Eremo di San Liberato – San Ginesio (MC)
Cenni Storici
San Liberato da Loro Piceno
• «… tutto parea divino!»
• Un altro Mosè
• Il suo nome?
• L’abbiamo scoperto!
L’eremo di Monte Santa Maria, di cui nonconosciamo con esattezza le origini, doveva essere contemporaneo se non preesistente a quello di Soffiano e fu intelligentemente costruito vicino a più sorgenti d’acqua e poco discosto dal sentiero che da Pian di Pieca, attraversando i caseggiati di San Cassiano e di Vallato di San Ginesio, saliva ai prati di Monte Ragnolo, per scendere poi a Bolognola, Visso e nelle vallate del Nera e del Tevere. Dalle popolazioni circostanti il sentiero era conosciuto come la «via di Roma», e a pochi passi dall’eremo si divideva in direzione di Monastero, piccolo gruppo montano di case, creatosi nei pressi dell’abbazia di S. Maria dell’Isola. In questo eremo, come si è visto in precedenza, con intesa dei signori Brunforte, intorno agli anni 1260 furono trasferiti i pii resti dei beati Umile e Liberato. È da questo tempo che ha inizio la storia del nostro Santuario e del Santo fortunato che, quasi eclissando gli altri, gli ha dato il nome, san Liberato. Il capitolo 47° de I Fioretti ha per titolo Di quello santo frate a cui la Madre di Cristo apparve quando era infermo e gli recò tre vasetti di elettuario (2). Del «santo frate» di cui si parla in questo capitolo, frate Ugolino non fa, stranamente, il nome, né indica il casato e il paese natio. Il nome, lo confessa candidamente, lo ha proprio dimenticato: «…del suo nome non me ne ricordo più», scrive (3). Ciò ha destato molte perplessità tra gli studiosi per l’esatta identificazione del personaggio. La ragione di questa dimenticanza, però, la possiamo trovare nello stesso capitolo 47°, e proprio nel primo periodo che inizia così: «Nel sopraddetto luogo di Soffiano ci fu, anticamente, un frate minore…» L’avverbio «anticamente» ci porta indietro di poco meno di cento anni, e cioè al tempo in cui il frate senza nome visse e morì a Soffiano (san Liberato morì prima del 1258) e il tempo in cui frate Ugolino scrisse I Fioretti e cioè intorno al 1320-1330. Questo lungo tempo intercorso, data la labilità della mente umana, ci consente di accettare anche la dimenticanza di frate Ugolino e di coloro dai quali ha assunto notizie. Ma è tradizione ormai ininterrotta di otto secoli che si tratta solo e unicamente del nostro Santo, san Liberato da Loro, oriundo della potente famiglia dei Brunforte. Un grande affresco nelle mura esterne del castello avito di Loro ci aiuta ad averne conferma. Per la sua «grande santità e grazia» ha meritato di riempire del suo nome tutta la storia di questa amata terra (4). Quello che lo scrittore de I Fioretti ci riferisce è sufficiente per farci comprendere la statura spirituale di lui, francescano della prima ora, il quale, pur essendo di distinta famiglia, si fece povero e umile a tal punto da nulla più possedere (5). Ritiratosi a Soffiano, forse dopo l’incontro con san Francesco, non aveva a sua disposizione che un po’ di pane e di acqua di fonte, la stessa fontanella dove anche noi possiamo dissetarci anche oggi, e quei pochi altri cibi che erano il frutto della carità cristiana; ma si sentiva ricchissimo, perché aveva a disposizione tanti doni di Dio. Di lui frate Ugolino ci dice che «tutto parea divino» e che molte volte «era rapito in Dio»; questo sta a dirci quale sia stata la sua spiritualità. Di quando in quando, ma specialmente nei giorni festivi, dall’eremo discendeva a rivedere i confratelli nel conventino di Roccabruna, passando per lo stesso viottolo alle sponde del rio Terro che si percorre anche oggi e che gli abitanti del luogo chiamavano e chiamano ancora «la strada di san Liberato»; benché animato da spirito eremitico, rimase sempre unito alla comunità di Roccabruna. Una volta che era tutto assorto ed elevato da