Appennino perduto – Monte Ceresa (AP)
Una parte di storia che abbiamo perso.
Cenni descrittivi
Stiamo trattando un’area delimitata a nord dal Fluvione e a sud dal Tronto, l’area del Monte Ceresa è una vasta zona montuosa con una estensione di circa 120 Kmq (12.000 ha), con punta massima di quota al M. Ceresa (m 1494) e al Pizzo Cerqueto (m 1347).
L’elevato interesse naturalistico e culturale di tale area, oltre che la sua notevole omogeneità geologica e botanica, ne fanno un potenziale polo di riequilibrio e cerniera fra i due Parchi dei Sibillini (a Nord-Ovest) e del Gran Sasso e M. della Laga (a Sud).
Amministrativamente divisa tra i Comuni di Acquasanta, Arquata, Montegallo, Roccafluvione e in piccola parte Ascoli, è punteggiata da frazioni che si spingono anche a quote notevoli come Capo di Rigo (m 925), Piandelloro (m 804), Agore (m 851), Peracchia (m 871).
La loro origine si può far risalire tra il 1200 ed il 1600, ma di qualcuna di esse (Venamartello, ad esempio) si ha notizia in qualche documento fin dai primi anni del 1000. Non è escluso che qualche frazione risalga al 578, quando, in seguito alla marcia verso Ascoli di Faroaldo duca di Spoleto, parecchi cittadini fuggirono sulle montagne fondando nuovi insediamenti.
Come molti altri paesi della zona, fin dal 1550, anche questi subirono le conseguenze della lotta al banditismo che comportava spesso la distruzione dell’intero abitato per snidare o punire i banditi che vi si rifugiavano e i montanari che davano loro ospitalità. Nonostante ciò sono giunti a noi agglomerati edilizi sostanzialmente omogenei anche se in condizioni generalmente precarie.
Oggi, accanto ai paesi totalmente spopolati dopo la grande migrazione degli anni cinquanta, come è stato per Rocchetta e Poggio Rocchetta, ve ne sono diversi con un numero di abitanti vicino o sotto le dieci unità, in prevalenza anziani. Da tutto ciò si può prevedere che il totale abbandono delle frazioni montane si compirà entro pochissimi anni, portando dei danni ancora più rilevanti all’intero sistema montano.
Il territorio è caratterizzato dalla presenza di grotte tufacee e pareti montane che si gettano a strapiombo lungo il corso dei torrenti con altezze che superano spesso i 30 metri.
La zona è tappezzata di paesi abbandonati arroccati sulle alture ed edifici rupestri usati sia come abitazione che ricovero per bestiame e foraggi, il tutto perfettamente integrato e modellato nel paesaggio.
Sentiero da Piandelloro a Rocchetta
E’ caratterizzato da ripide pareti e strapiombi su cui si snodano stretti sentieri immersi in un paesaggio roccioso eroso e quasi “ricamato” dagli agenti atmosferici.
Le ville di Piandelloro e Agore risultano essere nel XVI secolo contrade agrarie e non “Ville”.
Piandelloro viene spesso indicata col nome di Colle Alloro, Lu Colle de Lloro e Pianelloro.
Solo nel 600, col sorgere delle prime abitazioni, si ritrova la dicitura di Villa Pianellori anche se da altri documenti si legge che gli abitanti di queste zone alla fine dell’Ottocento abitano ancora nelle grotte.
Rocchetta
“Li poveri huomini che sono forscia dece case debiano patire et pacare per tucte le altre sopradicte ville quale per la majore parte del tempo stan disobedienti et non pacano ne alla Camera ne a questa Magnifica Comunità”.
Che se i Rocchettani pagano “non se porriano mai revalere dalavena Amartello Tallacano et altri lochi e poi essi per la loro extrema povertà non serria possibile aresistere a pacare”.
Questo scritto di Rocchetto alla città di Ascoli (1520) dimostra che la villa godeva di miglior benessere di quelle circostanti, tanto da divenire “appetibile a mastri lombardi, quali m° Giorgio Joannitti di Valle Veris, Domodossola, m° Domenico Di Giorgio, e m° Martino Graziosi che prende dimora stabile in Poggio Rocchetto” (Cognoli V. – 1993).
