Abbazia di Santa Maria di Propezzano – Morro d’Oro (TE)


 

Cenni Storici

La chiesa di Santa Maria di Propezzano Insieme con l’adiacente monastero fu parte dell’abbazia omonima appartenuta all’ordine dei padri benedettini. Il cenobio si sviluppò nello stesso periodo in cui crebbero nella vallata teramana anche altri importanti abbazie come San Salvatore di Canzano e San Clemente al Vomano. Il nome “Propezzano” sembra si possa etimologicamente ricollegare a quello della Madonna Propiziatrice ai miseri, cui la chiesa è intitolata. L’edificazione della chiesa, secondo la tradizione, nasce dal miracolo dell’apparizione della Madonna avvenuto in questo luogo il 10 maggio 715. Malgrado non siano state ritrovate fonti medioevali e lo smarrimento delle carte dell’abbazia, la narrazione dell’evento miracoloso è stata tramandata dalla lunga iscrizione quattrocentesca affrescata, e ancora oggi parzialmente leggibile sulle parti d’intonaco rimaste, nella porzione di muro sopra al portale d’ingresso, dipinta per volere del canonico atriano Andrea Cerone.

L’iscrizione narra della sosta di tre pellegrini tedeschi, definiti “archiepiscopi magni“, che qui si fermarono per riposare sotto un piccolo albero di corniolo durante il viaggio di ritorno dalla Terra santa. Questi avevano assicurato ai rami della pianta i loro cavalli e appoggiato le borse in cui trasportavano alcune reliquie prese in Palestina.

Poco dopo l’albero iniziò a crescere rapidamente sollevando verso l’alto le loro bisacce, e questi, nonostante i numerosi tentativi, non riuscirono a riappropriarsene dovendovi rinunciare e continuare ad osservarle, increduli, appese e irraggiungibili sui rami. Stupiti e intimoriti dall’accaduto si raccolsero in preghiera chiedendo a Dio una spiegazione del prodigio. Si narra che furono presi da un sonno immediato e che si manifestò loro in sogno la Madonna chiedendo che in quel luogo fosse edificata una chiesa. Appena svegli iniziarono a costruire un altare ai piedi della pianta di corniolo. La pianta si riabbassò e consentì loro il recupero delle borse. Il ricordo dell’evento è stato ulteriormente illustrato nei dipinti della fine del Quattrocento all’interno della chiesa e negli affreschi seicenteschi del chiostro dell’abbazia. Al di sopra del portale romanico la scritta, con caratteri neri ed iniziali rosse così recita:

«HOC OPUS FECIT FIERI FRATER ANDREAS CERONIS CANONICUS ADRIENSIS REVERENDI PRIORIS DOMINI IOHANNIS (…) ECCLESIE NEAPOLITANE HUIUS VENRABILIS ECCLESIE SANCTE MARIE PREPOSITI VICARIUS DE PECUNIA IPSIUS PREPOSITI SUB ANNO DOMINI MCC (…)»

Mario Moretti riporta la trascrizione che ne fece Vincenzo Bindi, il quale, a suo tempo, leggeva: «HOC OPUS FECIT FIERI ANDREAS SIMONIS CANONICUS ADRIENSIS (…) ANN. D. MCCLXXXV» da cui si evince la data 1285, che altri storici hanno decifrato anche come 1466. Questa datazione del Bindi corrisponderebbe alla data di costruzione della piccola chiesa che si componeva di una sola navata con abside, alla cui facciata era addossato il nartece di ingresso sotto cui si apre il portale romanico sovrastato dalla lunetta che contiene il dipinto della Madonna col Bambino.

Architettura
Annessa all’importante e ricco complesso abbaziale, la chiesa attuale presenta una struttura articolata di gusto romanico con lievi influssi ogivali. Il prospetto principale è movimentato dalla stratigrafia di vari interventi costruttivi come testimonia il sovrapporsi di lavori eseguiti in diverse epoche. Il primitivo edificio, la cui fondazione è riferibile al periodo altomedioevale, fu sottoposto a due radicali interventi di trasformazione: la prima all’inizio del XII secolo e la seconda con l’ampliamento operato verso il XIV secolo. La porzione dell’edificio che risulta più antica è quella costituita da una prima cappella romanica, risalente forse al XII secolo, di cui è riconoscibile l’oculo inferiore, dalle linee semplici e ora leggermente decentrato rispetto a quello superiore, dal piccolo portico ad archi ogivali sorretti da tozze colonnine e dalla parte inferiore della facciata. All’inizio del XIV secolo furono aggiunti alla fabbrica i corpi laterali, che determinarono la ripartizione dell’aula interna in tre navate, la parete superiore della facciata che termina con il coronamento orizzontale decorato con archetti pensili intrecciati, il rosone con ghiera in terracotta, ed il portale atriano. La struttura è punteggiata da elementi di frammenti erratici di reimpiego. A sinistra del prospetto principale si innalza la torre campanaria aggiunta nel XV secolo.