terra, perché godeva del grande dono della contemplazione, fu veduto circondato da un folto stuolo di vispi uccellini che andavano e venivano saltellando attorno a lui, e «si posavano sopra le sue spalle, sul capo, sulle braccia, sulle mani e cinguettavano meravigliosamente». Rinnovava così in sé l’episodio di san Francesco descritto nel capitolo 16° de I Fioretti, quando il Santo «predicò alli uccelli e fece stare quete le rondini». Viveva solitario e parlava raramente; ma quando era richiesto di qualche consiglio, rispondeva con tanta signorilità e cortesia da sembrare «più angelo che creatura umana». I Frati lo ritenevano santo e poiché, a volte, dal suo viso emanava tanto splendore, avevano la sensazione di trovarsi di fronte ad un altro Mosè. Visse così in perpetua unione con Dio e questo, in mancanza di altre notizie, è più che sufficiente per comprendere come trascorresse il suo tempo, giacché quella unione santissima assorbe tutta la personalità nelle più svariate manifestazioni. Giungendo alla fine dei suoi giorni, si ammalò gravemente e non potendo inghiottire alcunché, neppure le medicine, si rivolse al medico celeste Gesù Cristo benedetto e alla sua santissima Madre Maria, pregandoli con tutto il cuore affinché venissero in suo soccorso. E un dì, mentre giaceva nel suo lettuccio, ebbe ancora una visione: in una festa di luce gli apparve la Vergine Santissima circondata da sante vergini e da uno stuolo di angeli. Pieno di commozione e di amore, la pregava a calde lacrime affinché lo liberasse dal suo corpo e lo conducesse alla gloria del cielo. La Madonna lo chiamò per nome e gli disse: «Non dubitare, figliolo; sappi che la tua preghiera è esaudita, e io sono venuta per darti conforto». Così dicendo, gli fece assaggiare un certo liquore contenuto in alcune ampolle che le vergini avevano in mano e appena ne assaggiò cominciò a dire: «Basta, basta, o Vergine santissima… regina e madre mia… salute degli infermi… perché io non posso più sostenere tanta dolcezza!». La Vergine gli rispose: «Sii forte, o figliolo, perché presto ritornerò e ti condurrò nel regno del mio figlio, come hai sempre cercato e desiderato». Detto questo, la Vergine e il suo celestiale corteo scomparvero. Tutto tornò come prima; ma non lui, che rimase così consolato e confortato da non aver più bisogno né di cibi né di bevande. Da quel momento visse unicamente proteso nel desiderio del cielo e della gloria che il Padre celeste gli avrebbe riservato. Dopo qualche tempo, mentre parlava piamente con alcuni frati, improvvisamente, con grande giubilo e letizia di spirito, salpò per l’altra riva. Era il 6 settembre 1258 (6). Da questo giorno, per la terra dei Brunforte, per la Custodia di Fermo e per l’intera Provincia della Marca e cominciò una nuova storia. L’eremo di Monte Santa Maria, per la fama e i miracoli del suo protagonista, si venne a poco a poco tramutando in eremo di San Liberato, e dal secolo XIV mantenne sempre questa denominazione (7). Da eremo divenne convento e, da convento, santuario, fonte di luce, di grazie e di spiritualità, perché qui san Liberato è stato trasferito dalla Grotta di Soffiano, e qui è stato sepolto, accanto ai suoi confratelli beati Umile, Pacifico, Simone ed Egidio. Qui il popolo lo ha sempre conosciuto, stimato ed amato. Qui il popolo lo ha invocato e ha ricevuto grazie e favori. Qui il popolo, lungo i secoli, ha circondato il suo altare di doni votivi. Qui è stato glorificato. E sebbene nell’elenco ufficiale dei santi della Chiesa il nome di Liberato non figuri, tuttavia questo titolo così alto gli è venuto spontaneamente per antichissima tradizione dal sentimento e dalla espressività popolare; e questo, forse, anche in seguito al fatto che il pontefice Onorio IV, transitando nelle vicinanze negli anni 128687, e avendo udito le cose meravigliose che si narravano di lui