Il paese ha un’origine molto antica poiché il suo nome compare nei capitoli dello stato di Ascoli e Norcia del 7 agosto 1255.
Una vertenza del 1356, esposta da abitanti del borgo contro un tale Fra Marino, costituisce prova dell’avvenuta organizzazione di Rocchetta in villa.
Norcia cedeva a favore di Ascoli tutti i diritti che potevo accampare sul castello di Rocchetta.
Il catasto ascolano del 1458, inoltre, documenta la ricchezza e il prestigio di Rocchetta nel XV sec.
La Villa ebbe dal Quattrocento una crescente fioritura economica poiché risultava, grazie al suo legame con Farfa, membro del monastero di S. Salvatore di Rieti e sede di chiesa curata che aveva rendite, proventi, emolumenti e decime.
Nel ‘500 il paese entra a far parte del “Sindicato di Venamartello” e la sua prosperità si evince dalla presenza di quarantotto fuochi insieme a Poggio, frazione ad essa collegata, in quanto risulta essere, tra le altre ville, la più ligia ai doveri fiscali. All’epoca il paese era raggiungibile solo a piedi poiché sprovvisto di una strada carrozzabile, e il gravoso problema fu risolto solo nel secolo scorso.
Degno di nota è l’originalissimo metodo costruttivo della quasi totalità delle abitazioni di questo paese poiché le case sono costruite sfruttando il naturale andamento degli strati rocciosi che in questo modo entrano a far parte degli stessi fabbricati.
Nei terrazzamenti sottostanti evidenti grotte, alcune scavate, altre naturali che servivano come riparo e stalle per gli animali.
La chiesa del paese è intitolata a San Silvestro e venne costruita nel 1526, come rivelato dalla data incisa nelle lesene interne, per essere poi restaurata nel 1947.
Attualmente il paese risulta completamente abbandonato e disabitato, ma seppur diroccato trasmette un fascino unico.
Sembra comunque che qualcuno abbia iniziato un recupero di qualche abitazione per uso turistico e di valorizzazione del complesso strutturale.
Poggio Rocchetta e Agore
Poggio Rocchetta seguì le vicissitudini di Rocchetta.
Agore, contrada agraria, è stata denominata in maniera molto varia nel tempo; “.. nel ‘500 è detta le Lacora, le Lacura, la Peza de le Lacura, contrada delle Laquera per divenire poi villa Lacoris nel 1670, villa Acorarum nel 1756 e Lucura”.
La chiesa del paese è dedicata a San Donato.
Capo di Rigo
La chiesa di Capodirigo, dedicata a S. Caterina, venne edificata nel 1412 come attesta l’atto rogato dal notaio romano Antonio Butij Godoni.
Dai documenti scopriamo che due maestri furono gli artefici della costruzione: Antonio Zannis, lombardo, che costruì “unam voltam lapideam ad crocevia cum uno archo de lapidibus cuncis et scarapello” e Jacobo Johannis che realizzò “pilos seu sepolturas tres cum voltis lapidum”.
La chiesa è caratterizzata do un interessante portale scolpito in arenaria, che nella chiave di volta raffigura un vecchio barbuto con la frangetta appena accennata, caratterizzato da grandi orecchie ed un’espressione ieratica, ai lati del quale vengono rappresentate rispettivamente una figura alata con un copricapo conico e un uccello alato raffigurante un’arpia.
Nei due conci sottostanti, a completare l’arco a sesto acuto di stampo romanico gotico, la complessa figurazione presenta a sinistra un francescano dalla folta e lunga capigliatura con una corona in testa, inginocchiato, nell’atto di offrire dei doni con l’invocazione “O mortem accipe aurum et argentum dona mihi vitam”, mentre a destra si contrappone una figura adamitica nell’atto di scoccare un freccia, con ai piedi un mostruoso animale, accompagnata dalla scritta: “Ego non accipio nec aurum nec argentum sed vitam iustam”.
L’interpretazione d’insieme data alla figurazione fa riferimento al fatto che, probabilmente, in questo periodo nella zona dell’Appennino centrale si rifugiarono alcune comunità di catari, i quali vennero perseguitati, ma rimasero fedeli alle loro convinzioni, avendo forse appoggio da qualche signorotto locale.
