Convento di Sant’Igne – San Leo (RN)
Cenni Storici
Lungo la strada che si inerpica sul Monte Severino, attraverso la Biforca e a mezzo di Tausano, per poi scendere a Peggio ed attraversare il torrente Mazzocco, nei pressi dell’antica Pieve di Sant’Agata in Farneto, si trova il convento francescano di Sant’Igne. Come recita la primitiva Regola francescana e come avviene nelle principali città dell’Italia centro settentrionale, il convento si trova fuori le mura del centro medioevale, lungo una delle principali direttrici d’accesso. Oggi il convento è in luogo romito, quale terza perla nascosta dell’architettura religiosa medievale a San Leo. Sant’Igne: il nome stesso evoca qualcosa di misterioso, di strano, eppure la sua etimologia è comune a quella di altri luoghi feretrani quali Carpegna, Fusigno o Sapigno, ed è attestata nella forma originaria di Santegna sin dall’anno 1300, in una pergamena del 17 maggio, ove si stipula una riappacificazione fra il vescovo di Montefeltro ed alcuni territori della sua giurisdizione. Santegna, dunque, e non Sant’Igne, cioè sacro fuoco (ignis=fuoco), come vuole la leggenda, diffusa già dal XVI secolo, che lega il luogo al miracolo di un’apparizione luminosa che avrebbe indicato al poverello d’Assisi la giusta via. Santegna, come ha abilmente dimostrato Gustavo Parisciani in un fondamentale volume sulla storia del luogo francescano di San Leo. È assai probabile che la fondazione francescana, conseguente la presenza dello stesso San Francesco in San Leo nel 1223 (Francesco era già salito sul masso feretrano nel 1213), venisse ad affiancarsi ad una preesistente cappella edificata dai monaci cistercensi. Tale ipotesi è sostenuta da Augusto Campana secondo il quale la sussistenza del toponimo Sant’Antimo (Santo cui sono intitolate numerose abbazie benedettine), con cui è designata una piccola località distante poche centinaia di metri dal convento di Sant’Igne, attesterebbe la presenza ab antiquo di una comunità di monaci di quell’ordine. La tesi è sostenuta dalla presenza di un ampio brano di muraglia che, ad un’analisi archeologica, rivela una struttura compositiva prettamente romanica, diversa dalle restanti mura dell’edificio. Una peculiarità della chiesa di Sant’Igne è rappresentata dalla pianta, formata da un’aula rettangolare su cui s’innesta un breve transetto che termina, lateralmente al coro, con due cappelle simmetriche a pianta quadrata. La presenza delle cappelle costituisce un unicum per la tipologia delle chiese francescane della zona, collegandola così direttamente a quella delle primitive chiese francescane dell’Umbria. La sommarietà con cui è stata trattata la muratura interna della chiesa, completamente riportata a vista nei recenti restauri, è chiaro indizio che era prevista una totale intonacatura dell’interno, fin dall’origine. Secondo la consuetudine, tutto l’interno doveva essere ricoperto di affreschi, come testimonia l’unico lacerto superstite con la raffigurazione della Madonna col Bambino fra i Santi Giuseppe e Antonio da Padova, anche se datato 1535. Tramite una porta “battitora” si accede al chiostro quadrangolare, delimitato da venti colonnine ottagonali con capitelli a “foglia d’acqua”, reggenti le quattro falde della copertura a spioventi. Sul chiostro si affaccia il campanile a vela della chiesa, fregiato da uno stemma lapideo di Federico da Montefeltro, scalpellato nel cinquecento. Fra gli ambienti più suggestivi del complesso conventuale è la sala capitolare, ancora provvista delle finestre originali trilobate, simili a quelle della chiesa. A seguito delle vicissitudini subite dal complesso nel corso dei secoli, non è più possibile identificare la funzione originaria dei restanti ambienti.