Abbazia di S. Clemente a Casauria – Castiglione a Casauria (PE)

Cenni Storici

Abbazia | La storiaSecondo la testimonianza del Chronicon Casauriense l’Abbazia di S. Clemente viene fondata nell’871, come ex voto, dall’imperatore Ludovico II, scampato miracolosamente alla prigionia per intercessione di Papa Adriano II. E’ nota la volontà politica di Ludovico II, imperatore d’Italia dall’855, volta ad affermare l’egemonia franca nella parte meridionale della penisola, dove era forte la presenza di Bizantini, Longobardi e Saraceni. Le spedizioni ivi effettuate sostanzialmente falliscono e culminano con una congiura, ordita dal principe longobardo Adelchi a Benevento. Una volta liberato, scartata l’idea di una rappresaglia, Ludovico II fa sorgere l’Abbazia nell’insula casauriense, vicino una chiesa dedicata a S. Quirico e lungo le sponde del fiume Pescara che sin dall’801 aveva diviso naturalmente i confini dei ducati longobardi di Spoleto e Benevento.

Dedicato inizialmente alla SS. Trinità il cenobio (con l’attiguo convento sorto secondo la regola di S. Benedetto) muta successivamente nome con l’acquisizione delle ossa di S. Clemente nell’872: nell’architrave del portale d’ingresso è raffigurata la leggenda della traslazione (S. Clemente Papa, forse il terzo successore di S. Pietro, nel 96 o 97 sarebbe stato gettato in mare in Chersoneso per ordine di Traiano con un’ancora attaccata al collo; i suoi resti scoperti da Cirillo e Metodio riportati a Roma nell’868). Il primo abate è Romano, scelto per santità di costumi ma anche per una saggia amministrazione dei beni; le prerogative eccezionali e le ripetute donazioni concesse prima da Ludovico II e poi dai suoi successori (il diritto di eleggere l’abate in maniera autonoma, il diritto di giurisdizione civile sui territori soggetti, l’uso dello scettro) portano l’abbazia dotata inizialmente di dodici moggi di terreno appartenenti alla chiesa di Penne ad averne millenovecento l’anno successivo fino a comprendere con Lupo, abate fino al 911, quasi tutta la regione arrivando le sue proprietà al mare Adriatico, al massiccio della Maiella e ai fiumi Pescara e Trigno. L’organizzazione che l’abbazia riesce a comporre nel corso degli anni si dissolve con le scorrerie dei saraceni avvenute intorno al 916: i monaci vengono dispersi e il cenobio devastato ut nihil funditus in eo remaneret (Chronicon Casauriense 123 v.). Allorchè i Saraceni vengono scacciati i monaci casauriensi procedono, sotto Alparo, a recuperare le cose perdute e ad iniziare i lavori di restauro. Costretti dalle ristrettezze cominciano a vendere e a prestare terre, sembra comunque che intorno al 970 il cenobio fosse interamente ricostruito. Nel 1025 l’abbazia mostrava nuovamente i segni dello sfacelo ma l’abate Guido vedendo ruinam parietum, fracturas domorum, pane et vino penum vacuum, nudos fratres, destructum monasterium (Chron. Cas. 181 v.) inizia i lavori di restauro. Nel 1047 l’abate Domenico ottiene da Enrico III un diploma di conferma dei beni; dopo questa data, scosso il prestigio dell’autorità imperiale e vedendosi trascurati, gli abati non si rivolgono più all’imperatore per tutelare i loro diritti bensì al papa. Nel 1051 il nuovo orientamento della politica monastica, articolato nella fedeltà ai pontefici, era in fase di avanzata attuazione.

Un periodo di vera calamità inizia per la chiesa benedettina nel 1076 quando il conte normanno Ugo da Malmozzetto, dei Normanni di Puglia, dando seguito alle scorrerie di Goffredo d’Altavilla e Roberto di Loritello lungo l’Adriatico, penetra nei territori dell’abbazia e, incurante delle minacce di scomunica di Gregorio VII, piega la resistenza dell’energico abate Trasmondo incarcerandolo e devastando il cenobio. Per circa un ventennio l’abbazia subisce i più umilianti arbitrii e le più capillari spoliazioni complice anche la mutata politica del papa che nel 1080 a Ceprano aveva raggiunto un accordo con i normanni per cui, pur di averne l’appoggio, aveva finito di avallarne l’operato.

