Chiesa di Santa Maria in Muris o san Simone – Belmonte Piceno (FM)
Cenni Storici
L’edificio di questa chiesina, sull’altura, a 263 metri di altitudine, di fronte al colle belmontese, in prossimità della strada verso le Morrecini (resti murari di mausoleo romano) a metà del percorso che congiunge i monti Sibillini al mare Adriatico, è monumento nazionale, opera insigne per antichità e per rara originalità della prima arte romanica del secolo X.
La costruzione è rimasta isolata nella sua posizione panoramica e strategica tra la valler del Tenna e quella dell’Ete, con la visuale per ampio raggio attorno, si caratterizza per la solennità della torre in mezzo alla facciata di prospetto che svetta come una vela alzata per percorrere il mare della storia del territorio della provincia di Fermo.
Santa Maria in Muris è il nome cristiano dovuto al riutilizzo delle mura romane già esistenti, trent’anni prima della nascita del Cristo. Si notano i reperti archeologici come il bianco marmo nella facciata. Sull’urna cineraria a tabernacolo un’iscrizione dice che fu la fece Florio Ottato da vivo per sé, e per la moglie Rufria Prima. Nel praticare l’incinerazione, gli antichi Romani riponevano le anfore con le ceneri in nicchie o tabernacoli con iscritti i nomi. Ad un chilometro circa, le Morrecini, lungo questa via collinare romana, sono parimenti nicchie costruite per urne cinerarie. Il famoso medico e professore belmontese, Silvestro Baglioni appassionato studioso delle antichità picene, osservò, in un angolo della chiesina, una pietra con foro tondo, che era usata nel torchio per spremere le olive e l’uva.
Si vedono all’esterno, altri marmi scolpiti, uno con ali ( simbolo di S. Michele arcangelo protettore dei Lon-gobardi) e altre sculture di volute che possono riferirsi all’arte longobarda ed allo stile romanico del secolo XI.
L’arco di entrata dell’edificio è prolungato in profondità fino a metà della torre ed è tipico perché è formato con antiche pietre porose. Entrati, si accede al piccolo portico interno sotto metà torre, che fu descritto come rarità rispetto a tutti gli altri edifici romanici, da Giovanni Settimi nella rivista ‘Astro Farfense’. Un’apertura a feritoia nella torre consente l’entrata della luce dalla facciata.
La forma dell’edificio e i suoi elementi materiali sono una testimonianza dello stile altomedievale, in particolare le piccole finestre arcuate a tutto sesto, tipiche dell’arte romanica.
Il primo e più antico edificio fu costruito ad opera dei soldati veterani romani, venuti nel primo secolo avanti Cristo, quando molte terre del Piceno vennero assegnate ai legionari, messi in pen-sione da Cesare e da Pompeo, dopo le guerre servili, civili, orientali, galliche e germaniche. Costruirono, in queste terre assegnategli, le loro abitazioni dette ville. In una posizione più alta, visibile dalla via pubblica, usavano costruire l’edicola ove riporre le urne cinerarie dei famigliari defunti. Nel territorio belmontese ogni edicola, usata come sepoltura nelle ville romane antiche, ebbe come continuità una chiesina cristiana.
Nell’insediamento sparso, le ville erano aziende agricole, centri abitativi, forniti di tutto quanto occorresse alle persone per le loro attività agricole, e artigianali, per le esigenze di vari servizi di alloggi, sanità ed istruzione, laboratori, magazzini. Vicina alla villa era l’edicola ad uso di cimitero.
La porta originaria dell’edicola romana era dalla parte meridionale, dove esiste appunto una porta aperta in direzione della strada principale. Nel 386 l’imperatore Teodosio, con un editto da Milano (Roma non era più capitale) stabilì che i luoghi sacri abbandonati dai pagani fossero usati dai cristiani.
Le chiese cristiane furono costruite con l’abside rivolta ad oriente. Infatti, dall’entrata principale ad ovest, nel luogo assembleare, lo sguardo è rivolto ad est, dove sorge il sole, perché Cristo immolato e risorto a Gerusalemme è il sole che illumina ogni persona.
Dopo la decadenza di Roma, giunsero nuovi dominatori, i Longobardi, che ebbero un ducato nel Fermano, la cui esistenza è provata dalla rara epigrafe della vicina Falerone, al tempo del loro re Desiderio. Era uso germanico costruire una torre nella facciata degli edifici sacri, come si vede in questa chiesina che echeggia il modello tipico della prima arte longobarda, testimoniata dalle costruzioni dell’ottavo secolo della Germania. Questo stile costituisce un legame particolare con il nord Europa, come in epoca preistorica lo furono le vie dell’ambra dei Germani e dei Piceni. I Longobardi insediatisi in Italia, dopo convertiti al cristianesimo nel VII secolo, furono generosi verso i monaci, donando loro beni immobiliari. Altri edifici del Piceno, appartenuti ai monaci nell’alto medioevo. hanno la torre in facciata., come ad esempio la chiesa rurale di san Marco a Ponzano.
