pane quanto ne occorra per saziare tutti e tanto da avanzarne addirittura un sacco intero.
 

Le Processioni

Notevole era l’afflusso di pellegrini durante la festività e circa 70 processioni sfilavano davanti alla Sacra Immagine entrando ed uscendo dal Santuario portando numerose offerte.
Per questo fu necessario aggiungere dei fabbricati attorno al Santuario per dare ricovero ai pellegrini durante le feste e solennità, in condizioni atmosferiche avverse.
Le processioni si svolgevano per Pasqua, per S. Giorgio o per la Pentecoste e le stesse documentate provenivano dalle seguenti località:
S. Abundio, Agello, S. Martino in Colle, S. Apollinare, S. Martino, S. Arcangelo, Marcatelo, Bada di S. Cristoforo, Messiano, Badiola, Migliano, Bagnara, Mongiovino, Bagni, Monte Giove, S. Biagio, Monte Leone, Camporsevoli, Montagna di S. Pietro, Carnaiola, Montali, Castel di Fiore, Montalera, Castel del Piano, Monte Gabbione, Castel delle Forme, Monte Petriolo, Castiglion Fosco, Mugnano, Castiglion della Valle, Elmeto, Clbottola, Pacciano, Colle Baldo, Palazzo Bovarino, Colle S. Paolo, Panicarola, Compignano, Parrano, S. Donato, Piegaro, S. Elena, Pieve Caina, S. Enea, Pila, Fabro, Pietrafitta, S. Fatucchio, Poggio Aquilone, S. Faustino, Poggio delle Corti, Fontignano, Pornello, Gaiche, Pozzuolo, Greppolischeto, Sala, lena, Salci, Lerona, Spina, L’Oro, Vaiano, S. Lumeo, Villanova, Macereto, S. Vito, Mandoleto.
 

Aspetto esterno

Il santuario si presenta con una pianta quadrata con croce greca, all’incrocio dei bracci spicca la cupola ottagonale sorretta da quattro pilastri quadrati e da volte.
E’ evidente la profonda simbologia sacrale alla base della concezione di questa chiesa, vero e proprio luogo di pellegrinaggio: l’entrata e l’uscita sono in asse con il centro della cupola e il passaggio materiale attraverso questi elementi architettonici simboleggia quello spirituale di penitenza, purificazione, contemplazione della gloria celeste raffigurata nella cupola.
Ognuna delle facciate esterne è scandita da quattro ordini di lesene giganti e sulla facciata del fronte nord e del fronte sud spiccano due grandi portali riccamente scolpiti, ornati da doppi ordini di colonne e protetti da tetti sporgenti che formano dei pronai.
Molti furono gli scalpellini che decorarono con bassorilievi gli stipiti degli archi dei portali abbellendoli con decorazioni di eccezionale bellezza.
Tra i tanti possiamo ricordare Lorenzo da Carrara e Bernardino da Siena.
Il santuario è tutto realizzato in pietra arenaria proveniente dalla vicina cava della Petraia e da Cibottola.
Bellissime le sculture in terracotta nelle nicchie dell’organo eseguite da Bevignate da Perugia e Arrigo Fiammingo
 

Interno

Il santuario della Madonna di Mongiovino presenta al suo interno la più importante decorazione ad affresco del secondo Cinquecento esistente nella regione, vale a dire il periodo del trionfo di tutto ciò che nell’arte viene comunemente classificato come manierismo, dipinti in gran parte eseguiti da pittori forestieri chiamati dalla Toscana, dalle Marche e dai Paesi Bassi.
Il vano centrale è coperto da una cupola con un alto tamburo che poggia su quattro robusti pilastri; sulla volta è una Incoronazione della Vergine del tifernate Mattia Batini (1709).
Sul lato orientale è l’ingresso alla cappella della Madonna, al cui interno è l’edicola mariana che ha dato origine al santuario.
 