e i miracoli che compiva, sembra che abbia detto vivae vocis oraculo, cioè, a viva voce: «Questo frate merita davvero di essere proclamato santo…» (8); ma poi, per motivi che ci sfuggono non si è potuto procedere alla canonizzazione. Però nell’Opera del papa Benedetto XIV De servorum Dei, il nostro è chiamato Sanctus Liberatus a Lauro, cioè, san Liberato da Loro, e Clemente XI nel 1713 ne confermò solennemente il culto ab immemorabili, cioè fin dai tempi antichi. Molti sommi pontefici poi, nel corso dei secoli hanno arricchito la sua chiesa di sante indulgenze. Il suo sepolcro era stato posto al lato sinistro di chi guardava l’altare maggiore, nello stesso luogo dove erano conservati i corpi degli altri beati. Rinchiuso in una semplice e rudimentale cassa di noce, vi era stata posta sopra una pesante lastra di pietra, contrassegnata da una piccola croce scavata nella stessa in segno di riconoscimento, e il tutto era assicurato al pavimento da una robusta grata di ferro battuto, la quale, in un piccolo scudo porta ancora la data: 1639. Un mattone che fungeva da guanciale è stato ritrovato dentro la cassa e sotto il suo capo, ed ora è esposto nella nuova cripta insieme ad altri suoi ricordi. E poiché il beato Umile era volato al cielo intorno agli anni 1235-40, san Liberato nel 1258, il beato Pacifico intorno agli anni 1250-60, è molto probabile che tutti e tre nostri santi personaggi possano aver conosciuto di persona san Francesco ed altri suoi compagni, come frate Simone di Assisi (11), perché, come scrive qualche storico (12), avendo il Santo Patriarca sentito parlare dell’alta spiritualità dei frati che abitavano a Soffiano, è probabile che sia salito anche lui fin lassù, prima o dopo essere stato con frate Simone a Roccabruna soffermandovisi per qualche giorno, come era sua consuetudine, per poi ridiscendere, come abbiamo visto, a Campanòtico, e dirigersi quindi verso Sarnano e altre località. Accettare questa ipotesi, significherebbe inserire i nostri personaggi nel numero dei primissimi frati, non solo delle Marche, ma dell’Ordine intero. Se poi si è indovinata la personalità che si nasconde sotto il «ricco e gentile cavaliere» che si è «fatto frate minore» e che si è «liberato» da tutte le sue ricchezze per donarsi a Dio e a san Francesco, come abbiamo letto nel capitolo Loro Piceno (13), anche lui anonimo e anche lui animato dall’unica aspirazione di servire il Signore nella rinuncia a tutto e nel nascondimento, possiamo andarne veramente lieti e ringraziare il Signore che opera negli uomini in forme e modi così meravigliosi. Liberato, liberatosi da tutto e da tutti, è divenuto il nostro San Liberato!
2) Elettuario o elettovario, ma anche lattuario o lattovaro. Farmaco composto di vari ingredienti, anticamente prescritto per un gran numero di casi. Dal tardo latino Electuariurn.
3) Accanto a questa voce della tradizione, ce n’è anche un’altra, e cioè che il nostro Santo abbia avuto origine da una modesta famiglia di agricoltori e se ne conserva, a comprova, anche la casetta dove sarebbe nato (Via Grazie – Fiastra, 65, che si stacca dalla statale 78); se ne indicano il campo e la fonte a lui attribuita. Senonché si tratta di un altro frate omonimo, fra Liberato da Loro, cappuccino, che morì a Fermo in fama di santità, il 15 luglio 1639. Cf. Vita e Gesti di Fra Liberato da Loro, in Vita e Gesti de’ Religiosi Cappuccini…, Vol. II, p. 27 s., Ms. dell’Arch. dei Frati Cappuccini di Ancona. Né venga, inoltre, confuso con un terzo fra Liberato da Macerata, del gruppo dei Fraticelli, beato, cui fu dedicata una piccola chiesa presso le mura della sua città. Questi morì nell’eremo di Fogliano, presso Vetralla nel 1307.
Con tre santi omonimi, anche se distanziati da secoli, la confusione presso il popolo era pressoché inevitabile. Cf. PAGNANI G., I Viaggi, p. 109; I Fioretti, p. 185.
