Abbazia dei Santi Fidenzio e Terenzio – Massa Martana
Cenni Storici
La leggenda dei due Santi, già conservata in un “codice” perduto della cattedrale di Todi, del 1211, li diceva provenienti dalla Cappadocia e martiri sotto Diocleziano nel 303.
I santi , originari della Siria, partirono da Roma per diffondere la religione cristiana. Giunti nel territorio tudertino, al tempo dell’imperatore Diocleziano, furono catturati e martirizzati “in Civitate Martana, Tuderto proxima”.
I loro corpi furono poi sepolti segretamente nel luogo dove ora sorge la chiesa. Probabilmente, però, molto prima di questa venne eretto, sul loro sepolcro, un oratorio, come suggerisce una pietra della cripta con l’iscrizione “Beatus Fidentius et Terentius hic requiescunt“, i cui caratteri sembrano ascrivibili ai secoli VII, VIII. Le reliquie dei loro corpi vennero riesumate nel 1629 dal cardinale Boncompagni e trasportate nel paese di Bassano di Orte.
L’Abbazia dei Santi Fidenzio e Terenzio si crede fatta costruire dai Nobili di Massa nel XI secolo ma la fabbrica più antica sembra risalire ai secoli IX o X quando, nell’attiguo monastero, vi si installò una comunità di monaci benedettini che la ressero fin verso la fine del 1300.
Lo Iacobilli sostiene che l’insediamento si formò poco dopo il 900 sulle rovine dell’antica “ Città Martana”.
Fu pieve importante con alle sue dipendenze molte chiese e castelli. Dai registri delle decime risulta che nel 1276 aveva sei monaci retti da un abate Pietro. In seguito, ai monaci benedettini, subentrò il clero secolare.
Rimase per un certo periodo alla protezione dei conti di Coldimezzo, sotto la cui influenza rimase per un certo tempo.
Con certezza, si è a conoscenza che l’Abbazia, nel 1276, era retta da un abate Pietro, (il cui nome, unitamente a quello di alcuni monaci risulta dai registri delle decime), e che nel 1320 i tudertini protestavano all’abate del tempo il loro diritto dì indipendenza nei confronti del rettore del Patrimonio di San Pietro.
Sull’Abbazia esercitarono la loro influenza politica anche i nobili di Massa, e successivamente gli Atti di Todi.
Anche in questo caso, ai Benedettini, in epoca imprecisata, subentrarono i preti secolari.
La chiesa potrebbe risalire al sec. IX-X, ma, come in altri casi, subì notevoli rifacimenti e modifiche nella seconda metà del sec. XIII; “le modifiche apportate derivano probabilmente dalla necessità di adeguamento a diverse esigenze liturgiche coincidenti con l’allontanamento dei benedettini e con il subentrare del clero secolare” (Ceccaroni, Nessi).
A questo stesso adeguamento si riferirono le demolizioni delle limitrofe cripte di S. Illuminata e di S. Faustino.
Altri restauri, ma di entità molto minore, furono curati nel 1636 dal cardinale Boncompagni, dopo che nel 1629 aveva ottenuto di poter estrarre reliquie dei due Santi, che, come si è detto, aveva donato alla terra di Bassano presso Orte.
La Facciata
La facciata, in pietra locale, in pietre squadrate a filari bianchi e rossi, risale al XII secolo e ha un portale con arco a tutto sesto e con alta lunetta privo di decorazioni scultoree; al di sopra si apre la caratteristica bifora di tipo umbro a due rincassi con colonnina in pietra di forma tradizionale.
Sul fianco sinistro si eleva una snella torre campanaria quadrangolare, poggiante su una base dodecagona(come quelle del Duomo di Amelia del 1050, e dell’Abbazia dei SS. Severo e Martirio presso Orvieto del sec. XII), a grossi blocchi di travertino. La base ha una grande volta a cupola ed è probabilmente un mausoleo romano di epoca tardo imperiale. Forse iniziata e mai portata a compimento, e sul suo impianto, nel corso dei lavori duecenteschi,fu costruita una ben più modesta e rozza torre quadrata (del tipo che si osserva a S. Maria in Pantano).
