Chiesa di Santa Maria Assunta – Castellonbasso
Cenni territoriali
La chiesa sorge nell’abitato di Castellonbasso a ridosso della strada che da Ferentillo porta alla ex Dogana Pontificia di Salto del Cieco, alle pendici di Monte Sant’Angelo alla cui sommità rimangono i resti dell’Eremo di San Michele.
Un territorio carico di storia, a cominciare dall’età del ferro e del bronzo dove le popolazioni che colonizzavano le alture dissodavano terreni, li disboscavano per ottenere pascoli e liberavano superfici da sassi accantonandoli in enormi macere che sono arrivate fono ai giorni nostri; inoltre costruivano castellieri per la difesa dei territori di se stessi e dei pascoli. Uno di questi è attualmente campo di studi sulla montagna di fronte a Castellonalto.
Intorno al V secolo dopo Cristo fu abitato da monaci siriaci che colonizzarono non solo questa ma gran parte della Valnerina. Costruirono eremi nelle numerose grotte presenti nel territorio favoriti dalla presenza di sorgenti di acqua; eremi che con il tempo sono diventati potenti Abbazie come quella di San Pietro in Valle sulla vallata opposta alla presente chiesa.
Il territorio ha mantenuto questa vocazione al ritiro spirituale tanto che ancora oggi in diversi punti a pochissima distanza da qui sorgono eremi moderni che ospitano persone che volontariamente hanno scelto una vita di solitudine e meditazione.
Cenni storici ed architettonici
La chiesa in questione fu edificata nel 1649, come risulta da una scritta su una pietra murata sull’arcata della porta, come cappellina privata della Famiglia Pennacchi in sostituzione della vecchia chiesa del paese che sorgeva nella parte alta ma che è andata distrutta insieme alle vecchie case.
Sulla pietra murata che indica l’appartenenza e la data di costruzione campeggia anche in forma evidente lo stemma dello Stato Pontificio (le due chiavi incrociate) a cui la chiesa in origine era assoggettata.
La chiesa addossata alla strada è di piccole dimensioni ed ha un tetto a spiovente con un campanile a vela. E’ orientata Ovest-Est come la maggior parte delle chiese con architettura romanica del posto.
Interno e simbologia
L’interno conserva un quadro raffigurante la Vergine con il Bambino tra San Pietro e Sant’Antonio abate.
Il dipinto è inserito in una cornice di alto contenuto simbolico: la stessa presenta una decorazione ad ovali nella parte esterna con all’interno fiori di rosa canina.
La simbologia riferita alla Madonna è evidente: gli ovali rappresentano “ l’ovulo”, quindi la riproduzione, la fecondità e la maternità, mentre il fiore di rosa canina di per se rappresenta la castità, la purezza e la fecondità divina. Il fiore della rosa canina, infatti, si autoimpollina e si riproduce senza interventi esterni, rappresentando la maternità della Vergine acquisita mantenendo la purezza e la castità.
Ai due fianchi dell’altare nella parete di fondo sono presenti due aperture che fanno capo ad un corridoio semicircolare con una panca a muro, anch’esso tipico di molti altri santuari terapeutici sparsi per la zona: mi viene in mente per esempio l’Eremo di S. Antonio a Polino) dove il corridoio rappresentava il percorso di purificazione che dovevano compiere i devoti in ginocchio entrando da una porta e uscendo dall’altra; la panca serviva a coloro che si sedevano in meditazione e pentimento per ottenere lo stesso una purificazione dell’anima.
Il giorno 8 settembre viene fatta una festa ed in quell’occasione si celebra la messa e vengono organizzati giochi popolari e tavolate con prodotti tipici.
La chiesa sorge a ridosso di una strada che nel Medioevo era fortemente strategica per i commerci e il transito dei pellegrini nonché delle greggi nel periodo della transumanza: la via della lana.
LA VIA DELLA LANA
La via così nominata è una via di commerci in generale ma ha preso tale denominazione dopo che la famiglia fiorentina dei Medici ha monopolizzato il mercato della lana grezza attraverso i suoi opifici che aveva a Prato e a Firenze.
La via parte da Firenze, attraversa la Toscana passando per Cortona, entra in Umbria dal Lago Trasimeno, passa per Perugia, Assisi, si incrocia con la Flaminia, prosegue per una sua deviazione verso Spoleto, e attraverso un diverticolo che passa per San Mamiliano scendeva a Ferentillo per inerpicarsi alla dogana Pontificia del Salto del Cieco e dirigersi verso Leonessa e l’Abruzzo, in particolare a Santo Stefano di Sessanio.
La lana non era particolarmente redditizia sul mercato, ma consentiva ai Medici di poter riciclare il denaro delle sue banche attraverso il cambio. La stessa via fu anche percorsa in senso inverso dal ferro delle miniere di Montebirbone che dalle ferriere di Ruscio, dove il ferro estratto veniva selezionato e ripulito, saliva per Monteleone, scendeva per Ferentillo, risaliva per San Mamiliano e scendeva dalla parte opposta per imboccare finalmente la Flaminia per Roma e verso lo Stato Pontifico.