4) «…Pertanto, asserisce il pontefice Benedetto XIV, riscontrando che la devozione a san Liberato è diffusa in tutte le città e conventi del Piceno fin dall’antichità… accettiamo i documenti degli scrittori… » (De Servorum Dei, III, pp. 217
221).
5) A questo punto, al fine di sentirsi integrare il racconto, sarebbe utile rileggere il capitolo XIII – Loro Piceno, a p. 119.
6) Cf. Mart. Franc., 6 settembre. ORTOLANI C., Santità, p. 125.
7) Il mutamento del titolo originale di una chiesa è un fenomeno abbastanza frequente lungo il corso dei secoli: San Pietro di San Ginesio si mutò in San Francesco; San Francesco di Osimo, in San Giuseppe da Copertino; San Giovanni Battista di Fiegni, in chiesa del beato Ugolino, S. Maria Maggiore di Montegiorgio, in San Francesco, ecc. Non ci si sorprenda quindi sé anche la nostra chiesa, dedicata inizialmente alla Vergine Santa Maria, abbia poi subito il mutamento in San Liberato.
8) MARIOTTl E., Memorie, p. 420. Per maggiore documentazione, cf. Arch.
Franc. di Falconara M.ma, DAMIANi GIANNANTONIO, Cronaca dell’Osservante Prov. Lauretana, ms. del 1585, c. 96; BARBAROSSA FRANCESCO, Memorie intorno
a S. Liberato da Loro, c. 42-5.
12) TURCHI O., Camerinum, p. 188 s.
13) V. p. 119.
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All’inizio fu un eremo; leggendo queste pagine abbiamo visto che negli anni 1230 circa era già una realtà. Era costituito da una piccola chiesa (della quale è restata ancora la piccola porta in pietra, visibile nell’interno del convento) e, attorno alla chiesa, a poco a poco vennero costruite alcune capannucce. Queste capannucce, ricordando quelle di Monteluco presso Spoleto, erano veramente piccole e potevano misurare m. 2 di lunghezza per m. 1,50 di larghezza e m. 1,90 di altezza. L’unica finestrella era circa di cm. 35 per 20-5, poco più che feritoia. Un saccone di foglie secche di granturco o paglia posto su tavole sorrette da due trespoli o assi di legno, una sedia, un tavolinetto, un crocifisso e una lucerna, ma non per tutti, ne costituivano il corredo. Tutto qui. Davvero poco; ma ciò era molto e forse anche troppo per chi, come i nostri santi, avevano lasciato tutto per vivere solo di Dio. La loro vita si svolgeva in comune per la preghiera, la mensa, lo-studio, il lavoro (1). Poi, per il resto del tempo, vivevano sempre solitari. Ma dentro quelle stanzette si è realizzata la loro santità (2), la quale fu così tenuta in considerazione dai cittadini dei dintorni e della stessa cittadina di Sarnano che in una determinazione pubblica del 1258, anno della morte del Santo, si decretò che «sopra il suo sepolcro si collocasse una lapide con una iscrizione esprimente. Il suo culto fu approvato da Pio IX e la sua festa si celebra l’11 dicembre. il nome, la famiglia e la santità dello stesso» (3). Qualche anno prima vi era morto e vi era stato sepolto il beato Simone d’Assisi. Come è noto, l’eremo dipendeva dai signori Brunforte; ma quando nel 1305 il loro castello sul colle Morrone fu distrutto dai Sarnanesi, essi si dispersero in varie città (6), e l’eremo con i boschi che lo circondavano passò sotto il governo di San Ginesio e di Sarnano, creando una questione di confini poco soddisfacente per tutti, con strascichi che ancora perdurano. Secondo un’antica mappa, la linea di confine divideva il convento in due: metà apparteneva al comune di Sarnano, e l’altra metà a quello di San Ginesio. Oggi, pur appartenendo al territorio di San Ginesio, opera ed ha i suoi interessi principalmente in quello di Sarnano. Nel 1421 il reggente di San Ginesio emise un’ordinanza con la quale proibiva ai suoi amministrati di recarsi a San Liberato nel secondo giorno di Pasqua «con armi, insegne e tamburo» per evitare tafferugli con i