Verso la fine del secolo ottavo i Longobardi furono sopraffatti dai Franchi di Carlo Magno. Si costituirono allora le marche: ‘marka’ è una parola tedesca che indica una zona a confine con altri popoli. Nella Marca Fermana erano stabiliti, per la difesa e per il governo, i marchesi ed i conti (compagni dell’imperatore).
Il conte Pandolfo, che ebbe la proprietà di queste terre, vi tenne la sua azienda rurale durante l’alto medioevo e fece ampliare questa chiesina. Alla sua morte la vedova, con atto pubblico, ne fece donazione all’abate di Farfa che dall’anno 898 per quasi trent’anni, risiedette sul monte Matenano dove fece costruire un monastero e il castello: Qui fece trasportare da Monteleone Sabino le reliquie di Santa Vittoria martire, da cui deriva l’attuale nome del comune.
Santa Maria in muris, dopo la donazione, fu amministrata dal priore di Santa Vittoria in Matenano, come risulta dalla nuova conferma fatta nel 1152, da parte dell’abate di Farda a favore del priore santavittoriese di nome Alberto.
Sono andati perduti nel Fermano e in quasi tutta l’Italia le carte scritte anteriori al secolo X, parte di queste furono scritte di nuovo, secondo i racconti tradizionali, come avvenne per le carte che si leggono nelle cronache di vari monasteri e diocesi. Nel Regesto di Farfa, troviamo le prime notizie su S. Maria in Muris del secolo X, mentre altre notizie, dal secolo XIII in poi, sono nelle pergamene dell’archivio parrocchiale di Santa Vittoria in Matenano.
La costruzione stessa è un documento leggibile di architettura. Gli storici notano che la prima arte romanica, del secolo X, era semplice, funzionale e poco ornata. Successivamente l’arte romanica ebbe vari elementi decorativi. Distintivo, in ogni fase, era l’arco a tutto sesto.
L’edificio belmontese di stile romanico, fu poco rimaneggiato, ha, quindi, una rara genuinità, a testimonianza delle abilità dei Farfensi del secolo X che furono costruttori di chiese e monasteri.
Nei pressi della chiesina, per l’azienda belmontese furono costruiti, nel secolo XIII, nuovi locali per l’ospitalità, per le riunioni, per la scuola, per l’infermeria. Il monaco cappellano favoriva l’istruzione dei ragazzi nella scuola.
Nella seconda metà del secolo XII fu facilitato un nuovo insediamento sul vicino colle che era stato valorizzato con la costruzione della chiesa del SS. Salvatore e con nuove abitazioni lungo il pendio ai lati della strada ‘Fermana’ (verso la città). Il nuovo centro urbano ebbe il nome che gli diedero i proprietari, che erano venuti dalla Sabina, precisamente dalla località ‘Belmonte’ al seguito dell’abate. Nacque così un nuovo Belmonte nel Piceno.
Il luogo panoramico era strategico per avvistare gli incursori saraceni e si racconta che le sentinelle, in caso di pericolo, accendessero il fuoco sopra la torre per trasmetterne il segnale a distanza. Una volta venne in visita anche l’abate di Farfa con il suo accompagno e vi fu ospitato.
Con Federico Barbarossa avvenne uno scisma con il papato, perché egli nominò un antipapa, dato che il papa esistente favoriva i Comuni. Di conseguenza ci furono cambiamenti nelle amministrazioni delle chiese.
Avvenne che il priore di San Pietro Vecchio in Fermo, scalzando il priore di Santa Vittoria, mandò un suo cappellano a S. Maria in Muris. Le lotte del Barbarossa contro i Comuni si placarono con la pace nel 1177. Santa Maria in Muris fu riconsegnata al priore di Santa Vittoria. Rifiorì il commercio. A Belmonte, che è un luogo mediano, nel percorso dai Sibillini verso il mare, si praticarono fiere soprattutto a primavera (3 maggio) ed a fine ottobre. Nei pressi di S. Maria in Muris, rimane ancora il toponimo Fonte del Mercato. Una fiera venne detta poi di San Simone perché cadeva il 28 ottobre, festa liturgica di questo santo.
Si sviluppò anche l’artigianato di fabbri, falegnami, sarti, muratori dai quali è derivato il miglioramenti edilizio. Furono coinvolti gli abitanti nel provvedere alle necessità per le strade, i ponti, le fontane, il mercato, il cimitero e simili esigenze comunitarie, così sin dalla fine secolo XII i monaci fecero nominare i Sindaci, amministratori del territorio e così, ad opera dei monaci nacque il nuovo organismo politico dell’amministrazione comunale, in auge fino ad oggi.
