Museo Opificio Rubboli – Gualdo Tadino (PG)
Cenni Storici
Il Museo Rubboli, di proprietà comunale, allestito negli antichi locali ottocenteschi dell’opificio, ospita un’importante collezione di maioliche a lustro Rubboli che vanno dal 1878 agli anni sessanta del Novecento, oltre ad alcune opere significative di altre importanti manifatture ceramiche dello stesso periodo. La sezione Tradizione Contemporanea comprende lavori a lustro progettati da alcuni designer italiani e realizzati dalla Rubboli in occasione della Triennale della Ceramica d’Arte Contemporanea di Gualdo Tadino del 2009, Il percorso museale comprende quattro stanze – che corrispondono alle fasi produttive della manifattura – e il locale delle muffole, antichi forni risalenti al 1884 utilizzati per ottenere, mediante una terza cottura con fumo di ginestra, i lustri oro e rubino. Le muffole della Rubboli sono identiche a quelle illustrate da Cipriano Piccolpasso nel suo celebre trattato Li tre libri dell’arte del vasaio del 1558. Secondo lo studioso inglese Alan Caiger Smith, considerato il principale esperto della tecnica a lustro, “il forno a muffola dei Rubboli, progettato da Paolo Rubboli intorno al 1870, è una versione modificata di quello di Mastrogiorgio da Gubbio. Probabilmente si tratta dell’unico esempio di questo tipo di forno per il lustro rimasto al mondo”.
Paolo Rubboli (1838-1890), Sala della foggiatura
La manifattura Rubboli è totalmente identificabile con la maiolica a lustro oro e rubino di cui introduce la pratica a Gualdo Tadino dall’ottavo decennio del XIX secolo. Paolo Rubboli, il capostipite di questa tradizione, nasce in provincia di Pesaro, a Fiorenzuola di Focara, il 15 dicembre 1838. La sua presenza è documentata a Gualdo Tadino fin dal 1875, essendo già attivo in quegli anni presso l’opificio, voluto dal ricco e colto antiquario piemontese Marcello Galli-Dunn che aveva scelto Gualdo Tadino per produrre Maioliche Artistiche uso Urbino Faenza e Gubbio. La fabbrica trovò la sua sede nei locali dell’ex-convento di San Francesco. Qui nel 1878, conclusa l’esperienza con il Galli-Dunn, Paolo Rubboli impianta un proprio laboratorio, coadiuvato dalla moglie Daria Vecchi. Insieme producono pregiate maioliche a lustro mastrogiorgesco, di tipologia storicista, in linea con un atteggiamento piuttosto diffuso nell’artigianato artistico ottocentesco. Infatti dalla copia di originali rinascimentali si passerà a un’ispirazione più libera, senza però rinunciare al repertorio figurativo e ornamentale dei modelli. Dai locali di San Francesco, nel 1883, l’opificio viene spostato presso l’ex-convento di San Nicolò per poi essere impiantato definitivamente, nelle stanze di questo museo, l’anno seguente. Paolo Rubboli muore qui ITI maggio 1890, un anno dopo la morte del primo figlio ventiquattrenne Alessandro, citato nei documenti come pittore. In questa sezione sono ospitati anche alcuni esemplari di maioliche a lustro prodotte dalla manifattura Ginori, da Cesare Miliani e da Achille Farina. Daria Vecchi Rubboli (1852-1929), Sala della formatura Dopo la morte di Paolo Rubboli, sua moglie Daria, nata a Fabriano il 24 ottobre 1852, assume per circa un trentennio la direzione della ditta Rubboli in un momento in cui il livello di produzione è stabile e la qualità della maiolica a lustro ha raggiunto esiti tecnici considerevoli. Ne è prova la Medaglia d’Oro per la Ceramica Iridata che le venne conferita all’Esposizione Generale Umbra del 1899. Nei manufatti risalenti a questo periodo è possibile rintracciare alcuni caratteri distintivi, come la dominante azzurrina piuttosto diluita del fondo che spesso assume un tono blu intenso nelle tese dei piatti. Nonostante l’intento decorativo risulti centrale e la complessità compositiva evidente, l’effetto generale è quello di un rigore formale e di una sobrietà stilistica di sapore classico che trova ampio riscontro nell’interpretazione pura ed essenziale del primo storicismo. Daria muore il 22 febbraio del 1929 quando già da nove anni la ditta Rubboli era parte della Società Ceramica Umbra, che nei manifesti funebri ne riporta l’epiteto di Maestra del Terzo Fuoco. In questa sezione sono ospitati anche alcuni esempi di maioliche a lustro prodotte da Ulisse Cantagalli, William de Morgan e Galileo Chini.