sarnanesi. Nel 1697 si iniziò il processo per la verifica e il culto ab immemorabili della personalità del beato (7), cioè fin dai tempi più antichi. Nel corso del 1714, periodo di storico benessere, la chiesa fu ingrandita e aggiustata secondo il gusto del tempo, come pure il convento, il portico e la forestieria, ove c’erano locali riservati ai magistrati di San Ginesio. Il chiostrino è restato allo stato originale del 1400. Nel presbiterio della chiesa si pose un massiccio banco in noce, ove lo stemma ginesino del quarto di scudo campeggiava visibilmente e lì, con le scolte e il gonfalone, i rappresentanti del comune si sedevano con religiosa solennità. Con il tempo, uno stemma ginesino in pietra fu applicato sopra l’arco della porta della chiesa, e un altro sopra la porta d’entrata del convento detta «la porta battitora»! Lo stemma di Sarnano con il Serafino alato si vedeva invece, e si vede angora, nel cancelletto dell’altare della cripta, sotto il quale riposano le sacre spoglie dei beati, e nelle due piccole lampade pensili, in metallo e sempre accese. Il fervore del popolo si intensificò al verificarsi dell’eccezionale fenomeno della manna e di quello della sudorazione odorosa della immagine dipinta sopra la sua tomba dal pittore ginesino Stefano Folchetti nel 1498. Tale avvenimento, iniziatosi prima del 1616, si ripeté in tempi successivi, tanto che l’autorità religiosa si sentì in dovere di fare i dovuti accertamenti (8). Il 24 agosto del 1703 si fece la prima ricognizione dei sacri resti, effettuata da mons. Andrea Cataldi della Curia di Camerino e dal padre Arcangelo Corradini, guardiano del convento. Durante la ricognizione l’immagine del Santo dipinta nel muro sopra il sepolcro con sommo stupore di tutti emanò ancora sudore e fragranza. Nel 1797 si segnalò ancora il fenomeno della sudorazione. Se ne accorsero alcuni pellegrini di Sarnano il giorno 12 luglio, i quali videro scorrere gocce di sudore dal volto e dalle mani del Beato, rappresentato giacente in un ispirato dipinto del 1600 (9). La notizia si divulgò rapidamente e il popolo accorse in massa ad ammirare il prodigio. Il 14 luglio, due giorni dopo, il fenomeno si rinnovò di fronte ad una folla di ginesini condotta dal vicario foraneo, come pure il 15, di fronte ad un altro pellegrinaggio condotto dal canonico Leopardi. I1 16, il fatto si ripeté dinanzi ad un gruppo di Loro Piceno, guidato anche questo dal vicario foraneo, e il 17 e il 20 si videro copiose lacrime rigare il volto del Beato. Il 19 furono presenti due deputati e un notaio, e il 20 e 22 ne giunsero altri due. Il 21 giunse un pellegrinaggio da Caldarola guidato dai canonici; questi stilarono e sottoscrissero un attestato del quale crediamo opportuno riportare il testo (10): «Nel nome di Dio. Amen». Noi sottoscritti per la pura verità ricercati, mediante il nostro giuramento facciamo fede: come nel giorno 21 di Luglio dell’anno 1796 ci portassimo in persona unitamente con altri secolari e donne, tutti della terra di Caldarola, per vedere il prodigioso Sudore, che emanava dal ritratto, o sia figura del B. Liberato sepolto nel Convento de’ Minori osservanti situato nelle falde del monte non molto lungi dalla terra di Sarnano, diocesi di Camerino, e che d: Convento l’abbiamo sempre ricordato abitato da Minori osservanti con la denominazione il Convento di S. Liberato. Quindi è che giunti in d: luogo (mossi ancora preventivamente dalle relazioni di molta gente che ivi si era portata, e che visto avevano sudare d: immagine dipinta) dassimo principio alla visita del SS. Sacramento; e poi fu domandato il P. Lavinio da S. Ginesio, allora sacrestano esercente, se il Santo aveva sudato, egli ci rispose, che questa mattina verso le 10, ove aveva sudato prima