Abbazia ( Lebbrosario ) di San Lazzaro in Valloncello – Preci
Cenni Storici
Di fronte il Castello di Belforte, deserto e in rovina, sulla destra, si apre una stretta valle, che ebbe il nome il “Valloncello”: questa valle, solcata da un rivo d’acqua, si insinua tra i monti, serrata da alte e scoscese pareti, fino a cessare tra le aspre rocce dove si forma una cascata, detta “lu Cuniuntu”. Dove il Valloncello si allarga alla Valle del Nera la tradizione locale vuole che San Francesco abbia eretto “una casa” ove trovassero accoglienza quanti erano stati colpiti dalla lebbra, lasciando così all’umanità un messaggio di speranza e di vita, diretto a quelle persone che rimaste infette, erano costrette ad allontanarsi dalla società.
Le origini del lebbrosario, del quale alcune parti sono ancora visibili nel paese di San Lazzaro al Valloncello, risalgono probabilmente al 24 settembre 1218. In questa data un certo Razzardo di Roccapazza donò una vasta area di terra, parte coltivata e parte a pascolo, per erigervi una chiesa ed un ospedale per i lebbrosi, riservandosi il diritto di pascolarvi il suo bestiame. Su tale donazione e sulla decisione dei massari di Roccapazza a contribuire all`edificazione dell`ospedale dovette probabilmente influire la diffusione dell`ideologia francescana.
La tradizione locale vuole invece lo stesso San Francesco quale fondatore del lazzaretto. Da una pergamena dell`Archivio Comunale di Norcia del 1342 si ricavano alcune notizie in merito all`ospedale: i ricoverati avevano la possibilità di vivere con le famiglie e l`unica limitazione imposta ai lebbrosi era quella di non poter più lasciare il lazzaretto. Un antico privilegio dava ai superiori dell`ospedale l`autorità di far ricoverare i malati di lebbra delle diocesi di Spoleto, Camerino ed Ascoli, anche se i parenti si opponevano. Questo privilegio fu riconfermato da Eugenio IV nel 1432. Si ritiene che l`ubicazione del lebbrosario sia in rapporto con l`isolamento naturale del luogo e con la presenza di sorgenti di acque sulfuree, che a quel tempo dovevano sgorgare nella zona e che successivamente, a causa di terremoti, si prosciugarono.
La Chiesa di San Lazzaro al Valloncello e l`ospedale per lebbrosi furono affidati nel 1218 ai monaci dell`Abbazia di Sant`Eutizio; nel sec. XIV ai frati minori; nel 1572 all`ordine del SS. Maurizio e Lazzaro che lo dava in commenda ai suoi cavalieri. Intorno agli anni ’50 dell’Ottocento la proprietà passò alla famiglia Sorbello, che nel 1914, atto sottoscritto da Ruggero Borbon Sorbello, che alla morte di Donna Altavilla Ranieri (avvenuta nel 1914) la vendette alla famiglia Betti Massi di Poggio di Croce e ai Betti di Belforte, per essere trasformata di li a poco in complesso abitativo privato e rimessa agricola.
Approfondimenti
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Nascita del lebbrosario
Il più celebre degli insediamenti francescani “valneriniani” è, senza dubbio, quello dei Santi Lazzaro e Maurizio del Valloncello, nella Valle castoriana, territorio nursino. Sorgeva lungo le rive del Nera a ridosso di una granitica roccia ricoperta in gran parte di boschi cedui, che formano da un lato una collina verdeggiante e dall’altro praterie, allo sbocco di quella valle angusta e sassosa, che adduce agli antichi castelli di Razzardo, tra i paesi di Triponzo e di Preci.
Il lebbrosario di San Lazzaro del Valloncello sarebbe stato fondato da San Francesco – o per San Francesco – il 24 settembre 1218 dal monaco Bono, con la concessione di una vasta area, da parte del signore Razzardo, feudatario di Roccapazza (rimasto impressionato, a detta della tradizione, dalla vita e dalla predicazione del Poverello di Assisi), al sacerdote Bono, rettore della limitrofa chiesa di San Cataldo, per edificarvi una chiesa ed un ospedale ad uso dei lebbrosi, di altri infermi ed anche di persone sane.
In loco, è ancora visibile, al di sopra di una porta, la pietra che, in caratteri gotici, documenta tale erezione proprio nel 1218.
Un ospedale sempre più efficiente
L’ospedale visse vita autonoma, forse sotto la protezione dei monaci eutiziani, i quali, in quel periodo, vantavano una larga giurisdizione feudale e disponevano di ottimi medici. Non aveva l’ampiezza e la grandiosità di altri simili ospedali sorti in varie parti d’Italia, ma offriva molti conforti atti a lenire, oltre ai dolori del corpo, quelli dello spirito.