La Porta Santa
All’esterno, sul lato sinistro attiguo al piccolo nartece, è posto un ricco portale in pietra attribuito all’opera della bottega di Raimondo del Poggio e databile nei primi anni del Trecento. La porta, detta Porta Santa, viene aperta solo il 10 maggio e nel giorno dell’Ascensione in ossequio ad una tradizione di data imprecisata. Fu qui rimontata, per volere degli Acquaviva, nel XVI secolo in occasione della celebrazione di un anno santo. Il manufatto fu spostato dalla sua originaria collocazione nella parete presbiteriale della chiesa, dove era posto al centro della cappella dell’abside, che reca ancora riconoscibili le tracce lasciate dalla rimozione. Le caratteristiche delle decorazioni dell’archivolto a tutto sesto, con quattro ghiere concentriche, e lo stile architettonico richiamano il portale eseguito da Raimondo del Poggio, posto sul fianco destro della cattedrale di Atri, per questo è definito anche come il “portale atriano”.

L’interno
L’aula interna, a pianta basilicale, ora su tre navate di quasi uguale grandezza, scandite da imponenti con archi a tutto sesto è riferibile ad una struttura di gusto romanico-gotico. I pilastri si susseguono mostrando semicolonne in corrispondenza dei sottarchi. La zona del presbiterio è sopraelevata e incomincia a rialzarsi verso la metà della campata terminale. Le absidi sono costituite dal movimento delle ultime campate. All’altezza della zona terminale della navata centrale si trovano i resti delle mura dell’abside della piccola chiesa del 1215, ritrovati e lasciati a vista dall’intervento dei lavori di restauro. Sulla destra dell’ingresso si trova un’acquasantiera il cui basamento a colonna liscia si poggia su un capitello romanico rovesciato decorato da un calato di foglie lanceolate disposte su due ordini.

Gli affreschi
La chiesa conserva internamente alcuni affreschi fra cui interessanti sono quelli posti in alto nella navata centrale, nella parete del soprarco della seconda campata di sinistra, risalenti al 1499, come riportato sotto l’immagine della Vergine genuflessa. Questi descrivono l’evento miracoloso della rapida crescita della pianta di corniolo, l’apparizione della Vergine e l’inizio della costruzione della chiesa. I racconti compaiono all’interno di cinque registri alla cui base di ognuno si legge una piccola didascalia, che si compone di due righi scritti in lingua volgare, che descrive quanto rappresentato. Il tema pittorico si compone inoltre della raffigurazione di un’Annunciazione. Sulla parete di controfacciata di sinistra una nicchia ogivale in mattoni contiene resti apprezzabili di un dipinto della Crocifissione. La ripartizione compositiva dell’opera vede ritratte a sinistra della croce il gruppo delle Marie che sostengono l’Addolorata svenuta, mentre a destra si trovano san Giovanni apostolo e la Maddalena genuflessa.

Il chiostro
Annesso al monastero dell’abbazia vi è anche il chiostro, a pianta quadrata, a due ordini di arcate sostenute da pilastri in cotto e laterizio sotto le quali ci sono i corridoi coperti cui si accede dai locali del monastero. Al centro del cortile interno, nella zona dell’area scoperta, vi è il pozzo, del XVI secolo, con la vera ottagonale in mattoni sormontata da due colonnine che sorreggono una copertura a spiovente. L’edificazione del chiostro avvenne in due momenti diversi. Risulta coeva a quella della chiesa la parte di porticato inferiore dei primi anni del XIV secolo, con pilastri a sezione ottagonale, mentre nel XVI secolo furono aggiunti gli archi e le colonne in laterizio, a sezione tonda, del loggiato superiore. Le lunette del chiostro sono state affrescate nei primi anni della seconda metà del XVII secolo. Lo storico Niccola Palma ne attribuì l’esecuzione al maestro polacco Sebastiano Majeski.

 

Mappa

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