del nostro arrivo. Ciò inteso fra noi dicessimo, chi sa se abbiamo la sorte di vederlo sudare in questo frattempo che stiamo qua; nulla di meno appressiamoci, ed intanto, ognuno di noi celebri la S. Messa. Da seguito di ciò, non vedendosi tal prodigio, ci dassimo il pensiero di mangiare; ma appena finito, che subito accorse un ragazzo che seco noi veniva, ed essendo entrato in Chiesa ci fece sapere che l’immagine del Santo incominciava a sudare. A tal novella tutti accorressimo e vedessimo ocularmente senza punto esitarne sudare d: immagine non solo in faccia, ma nelle mani, e piedi ancora; quale immagine rimaneva dentro una nicchia o sia deposito formato ad uso di un altare in cornu evangelii, ed in faccia al di dentro si vedeva la sud: immagine; ed il sudore fu visto escire naturalmente, cioè a poco a poco, e dopo poco tempo con l’istesso modo asciugarsi in nostra presenza. A tal vista tutti quei circostanti diedero chi bombace, altri fettuccie od oggetto da essere bagnato nel sud: sudore, e toccato da noi sacerdoti, essendo ottenuto fra questo tempo la condiscendenza del sud: P. Lavinio Sacrestano di aprirci il cancellato di ferro, entro cui rimaneva la sunnominata figura, o sia quadro dipinto in tela rappresentante il Beato Liberato. Ciò è quanto possiamo deporre come fatto nostro proprio, ed in causa di vera scienza, e coscienza abbiamo fatto il seguente S.
Io Giuseppe Pros.to Casini attesto q.to sopra m.pp.a.
Io Nicola Can.co Mori confermo ed attesto q.to sopra m.pp.a.
Io Alessandro Can.co Barlesi confermo ed attesto q.to sopra m.pp.a.
Io D. Filippo Piani confermo ed attesto q.to sopra m.pp.a.
La serie di questi prodigi non si concluse in questo periodo di. tempo, ma perdurò per moltissimi anni e se ne conservano i documenti ufficiali. A non pochi il Santo fa sentire, a volte, un profumo ineffabile come è stato costatato da varie persone anche in tempi recenti. Nel 1810 il convento subì le conseguenze della soppressione napoleonica e dovette essere abbandonato. Ma nel 1820, ristabilito il governo pontificio, i religiosi poterono ritornarvi e vi risiedettero fino al 1865 quando ci fu la seconda soppressione del governo massonico italiano. Nel 1868 l’arcivescovo di Fermo, card. Filippo De Angelis e l’Ordine francescano richiesero congiuntamente alla Santa Sede la S. Messa e l’Ufficio in onore del Beato; la domanda fu favorevolmente accolta, e così il culto divenne ufficiale e definitivo. Seguirono varie vicende non sempre piacevoli, ma in pratica il convento non restò mai abbandonato; anzi nel 1895 fu sede di un piccolo collegio per gli aspiranti alla vita religiosa. Nel 1901 però, per scarsezza di religiosi, fu chiuso. Ma il popolo, guidato dai rispettivi parroci, non mancò di andare ugualmente al santuario, specialmente nel secondo giorno di Pasqua, nel lunedì di Pentecoste e il 2 agosto per la festa del Perdono di Assisi. Nel 1923 il padre Angelo Marconi, costatato il desiderio della gente che voleva almeno un sacerdote nel santuario, vi andò deliberatamente, con il proposito di ridare vita all’ambiente: ridestò il culto, promosse feste; ma poi, sentendosi solo e incompreso, abbandonò l’impresa e a lui si sostituì il benemerito parroco del Vallato, don Sebastiano Corvini. Questi, oltre a continuare i programmi religiosi essenziali, nel 1926 vi commemorò il settimo centenario della morte di san Francesco. Si deve giungere agli anni 1928-30 per aprire le pratiche con il Comune di San Ginesio per il riscatto del convento; tali pratiche si protrassero fino al 1936, quando il Municipio determinò di cederlo, e con questo atto il convento e parte della selva sono tornati definitivamente all’Ordine, dopo cento e più anni di insicurezze (11). Si succedettero, come superiori, frati