I lebbrosi di San Lazzaro venivano amorevolmente accolti e curati, non dormivano sugli assiti, godevano di una libertà considerevole e le amarezze del loro isolamento venivano in gran parte mitigate. L’ospedale quindi, rispondeva a perfezione alle necessità di riposo e di svago dei lebbrosi ed offriva ad essi medicine e cibi, compresa la carne di vipera di montagna (alla quale si attribuivano virtù prodigiose). Il complesso, considerato da molti “unico” lebbrosario francescano è un luogo reso irriconoscibile dai continui terremoti che si sono abbattuti su questa terra. Sono ancora riconoscibili le due navate originali coperte da volte ogivali a crociera con costoloni confluenti su un pilastro cilindrico centrale. Un piccolo ambiente adibito ad oratorio vede sul proprio altare una tela del sec. XVII raffigurante la “Madonna con Bambino e Santi”.
L’impegno di Francesco d’Assisi
La tradizione concorda unanimemente nel raccontare l’impegno di Francesco d’Assisi e del suo Ordine rivolto ai lebbrosi del convento-nosocomio. In un documento del 1345 il vescovo di Spoleto Bartolomeo Bardi, nel tentare d’imporre un canone a questo luogo a favore dei lebbrosari di Spoleto sottolinea la fondazione di San Lazzaro ad opera dell’Apostolo umbro:
l’ospedale dei lebbrosi di San Lazzaro del Valloncello si ritiene fondato da San Francesco ad uso dei poveri infermi e soprattutto dei frati minori colpiti da lebbra. E in loco permangono ancora molti frati dell’Ordine dei Frati Minori, infetti da tal male
Da un processo intentato nel 1344, si apprende che il lebbrosario fu costruito da San Francesco, il quale «più volte si recò in detto ospedale a lavare i piedi ai lebbrosi e a visitarli», ed anche che «quello era l’unico ospedale per ricoverar frati lebbrosi e poveri che esistesse in tutta la regione». Nel 1490, Innocenzo VIII decretò la soppressione del lazzaretto, poiché ” Deo gratis” – andavano scomparendo i casi di lebbra. Il luogo continuò ad essere nosocomio. Più tardi, nel 1542, San Lazzaro del Valloncello fu affidato all’Ordine dei Gerosolimitani.
Immerso nella natura
Sito in una zona tanto rinomata per i suoi medici e chirurghi, ricca di flora medicinale (la digitale, il felce maschio, la centaurea, la genziana), pascolata da una quantità di bestiame ovino e caprino e irrigata da acque vive e perenni, offriva tutti i vantaggi e tutte le comodità di una stazione climatica. Ottimo coefficiente era determinato dalle acque sulfuree di Triponzo e da quelle rinomatissime della Madonna della Peschiera in Preci.
L’ospedale in poco tempo divenne uno dei più ricercati lebbrosari dell’Umbria e delle Marche. E’ certo che San Francesco vi portò il contributo della sua esperienza e della sua amorosa attività. Più volte sottolinea padre Luciano Canonici:
(Francesco) si recò in questo angolo sperduto dell’Umbria, così pieno d’incanti e di raccoglimento, per dare pascolo all’anima sua assetata di rapimenti e di estasi, a lenire i dolori dei suoi figli, a dare paterni suggerimenti, a lasciarvi il profumo delle sue eroiche virtù
Il sentiero Benedettino
La vicinanza di una chiesa eutiziana ora scomparsa, S. Cataldo del Valloncello, non sembra casuale se si considera quanti insediamenti francescani crebbero sotto l’ala dei benedettini. S. Lazzaro del Valloncello fu diretto a varie riprese dai frati Minori e dai monaci di S. Eutizio e accolse lebbrosi provenienti da una vasta area circostante. Per quanto appartato, si trovava pur sempre lungo un canale viario importante come la valle del Nera. Nel 1382 ospitò Amedeo VI di Savoia detto il Conte Verde, alla testa di truppe dirette a Napoli.
Nel 1450 l’ospedale fu affidato al comune di Norcia senza che venisse menò la presenza dei monaci eutiziani. Uno di questi, fr. Barnaba Fusconi, fu insignito del titolo di cavaliere e maestro generale di tutto l’Ordine Gerosolimitano di S. Lazzaro “di qua e di là dal mare” (1492). Dopo il 1572 l’ospedale passò all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro che ne assegnò le rendite ai vari commendatari, fra cui alcuni cavalieri di casate nursine. Uno stemma di questa fase è visibile ancora sul fabbricato più grande.
Dopo un lungo periodo di decadenza, dovuta anche al declino del morbo, l’istituzione fu soppressa e i beni immobili passarono in mano di privati. Della chiesa francescana trecentesca, divisa e rimaneggiata alla meglio dopo i terremoti del Settecento, sopravvivono alcune strutture architettoniche nella parte interna riconvertita ad uso rurale. Sono due nude volte a crociera innervate da costoloni, una monofora richiusa e un pilastro cilindrico centrale di modello assisiate, uniche testimonianze di un mondo sparito per sempre.
Da vedere nella zona
1 Terme di Triponzo ( in uno stato di abbandono )
2 Cascate de lu Cuniuntu
3 Iscrizione rupestre a Triponzo sull’antica ” Via Nursina”
4 Balza Tagliata sull’antica ” Via Nursina”Semigalleria scolpita nella roccia
Bibliografia
www.lavalnerina.it
www.precivacanze.it
www.umbria.ws