Società Ceramica Umbra (1920-1931), Sala della fornace
La manifattura Rubboli entra nella Società Ceramica Umbra nel luglio del 1920, quando i figli di Daria, Lorenzo (1884-1943) e Alberto (1888-1975) erano già attivi nella ditta da più di un decennio. Nello stesso anno viene aperta una succursale anche a Gubbio che ebbe breve durata, chiudendo nel 1923. La produzione di questi anni è una delle più originali nel lungo percorso artistico della Rubboli, per il tentativo di emanciparsi stilisticamente dalla tradizione dello storicismo, priva ormai della vitalità e della tensione ideale che aveva assunto nell’Ottocento. La nuova cifra stilistica e il diverso assetto organizzativo si devono, rispettivamente, ad Aldo Ajò come artista e a Giuseppe Baduel come imprenditore, responsabili di un orientamento inedito nella maiolica a lustro che riuscì a espandere sorprendentemente le possibilità decorative ed espressive del terzo fuoco. La manifattura Rubboli esce dalla SCU il 16 maggio del 1931 a causa di una crisi sensibile del settore ceramico che coinvolse molti opifìci italiani nei primi anni trenta. Si chiude così un capitolo breve ma importante per la storia di Rubboli, che continuerà a operare sotto la conduzione dei fratelli Lorenzo e Alberto. In questa sezione è visibile anche un’opera della Salamandra di Perugia attribuita a Davide Fabbri.
I Fratelli Rubboli e i loro eredi, Sala della smaltatura
Dopo la chiusura della Società Ceramica Umbra nel 1931, Lorenzo e Alberto continuano la produzione come ditta Fratelli Rubboli fino al 1934, anche se la divisione legale è del 1936. Nascono perciò le ditte separate Lorenzo Rubboli e Alberto Rubboli che continuano a produrre, sulla scia dell’esperienza della SCU. I manufatti a lustro oro e rubino di questo periodo sono di ottima qualità tecnica, pur rimanendo legati alla tradizione. In qualche tentativo isolato, ma ben riuscito, si riscontra un legame con le nuove tendenze artistiche, con un uso disinvolto e virtuoso della tecnica del lustro. Dopo la morte di Lorenzo nel 1943, saranno le tre figlie Livia, Gina e Ivana a portare avanti la tradizione fino al 1955, anno in cui la ditta Lorenzo Rubboli venne chiusa. Alberto invece continuerà a operare fino al 1975, anno della sua morte, passando il testimone alle figlie Laura e Edda; i loro nipoti proseguiranno fino al 2002. Emblematico, per comprendere l’orientamento stilistico di questi anni, è il Piatto del Centenario, dove Alberto Rubboli scrisse sul verso il motto a lustro rubino Immotus in Motu: fermo nel movimento. La presenza esigua di opere pertinenti ad Alberto Rubboli nella collezione, rispetto al numero più consistente di quelle di Lorenzo, è dovuta al carattere della raccolta creata da Maurizio Tittarelli Rubboli, erede di Lorenzo, attraverso la madre Gina. In questa sezione sono visibili alcune opere realizzate da Alan Caiger-Smith prima della chiusura del suo laboratorio di Aldermaston. La sezione Tradizione Contemporanea comprende lavori a lustro progettati da alcuni designer italiani e realizzati dalla Rubboli in occasione della Triennale della Ceramica d’Arte Contemporanea di Gualdo Tadino del 2009.
Le muffole, Sala del riverbero
Paolo Rubboli ricostruì i forni a muffola per il terzo fuoco nel 1884, quando la manifattura Rubboli si trasferì in questo luogo dopo aver operato negli ex-conventi di San Francesco e San Nicolò. I forni ottocenteschi sono una copia fedele di quelli illustrati da Cipriano Piccolpasso nel suo celebre trattato Li tre libri dell’arte del vasaio del 1558. I forni erano progettati per ottenere i lustri oro e rubino in terza cottura bruciando fascine di ginestra per creare un’atmosfera riducente all’interno del forno. “Le sue legnie siano palli, o vogliam rame di salci, ben seche e sciutte. Con queste si facci tre ore di fuoco; il che fatto, che già la fornace comincierà a mostrare un non so che del chiaro, allora habbiansi ginestre o vogliam spartio, corno reccita Discoride, ben seche e stagionate, e, lassato le salice, facciasegli un ora di fuoco di queste”. (Cipriano Piccolpasso, Li tre libri dell’arte del vasaio, 1558).