I contrasti tra guelfi e ghibellini, nel secolo XIII, erano aspri e si ha notizia che nel 1204 furono appianati cercando vie di pacificazione. Rodolfo da Belmonte e Monaldo da Servigliano erano presenti alla firma degli accordi tra fermani ed ascolani.
Un’altra controversia fu conclusa nel 1221. Riguardava i cappellani nominati dal priore di S. Pietro vecchio di Fermo, mentre tale diritto spettava al priore santavittoriese e gli fu ricososciuto con sentenza.
I signori locali diedero alcune terre per il mantenimento del cappellano. Si usava dire diritto di patronato l’elezione del prete che il priore nominava e mandava come cappellano. Si conoscono i nomi dei seguenti cappellani: Giacomo, Alberto (senior), Nicola, Rinaldo, Alberto junior nominato nel 1239.
Per migliorare l’amministrazione, i rappre-sentanti del comune belmontese nel 1263 fecero un patto di alleanza e di sottomissione con la città di Fermo. Esistono a Fermo due pergamene che testimoniano questi accordi.
Quando nel secolo XIV i papi andarono a risiedere ad Avignone, ci fu una decadenza del governo nello Stato Romano e molte proprietà ecclesiastiche furono svendute. Ci sono documenti che attestano che negli anni attorno al 1325 la nomina del cappellano di S. Maria in Muris fu fatta da alcuni signori. Poi nel 1334 l’amministrazione tornò al priore benedettino santavittoriese.
Definitivamente nel 1648 cessò la presenza dei monaci farfensi a Santa Vittoria perché il papa stabilì l’amministrazione con i canonici al posto dei monaci. Allora essa passò sotto il controllo del capitolo metropolitano fermano che gli diede il titolo di S. Maria Bambina.
Negli atti dell’archivio arcivescovile risulta che nel 1715 era cappellano, rettore del beneficio, don Liborio Monti che restaurò la torre e sopra a questa fece collocare la campana con il suo nome. Nell’abside collocò un dipinto su tela raffigurante la Madonna Assunta onorata da due santi. La Madonna Assunta è titolare della cattedrale metropolitana e dell’intera archidiocesi fermana, solennemente festeggiata a ferragosto con riti sacri e con lo spettacolo del palio.
Il dipinto settecentesco dell’Assunta ci è pervenuto in condizioni precarie è stato restaurato. E’ attribuito al pittore Giuseppe Liozzi di Penna San Giovanni per le somiglianze con altre opere nella composizione e disposizione dei personaggi e nelle conformazioni figurali.
La chiesina venne chiamata di San Simone forse a motivo della festa di questo apostolo e della fiero ricorrente. Durante l’anno vi si celebravano sante Messe.
Venne poi un colpo dannosissimo per tutte le chiese rurali, quando le proprietà ecclesiastiche furono requisite dal re Savoia sopraggiunto a governare nel 1860. Le dichiararono demanio e le vendettero ai signori per rifarsi delle spese della guerra. Allora Severino Squarcia da Santa Vittoria in Matenano acquistò molti terreni e li diede in eredità al nipote Francesco Squarcia venuto ad abitare a Belmonte.
Durante la seconda guerra mondiale morì sua figlia Santa e le fece la tomba in un ipogeo scavato sotto al pavimento di questa chiesolina di sua proprietà. Ora il comune ha fornito una cappellina apposita nel cimitero e le figlie del signor (sor) Francesco hanno affidato al comune stesso questo antichissimo monumento nazionale che vediamo restaurato.
I belmontesi venivano a visitare la chiesa, fino a mezzo secolo fa, nel giorno dopo Pasqua quando si aprivano le chiese rurali e si andava a visitarle con il pensiero gioioso del Signore risorto. Vi tornavano con la processione delle rogazioni, (tempora) stagioni di primavera e d’autunno. Qui le famiglie della contrada qui pregavano il sacro rosario della Madonna a Maggio
. Molti altri ammirarono la chiesa turrita quando venivano a parlare e pregare con la conosciutissima Giustina Sbaffoni Agostini, abitante nella casa vicina.
Nel 1953 sor Francesco Squarcia aveva fatto rifare il dipinto su tela, davanti all’altare, ad opera del pittore fermano don Giuseppe Toscani che ripeté le immagini della Madonna con i due santi come quello del secolo XVIII. Questo stesso pittore fu impegnato dal parroco don Giovanni Mattii, nel 1933, a dipingere il soffitto (volto) e le pareti della chiesa parrocchiale belmontese del SS. Salvatore, come si legge nell’iscrizione a lato de battistero.
L’edicola romana, la torre longobarda, la ricostruzione romanica, l’opera dei farfensi e dei fermani, la svendita sabauda, la proprietà Squarcia e il restauro attuale richiamano il senso storico della vita civile, religiosa e monumentale di Belmontesi, in un’opera di plurisecolare bellezza.