Si colgono infatti nei testi e nelle figure i valori condivisi dai movimenti pauperisti e dai seguaci di San Francesco, come il concetto di Povertà, reso nell’atto di donazione di beni materiali, e nel concetto di Umiltà che si concretizza nella figura alata di sinistra (forse lo stesso principe vescovo rappresentato di fronte?) che si eleva superando l’orgoglio e la protervia della gerarchia ecclesiastica simboleggiata dalla mitra calcata in testa alla figura e aborrita dai valdesi sotto ogni forma.
La Castità viene invece rappresentata dalla vittoria sulla lussuria rappresentata dall’arpia.
Sasso Miglio
Caratteristico punto di insediamento rupestre tipico di queste aree, dove la conformazione della roccia favoriva la costruzione di abitazioni rupestri. Anche qui c’è presenza di acqua e di caratteristiche cascate, le strutture costruite dai pastori e dai boscaioli fanno capire la dura lotta di contesa del territorio da parte dell’uomo con la natura.
Grotta Casa Casale
La zona presenta scorci naturalistici unici e tipologie costruttive di particolare interesse, infatti anche qui, come in altre zone trattate sorgono case rupestri murate a secco e addossate alla roccia che con la sua copertura funge da tetto. Anche qui la presenza delle rocce e dell’acqua caratterizza il paesaggio arricchendolo di cascatelle molto suggestive.
L’asprezza del territorio fa immaginare la dura vita che gli abitanti hanno dovuto sopportare per garantire per loro e per i propri figli la dura sopravvivenza in questo ambiente piuttosto ostile.
Grotta del Petrienno
La grotta è praticamente invisibile anche se le dimensioni sono ragguardevoli, infatti parliamo di circa 60 metri di larghezza e 15 di profondità, ma è integralmente coperta dagli alberi che la nascondono alla vista delle persone inesperte e incassata in una stretta valle del tutto invisibile a distanza.
Per entrare nella grotta occorre guadare il fiume e passare sotto la cascata e ciò può diventare un problema nei periodi di piena dello stesso, ma cose normali il percorso è affascinante.
Durante l’ultima guerra la grotta è stata rifugio di alcuni soldati americani e la testimonianza del loro passaggio è documentata da alcune scritte che gli stessi hanno lasciato sulle pareti.
L’ambiente della grotta è caratterizzato da strutture addossate alla roccia, sono i resti tangibili di una popolazione che aveva fatto di questi luoghi la propria casa mantenendosi con la pastorizia e con la coltivazione, manutenzione e sorveglianza delle aree boschive.
Gli ambienti che avevano realizzato sono unici nel loro genere, fatti con materiali del luogo e addossate alle pareti di arenaria, in simbiosi con l’ambiente circostante.
Le strutture sono a due piani con scala esterna in legno, utilizzando il piano terra per il ricovero degli animali, il soppalco superiore, costituito da una struttura portante in travi di legno con ripiano di tavole e piccoli tronchi serviva per l’essiccazione delle castagne e deposito per il fieno e la “sfoglia” (nel gergo dialettale la sfoglia era costituita dai ramoscelli e dalle foglie più tenere che, raccolti nei mesi estivi, venivano poi conservati ed utilizzati come fieno per i mesi invernali).”
Nelle vicinanze si trova anche una località detta “Le Pagliare”, un insediamento rurale, probabilmente di origine medievale, con manufatti del genere appena descritto utilizzati come magazzini di paglia e fieno.
Sul tetto della grotta si sono formati dei “disegni” generati dall’erosione dell’arenaria dovuta agli agenti atmosferici (vento ed acqua) che hanno in qualche modo “ricamato” la roccia.
Nelle limpide e incontaminate acque del torrente vive ancora il Gambero di fiume ( Austropotamobius pallibes )a dimostrazione della purezza ed integrità dell’ambiente.
Fonti documentative
Si consiglia fortemente l’acquisto del libro “Monte Ceresa – Guida escursionistica con itinerari di mountain bike Club Alpino Sezione di Ascoli Piceno 2005″, dove troverete molte altre informazioni interessanti, percorsi sia a piedi che in bici e la cartina dettagliata dell’intera area.
Documentazione fotografica
Foto di Cicio Fabrizio guida CAI sezione di Foligno e per il Borgo di Rocchetta e le Grotte del Petrienno il sostanziale contributo fotografico di Alberto Monti.