semplici e buoni come il padre Daniele Giovannetti; forti e lavoratori come il padre Sigismondo Damiani (12) e il suo nepote padre Quinto; apostoli e imprenditori come il padre Fernando Natalini e Antonio Del Biene; costruttori e missionari come il padre Ugo Corradini, Tommaso Di Pasquale, Remo Balboni e Fortunato Tiberi, attuale superiore; studiosi di livello internazionale come il compianto padre Giacinto Pagnani, il vero organizzatore della nuova Biblioteca e Pinacoteca sarnanese e autore di pregiate opere. Che dire poi dei santi ed esemplari fratelli laici e collaboratori come fr. Enrico, fr. Cesare, fr. Corrado, fr. Gabriele, che con il loro lavoro casalingo e le estenuanti questue invernali ed estive hanno contribuito alla vitalità del sacro convento e hanno sparso con tutta semplicità parole di carità, di comprensione e di amore a tutte le famiglie sia di città che delle campagne? Chi potrà dimenticare poi tanti assidui benefattori sparsi in tutto il mondo? Di tutti ricordiamo con ammirazione lo spirito di lavoro, di sacrificio e di attaccamento alla missione loro affidata per il bene del santuario, né può mancare la gratitudine dei confratelli delle Marche e di tutto il popolo della Terra de I Fioretti. I recenti lavori, condotti con perizia e gusto squisitamente francescano dal geometra Bocci Pietro, hanno trasformato quello che nel 1230 non era che un piccolo e poverissimo eremo in una nuova grande e dignitosa casa di accoglienza per i religiosi e per le famiglie desiderose di trascorrere qualche giorno nella serenità, nel silenzio e nella preghiera, come fecero i grandi maestri dello spirito che riposano nella piccola cripta tutta francescana, ricavata sotto il presbiterio della chiesa completamente rinnovata, pur mantenendo le sue strutture fondamentali (13). Nella chiesa si ammirano varie tele del sei e settecento di vari autori e valore e, nella colonna destra del presbiterio, una bellissima Vergine con il Bambino, tempera, probabilmente, dell’artista Giovanni Andrea Da Magistris (1555 c.) in tutto simile, nella parte centrale, a quella della chiesa parrocchiale di Pian di Vari, presso Appennino, frazione di Pieve Torina (14). Nel lato sinistro sono appesi al muro la pietra che coprì il sepolcro ove è visibile una crocetta incavata per il riconoscimento e la grata in ferro che, come abbiamo detto in precedenza, in un piccolo scudo porta la data 1639. Resti di antichissime tempere si vedono anche nella sacrestia. Sotto l’altarino della cripta, in un’urna di travertino, riposano le ossa dei nostri Beati e sul coperchio si legge: Divi Liberati ac germanorum fratrum B. B. Umilis et Pacifici ossa hic quiescunt, e cioè: «Qui riposano le ossa del divo Liberato e dei fratelli beati Umile e Pacifico», e, poco discoste, nel muro perimetrale, quelle del beato Simone d’Assisi e del ven. Egidio. Ai lati, infine, si vedono reliquie e ricordi preziosi.
1) Per comprendere il grado di povertà di quei frati si leggano gli antichi registri amministrativi del convento!
2) Nell’eremo di San Liberato visse per qualche tempo anche il beato Ugolino Magalotti, nobile camerinese. Fattosi terziario francescano, si diede alla vita eremitica; poi si recò in un eremo presso Fiegni, di Fiastra, diocesi di Camerino, ove morì intorno al 1373, ed è conosciuto come il beato Ugolino da Fiegni.
3) «… Primo, tenor resolutionis terrae Sarnani editae anno 1258, ad hoc, ut collocaretur lapis supra sepulchrum S. Liberati cum insriptione exprimente nomen, familiam, et sanctitatem eiusdem». Cf. S. R. C., Informatio… p. 20. TRAD.: «Decreto del 1258 emesso dal Comune di Sarnano … che si ponga sopra il sepolcro di San Liberato una lapide con la scritta esprimente il nome, la famiglia, la sua santità…».