Tale strada cominciò a essere particolarmente frequentata anche dai pellegrini quando il papa Celestino V attraverso una bolla del 1294 istituì la festa della “Perdonanza” presso la Basilica di Collemaggio nei giorni del 28 e 29 agosto.
Questa iniziativa sconvolse radicalmente l’ufficio delle indulgenze e richiamò a L’Aquila una miriade di persone da tutta la penisola, e non solo, in quanto l’indulgenza plenaria in questo caso era concessa anche a poveri e diseredati che in quelle date avessero visitato devotamente la Basilica. Questa novità sconvolse persino le stesse autorità ecclesiastiche in quanto rivoluzionava il sistema che fino ad allora concedeva le indulgenze a pagamento (tranne che per i Crociati) e potevano essere appannaggio solo di ricchi che se la comperavano in cambio di sostanziose elemosine.
Un gran numero di persone che arrivavano all’Aquila passavano proprio per la via della Lana ed è normale che lungo il suo percorso nascessero attività di ristoro che alleviassero la fatica sia ai pellegrini che ai commercianti.
L’economia cominciò a fiorire su tutto il tragitto, soprattutto in quelle aree montane più sicure e salubri quando nei fondovalle imperversava la malaria, pestilenza dovuta alla presenza spesso di zone paludose e malsane. La montagna garantiva inoltre una maggiore difesa per la protezione. Nacquero agglomerati urbani intorno alle stazioni di posta, centri di difesa delle strada con castelli e torri di guardia ed infine chiese per il ristoro dello spirito: la Valnerina ne è uno degli esempi più rappresentativi.
Tornando all’antica destinazione del commercio della lana possiamo dire che i Medici la svilupparono per accrescere il loro potere politico ed economico: se da un lato il feudo abruzzese di Santo Stefano di Sessano da loro acquisito, era strategicamente vicino allo Stato Pontificio, avamposto ideale di trame politiche e militari, dall’altro forniva ai signori di Firenze quell’importante materia prima: la lana.
Di tipo grossolano e detta appunto “carfagna“, prodotta da milioni di pecore pascolate a Campo Imperatore, in gran parte nera la lana veniva cardata a Prato e usata per confezionare panni ruvidi come sai, abiti militari o per fare materassi. Questi prodotti venivano poi venduti in tutta l’Europa. Tale commercio fu favorito sotto il dominio degli Aragonesi, che nel 1474 stabilirono l’abolizione della tassa sugli animali, il riordino dei pascoli di Puglia e consentirono un forte sviluppo della pastorizia e della transumanza al punto che in quell’anno Santo Stefano di Sessanio, Calascio, Rocca Calascio e Carapelle paesi di poche anime, registrarono nella dogana di Puglia ben 94.070 pecore.
Nel 1579 avviene la cessione del borgo alla famiglia De’ Medici. In questo periodo Santo Stefano raggiunge il massimo splendore come base operativa della Signoria di Firenze e lo sviluppo della viabilità in quel tratto di strada della Valnerina, associato al ferro delle miniere e ai pellegrini della fede raggiunge le punte più alte di presenze.
Il dominio dei Medici di questi territori durò dal 1579, fino al 1743. In seguito con l’unità d’Italia e la privatizzazione delle terre del Tavoliere delle Puglie ha termine l’attività millenaria della transumanza e inizia un processo di decadenza del borgo che vede fortemente ridotta la popolazione a causa del fenomeno dell’emigrazione.
La Via della lana finì con la fine “della lana “ dovuta all’abbandono della pastorizia, alla chiusura delle miniere di Montebirbone per la scarsa reddività e qualità del filone ferroso, al calo della fede e allo sviluppo viario dei fondovalle su direttrici diverse che contribuì in maniera determinante all’emarginazione delle “ vie minori”. Questo diverticolo da San Mamiliano al Salto del Cieco e Leonessa da primario diventò secondario, fuori dalle grandi direttrici appenniniche e tutto venne abbandonato.
Ad oggi questo territorio carico di storia è custodito da quei pochi sopravvissuti che hanno avuto la tenacia e la forza di restare ancorati alle proprie radici. Questi sono i pochissimi abitanti della Valnerina custodi ultimi di tradizioni e attività millenarie che rischiano di essere perdute. Pochi contadini e pastori sopravvissuti che si sono riconvertiti a trarre un minimo di profitto dal turismo sportivo, di tempo libero o ai passeggiatori domenicali; solo i castelli e le chiese abbandonate e chiuse sono rimaste testimoni storiche di un passato che le ha viste protagoniste di una storia oramai scritta solo nelle pietre spesso diroccate delle loro mura o nei resti di affreschi che ancora colorano come vecchi maestri di fede e di cristianità ruderi carichi di storia avvolti dall’edera e dai rovi. Le strade semideserte per tutta la settimana si popolano solo la domenica di gente distratta ignara e inconsapevole della storia che li circonda e che, con le loro auto frettolosamente attraversano.
Fonti documentative
Notizie riportate da una conferenza specifica sull’argomento tenuta dal relatore Giovanni Tomassini che si è tenuta nel mese di aprile 2014 a Castellonbasso nella chiesa di Santa Maria Assunta.
Dello stesso autore si consiglia la lettura del libro ” Gli ultimi custodi del tesoro Templare ” Editrice ATANOR.