Caduto finalmente il Malmozzetto prigioniero del conte di Prezza, grazie alla complicità della sorella di questi che l’aveva invitato ad un convegno amoroso (e il Chronicon Casauriense indugia sulla descrizione della cattura con dovizia di particolari paragonando la vicenda a quella di Sansone e Dalila o di Giuditta e Oloferne), l’abbazia riprende nuova vita. Nel 1097 l’abate Grimoaldo incontra papa Urbano II recatosi a Chieti per far proseliti per la prima crociata e narrandogli le peripezie subite dal cenobio ottiene come segno di potestà non lo scettro ma l’anello e il pastorale; al di là dell’aspetto coreografico dell’incontro tramandatoci dal Chronicon Casauriense c’è dunque da registrare il passaggio dell’abbazia dal potere temporale a quello spirituale. L’opera di ricostruzione continua anche con gli abati successivi; con Gisone nel 1113 viene edificata la sacrestia dove venivano conservati i tesori e i paramenti della Chiesa – in quegli anni era attivo anche un infirmatorium (ospedale) – apparendo sempre di più l’abbazia non solo realtà religiosa ma anche organizzata istituzione sociale. Al suo successore Oldrio si devono l’ampliamento delle abitazioni dei monaci e l’erezione della torre campanaria; ma è soprattutto con Leonate, consacrato abate da papa Adriano IV nel 1156, che il cenobio conosce il periodo di maggior splendore. L’elezione di Leonate, già accolto nel monastero da Oldrio come oblato, è contrastata da Ruggero II e dai conti normanni di Manoppello per la loro politica di usurpazione e confisca delle terre della chiesa; viceversa essa permette ad Adriano IV di controllare una regione vicina ai territori pontifici, rappresentando Leonate uno strumento della politica pontificia nei confronti del regno normanno in un periodo di grande tensione. Ricomposte le liti con i conti di Manoppello, l’abbazia ritrova di nuovo prestigio e potenza recuperando i beni temporali. Cardinale, monarca di uno stato con oltre trenta castelli Leonate profonde ogni sua energia nella ricostruzione della chiesa: dopo aver raccolto somme di denaro e chiamato le più abili maestranze comincia dal 1176 a trasformarla con intenti monumentali; muore però nel 1182 prima di portare a termine la sua opera e viene sepolto nella parte destra della chiesa in un tumulo preparato precedentemente.A Leonate succede l’abate Gioele al quale si devono le porte di bronzo dorate divise in compartimenti nei quali si legge il nome dei castelli soggetti all’abbazia. I secoli successivi vedono la progressiva decadenza del cenobio: l’abbazia di Casauria diventa “Commenda Perpetua”, secondo l’uso invalso da parte della Sede apostolica di affidare (commendare) i monasteri in difficoltà economiche o disciplinari a prelati o cardinali per risollevarne le sorti; ma la tentazione di usarne i proventi per i propri interessi invece che per la restaurazione della vita monastica è assai forte e quasi tutti i commendatari vi cedono. Nel XIV secolo, dei possedimenti avuti non rimangono che l’isola di Casauria, Alanno, il castello di Valignano e Castelvecchio Monacisco. Anche le calamità naturali concorrono alla sua decadenza; nel 1349 un terremoto arreca danni ingenti (si rompe fra l’altro la colonna originale del candelabro) mentre nel 1456 un altro sisma definito dal Baratta “il massimo dei massimi” provoca gravi guasti: l’opera di ricostruzione è riconducibile ad un abate della famiglia Sangro. Ormai il periodo d’oro dell’abbazia è però passato: Antonio Ludovico Muratori nel 1726 si rammarica di trovare la sede deserta, le antiche rendite dissipate, quelle che rimangono gestite dagli abati nel loro personale interesse. Con una sentenza dell’8 agosto 1775 si decreta l’abbazia di regio patronato: Don Francesco Caracciolo ne diventa primo abate. Nel 1799 vi alloggiano le truppe francesi comandate dal generale Ruscha che la spoliano derubando il braccio d’argento con la reliquia di S. Clemente e bruciandone l’artistica statua. Nel 1850 viene trasferita alla diocesi di Diano, in provincia di Salerno, appena costituita. Con regio decreto del 1859 la chiesa ed il locale annesso vengono ceduti ai francescani, che ne vengono successivamente espulsi nel 1865 in forza della legge di soppressione degli ordini monastici; il fabbricato viene quindi ceduto nel 1869 al comune di Castiglione a Casauria, in virtù della legge 7 luglio 1866. Poi gli eventi precipitano; lasciata dai monaci e ridotta a magazzino, stalla, ripostiglio cadrebbe, verso la fine del secolo, nella più completa rovina senza la sensibilità di Pier Luigi Calore che comprende la straordinaria importanza artistica e storica dell’edificio e assistendo alla sua triste dissoluzione avverte che preservare il tempio è un’alta opera per l’arte e la civiltà “Questo piccolo uomo dal gesto veemente ama una grande cosa morta e l’ama con tutte le forze della passione umana” (G. d’Annunzio). Dopo gli appelli del Calore il complesso benedettino, dichiarato monumentale con regio decreto 28giugno 1894 e retrocesso allo Stato nel dicembre 1903, è oggetto di vari interventi di riparazione; si segnalano in particolare quelli effettuati dal Gavini a più riprese a partire dal 1919 e i più recenti che, fra l’altro, hanno portato alla luce le mura del chiostro.

 

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