6) Ne troviamo i discendenti in Arcevia, a Perugia, a Massa Fermana e altre località. Si deve al ramo arceviese se nella chiesa di San Francesco di Arcevia, oggi chiusa al culto, vi è un altare dedicato a san Liberato, e al ramo di Perugia se verso la metà del secolo passato, in un tempo in cui il convento e la chiesa erano incustoditi per la cacciata dei religiosi in forza della soppressione, il corpo di san Liberato fu rapito, ma poi… restituito. BRizi A., Catalogo, p. 86, n. 26. Anche a Servigliano (Castel Clementino) nella chiesa di Santa Maria del Piano, già dei frati minori, vi è un altare dedicato al nostro Santo; e così a Mogliano, nella chiesa di Santa Colomba, un tempo appartenuta ai francescani, si vede una tela di Lorenzino da Fermo, del secolo XVII, ove è rappresentata l’Immacolata con i santi Maria Maddalena, Pietro da Mogliano e Liberato da Loro. A Loro vi è una sua riproduzione nella chiesa di S. Maria. Poco fuori della cittadina di Monte Cassiano, lungo la via che conduce a Villa Potenza. vi è una bellissima edicola con una immagine del nostro Santo dipinta su tavola. Infine, nel portico della chiesa della SS.ma Annunziata di Osimo, appartenuta ai francescani fino alla soppressione ed ora chiesa del cimitero maggiore della città, vi era una cappella eretta in onore del nostro Santo, assai frequentata dai fedeli della regione.
7) S R C., Informatio…, passim.
8) CoLucci GIUSEPPE, Antichità picene, VIII, p. 33, MARIOTTI E., Memorie, p. 267. Oltre a questa tempera, Stefano di Francesco Folchetti dipinse una tela con il beato Liberato che sorregge nelle mani il castello di Sarnano (v. p. 117), e una tavola con al centro la Vergine e il Bambino e avente, a sinistra, san Francesco e, a destra, il nostro Beato. L’originale è custodito fin dal 1866 nella Pinacoteca di San Ginesio, il cui stemma si vede dipinto ai piedi della Vergine. Da S R C., Informatio…, p. 21.
9) Sulla parte alta della tela si legge: «Divi Liberati, nobili genere orti, hoc tumulo ossa quiescunt», e cioè: «In questo sepolcro riposano i resti di san Liberato, nato da nobile progenie». Cf. BARBAROSSA FFRANCESCO, Memorie intorno al B. Liberato, ms. dell’Arch. Frane. di Falconara M.ma, pp. 61-67.
10) Arch. franc. prov. di Falconara M.ma, busta Convento di san Liberato.
11) Cf. TALAMONTI A., Cronistoria, VI, pp. 123 ss.
12) Restaurò a fondo la chiesa e il convento e tracciò la vecchia strada rotabile che da’ Vallato conduceva al santuario ove lavorò egli stesso come operaio. Fu ucciso dai partigiani nel pomeriggio del 9 maggio 1944, vittima della carità.
13) «Dopo i lavori per la chiesa e il convento, si è provveduto a quelli del riassetto della Grotta. Reso più agevole il sentiero, si è lavorato con estrema cautela per evitare di distruggere eventuali tracce di mura primitive: ma non ne sono state trovate. II muro restante è stato rafforzato e si è data una sistemazione razionale ad alcune parti murarie che offrono un’idea di come poteva essere l’antico edificio. Gli incavi paralleli del muro dovevano servire per sorreggere le travi, e questo fa pensare che l’eremo sia stato a due piani, mentre quelli rettangolari non regolari della roccia, dovevano servire nell’antichità secondo quanto si è scritto a p. 67 n. 3.
È spiacevole ricordare come alle difficoltà già gravi della conduzione dei lavori, così ci ha confidato un responsabile, si siano aggiunte quelle di alcuni «presuntuosi dilettanti», i quali, nonostante la consulenza in loco di archeologi, geologi, architetti e geometri, abbiano espresso aspre critiche intorno ai lavori compiuti, senza onesto fondamento e appropriata conoscenza».
14) Una tela simile, proveniente dai conti Bonomi di Ripatransone, si ammira presso la famiglia del M. ebanista Volpi Virgilio di Colli del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno e a Monastero.
tratto da “Santuario di San Liberato centro vitale della terra de ” di Umberto Picciafuoco 1987.