Altare della Sacra Immagine

La decorazione della cappella della Madonna ha impegnato i massari del Santuario nella commissione dei lavori per un arco di tempo che va dal 1567 al 1589. I dipinti raffiguranti le storie della vergine e della nascita del Santuario sono inseriti in una serie di archi a tutto sesto in pietra serena poggianti su un basamento con specchiature rettangolari che ripetono il modello architettonico dell’iconostasi. La combinazione di pittura e di pietra arenaria, finemente scolpita e dorata, raggiunge un risultato di estrema raffinatezza. Il ciclo delle storie di Maria procedendo in senso orario dal lato sinistro raffigura l’annuncio a S. Anna della sua maternità, la nascita di Maria, l’Annunciazione, l’incontro fra Maria e la cugina Elisabetta, la fuga in Egitto, la Dormitio Vlrginis, con il Padre Eterno S. Giovanni e S. Luca in corrispondenza della finestra laterale e l’incoronazione della Vergine.
Le prime tre scene furono dipinte ad olio nel 1567 da un pittore fiammingo Giovanni Wraghe di Anversa, collaboratore di Arrigo Fiammingo, il resto è opera di Nicolò Circignani (detto il Pomarancio) che esegui i dipinti nel 1569 con la tecnica ad olio. Al centro della cappella entro un monumentale altare, strutturato come un tempietto in antis, è contenuto l’affresco trecentesco della Madonna col Bambino (ultimo quarto del XIV sec.) raffigurata come una maestà sulla parete dell’edicola medievale inglobata nell’attuale altare riccamente dorato.
I lavori di decorazione ripresero nel 1587 quando i massari, desiderosi di concluderla, stipularono per l’esecuzione del medesimo lavoro due contratti sia con Arrigo Fiammingo che con Giovan Battista Lombardelli, il quale, spinto dalla richiesta di restituzione dell’anticipo ricevuto nel 1587 da parte dei massari, a dicembre del 1588 inizia la sua opera (atti conservati nell’archivio Vescovile di Città della Pieve e riportati da P.Simonini, tesi di laurea 1985-86).
Egli era già noto per aver dipinto a Perugia gli affreschi (oggi scomparsi) nel chiostro dí S. Domenico nella cappella Danzetta in S. Agostino.
A Mongiovino il Lombardelli con tono narrativo e spigliato dipinge nella zona dell’abside gli episodi legati alla storia del Santuario iniziando con il miracolo del velo, la predicazione del Pievano, la ripulitura dello spazio circostante l’edicola con l’immagine miracolosa, il miracolo della moltiplicazione dei pani avvenuto nel giorno di S. Giorgio.
Al Lombardelli è attribuita anche la Madonna col Bambino dietro l’altare con evidenti influssi barocceschi. La decorazione si estende nel catino absidale diviso in cinque spicchi con i profeti alternati alle sibille e scritte premonitrici della venuta di Maria e di Gesù. Il ciclo pittorico prosegue sulla volta con la gloria della Madonna, il Padre Eterno e lo Spirito Santo contornati da cherubini, serafini ed angeli musicanti e con gli strumenti della passione che richiamano la scena della Crocefissione dipinta nella controfacciata dell’iconostasi.
La Crocefissione fu eseguita da Arrigo Fiammingo con uno stile essenziale e ricco di partecipazione dove anche la tavolozza pittorica esprime la drammaticità dell’evento raffigurato.
 

Iconostasi

La parete di accesso alla cappella della Madonna è concepita come un monumentale arco trionfale a due ordini di cui quello inferiore a tre fornici introduce nella cappella della Madonna, dove in controfacciata fra le grottesche è intagliata la data 1525.
Sulla parte superiore entro tre nicchie sono collocate le statue in terracotta della Trasfigurazione con Gesù al centro fra Mosè ed Elia.
Le sculture furono eseguite nel 1579-80 da Valentino Martelli, noto architetto e scultore perugino a cui si deve probabilmente il progetto della sistemazione decorativa dell’iconostasi con dorature e pitture.
La sacralità del luogo a volte coperta da drappi serici è sottolineata da due putti che sollevano una cortina raccolta lateralmente con intento scenografico opera di un ignoto pittore decoratore di gusto tardo-manierista.
 

Altare della Deposizione

Seguono in ordine l’altare della Deposizione di Hendrick van den Broeck da Malines (Arrigo Fiammingo 1564) in cui è raffigurato il mistero della “Scaviglia” nel momento in cui il Cristo viene calato dalla croce mentre in basso le pie donne si raccolgono attorno a Maria svenuta e sorretta da S. Giovanni.
In primo piano gli emblemi del martirio e la firma Henricus Malinus, il più noto fra i pittori fiamminghi che lavorarono in Umbria nella seconda metà del 500.
L’affresco fu realizzato nel 1564 anno di intensa attività per Arrigo che, nella vicina Perugia, esegue la grande tavola per la cappella Montemelini in S. Francesco al Prato e dipinge nella cappella dei Priori dove restaura le pitture del Bonfigli.
Nella volta è ricordata la storia della Passione di Cristo tramite i vari strumenti sorretti dagli angeli.
Nei pennacchi le figure di S. Martino, S. Ambrogio, S. Giovanni e S. Venanzio.
Gli affreschi sono opera di un ignoto pittore dei primi decenni del 600.
La mostra dell’altare con timpano spezzato decorato al centro con la scena di S. Giorgio che uccide il drago ed ornato da festoni di frutta rivela un gusto pienamente avviato verso il barocco.
 

Altare della Resurrezione

L’altare della Resurrezione di Cristo del Pomarancio (1569) è l’esempio più sfavillante del manierismo, che pur avendo alla spalle i modelli dei grandi maestri Raffaello, Leonardo, Michelangelo, si impone per caratteristiche tutte proprie.
Vittorio Sgarbi accosta la Resurrezione di Pomarancio al Cristo portacroce di Michelangelo e sostiene che il Cristo di questa scultura “sembra risorgere di nuovo” nell’affresco di Mongiovino.
In questa pittura il Circignani esibisce gli artifici del suo stile manierista disponendo in primo piano tre soldati riversi per terra in varie pose e due laterali con andamento contrapposto.
In alto trionfa la figura del Cristo Risorto con ai lati una schiera di angeli adoranti e cherubini.
L’affresco fu eseguito nel 1569 come ricorda la data inserita nella decorazione delle grottesche mentre la firma Nicolaus Florentinus sottolinea la formazione culturale fiorentina del pittore.
Tra il 1564 ed 1565 il Pomarancio partecipa alla decorazione del Duomo di Orvieto e stabilitosi con la famiglia a Città della Pieve diventa uno dei pittori preferiti dalla committenza della potente famiglia dei Della Corgna lavorando assiduamente tra Perugia il Lago Trasimeno e l’Alta Valle del Tevere fino al suo secondo trasferimento a Roma nel 1579 al servizio del Pontefice Gregorio XIII e di vari ordini religiosi.
Sulla volta è raffigurata una serie di angeli disposti a gruppi e S. Carlo Borromeo, convinto sostenitore della Controriforma, canonizzato nel 1610.
Al centro quattro putti alati che si ripetono in coppia sui pennacchi con acrobatiche posizioni.
Fra i quattro altari laterali questo è l’unico che conserva la lamina dorata.
 

Altare dell’Ascensione

Subito dopo troviamo l’Ascensione di Cristo di Hendrick van den Broeck da Malines in cui l’artista fiammingo, che fu anche socio del Pomarancio, dipinge due piedi, anzi due piante dei piedi, così, isolate da tutto il resto: sono le tracce umane lasciate dal Cristo che ora ascende al cielo.
La composizione si articola su due piani: in alto il Cristo ascende al cielo fra quattro angeli; in basso i dodici apostoli sono disposti in due gruppi semicircolari attorno alla Madonna inginocchiata. L’opera e attribuita ad Arrigo Fiammingo che negli anni 1585-86 riceve una serie di pagamenti da parte dei massari del Santuario (Archivio Vescovile di Città della Pieve) per le pitture della cappella dell’Ascensione.
Arrigo utilizza la luce che si irradia dal Cristo e l’articolazione dei gesti degli apostoli per unificare le due scene. A questa organicità di costruzione non corrisponde una accurata esecuzione delle figure degli apostoli che si potrebbe spiegare con la presenza di un “maestro Giovanni suo discipulo” citato dal Bombe nei pagamenti dei massari per questa cappella.
L’Ascensione di Cristo è l’unica opera rimasta fra quelle eseguite dal pittore nel secondo periodo della sua attività nel Santuario di Mongiovino.
Nel 1582-83 aveva eseguito una statua, nel 1585 riceve pagamenti per tre quadri (L.Teza 1998) di cui uno raffigurante la sacra famiglia era ancora conservato all’epoca dello Gnoli (1923).
Da notare la tipologia del Cristo simile a quello del Circignani con cui Arrigo si era unito in società nel 1564.
Sulla volta un ignoto pittore di formazione cortonesca dipinge la caduta degli angeli ribelli in due serie concentriche. La decorazione dei pennacchi con stemmi nobiliari è stata in gran parte rifatta. La mostra dell’altare con il timpano spezzato e medaglione centrale raffigurante l’Annunciazione rivela un gusto pienamente avviato verso il barocco.
 

Altare della Madonna del Rosario

L’altare della Madonna, della Madonna del Rosario fu il primo altare del santuario ad essere dipinto.
Nel 1552 i massari pagarono Orazio di Domenico di Paride Alfani per dipingere sulla parete dell’altare un’immagine preziosa “la pictura del Rosario in horo et argento” (P. Simonini, tesi di laurea 1985-86) che, secondo Rotelli (1864), raffigurava “in distinte lunette i dodici misteri del Rosario intorno all’immagine di Maria“.
Purtroppo l’affresco dell’Alfani fu distrutto nel 1910 quando Antonio Castelletti da Paciano vi dipinse ad olio la Madonna col Bambino che consegna il rosario a S. Domenico ed a S. Caterina mentre in basso un vistoso S. Giorgio indica il drago trafitto.
Sulla cupola fra una schiera di angéli musicanti e cherubini è raffigurata la Trinità mentre sui pennacchi una coppia di putti alati sorregge gli stemmi con i simboli di Dio Padre, di Cristo, dell’Eucarestia ed il monogramma mariano abbinato allo stemma gentilizio dei della Penna. L’opera fu eseguita dallo stesso anonimo pittore della cappella della deposizione.
L’altare con timpano spezzato e medaglione centrale con la colomba dello Spirito Santo è coevo agli altri altari delle cappelle laterali.
Il toscano Silvio Savini ha decorato le due nicchie ai lati dell’organo (1590), una delle quali conserva un gruppo scultoreo con la Crocifissione del perugino Giovanni Andrea Panni (1590).
 

Fonti documentative

Sabrina Caciotto ed Elvio Lunghi – Panicale in Umbria: il castello e il suo territorio – 2009 versione bilingue.

http://lettura.corriere.it/

http://www.riflesso.info/

E. Borgini S. Cambiotti C. Rossetti – La brocca il velo il pane
Cartellonistica in loco

https://books.google.it/

 

Nota di ringraziamento

Voglio sentitamente ringraziare il sig. Valmarini Mauro, custode del Santuario per la sua disponibilità, cortesia e pazienza e che mi ha illustrato con molta professionalità le particolarità architettoniche e decorative della struttura.
 

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