La Chiesa
Il grandioso interno ha un bel soffitto, con piastrelle interamente decorate rinforzato da arcate gotiche, un sostegno murario delle travature sopra la zona presbiteriale reca la data 1650..
I quattro gli stemmi rappresentati sulle piastrelle non sono identificabili, si è potuto identificare solo quello dei Colonna.
La chiesa oggi si presenta piuttosto spoglia, quale certamente non era in origine, presenta poco oltre la metà del vano una grande ampia gradinata centrale, che da accesso al presbiterio, con l’altare antico costituito da una lastra di travertino, che ricopre il sarcofago dei due martiri, e adornato di quattro colonnine angolari di pietra, sulla sinistra un ambone, ricavato dai l’utilizzo di due lastre altomedievali decorate con i tipici intrecci viminei, che sembrano nella loro irregolarità di una rara eleganza, e che già alla fine del ‘700 l’abate Di Costanzo riconosceva «del gusto del IX o X secolo».
La parete di fondo del presbiterio presenta tre alte finestre strombate a feritoia, ed è interessantissima per i numerosi frammenti scultorei alto medioevali, reimpiegati nella sua ricostruzione nel rimaneggiamento duecentesco.
I bassorilievi di frammenti scultorei, una quarantina circa, dei quali è difficile poterne dare una sicura datazione (sec.IX-X circa ) e stabilirne l’originaria funzione, raffigurano pilastrini, formelle, cornici, decorate con matasse bisolcate, rose, motivi floreali, rozze figure umane ed equestri e soprattutto motivi ad archetti leggermente gotici, che richiamano quelli di un capitello della dei SS. Severo e Martirio di Orvieto, con la data 1100.
Nella zona absidale è conservato un frammento di affresco raffigurante la Madonna con il Bambino attribuito a Bartolomeo da Miranda.
Sulla parete destra è murato un grande cippo romano commemorativo della gens Popilia, peculiare del municipio tudertino.
Ai lati della scalinata centrale che conduce al presbiterio ci sono due stretti passaggi conducono alla cripta.
Sopra il passaggio di sinistra vi è un ambone costruito con due grandi lastre di marmo scolpito: quella verso l’esterno ha un motivo di cerchi annodati riempiti di fiori, grappoli, elici ed apici gigliati, l’altra è decorata con un tipico nastro bisolcato formante grossi nodi allentati, motivo riconducibile, anche per la fattura irregolare, al IX secolo.
Uno dei plutei è decorato con motivi assai affini a quelli di area laziale, come dal confronto con una lastra coeva conservata nel museo di Orvieto.
La Cripta
La cripta tricora è tra le più interessanti e suggestive della regione, con andamento planimetrico ad arnica e dall’iconografia indicante una datazione molto remota fra il IX e il X secolo.
Una centrale colonna romana di marmo grigio, con bellissimo capitello ionico, e due colonne laterali di travertino sorreggono un magistrale incrocio di volte rinforzate, nel rifacimento duecentesco, da robusti sottarchi.
Anch’essa subì modifiche nella ristrutturazione generale della chiesa di cui si è parlato, e cioè vide modificate le volte, rinforzate diagonalmente da robusti sottarchi: esse sono sostenute dalle originarie tre colonne, di cui una in marmo grigio, con capitello ionico e senza base.
In una piccola pietra a lato dell’altare vi è la scritta: “+ BEATUS FIDE/NTIUS ET TEREN/TIUS HIC REQUIESCUNT”.
L’Abbazia
Molto caratteristici i locali dell’annessa ex Abbazia, che sembra più una dignitosa casa di campagna che un monastero, malgrado la tarda ricercatezza rinascimentale di un camino e di una bella finestra tripartita con la scritta: “VENTURINUS. APTUS. MDXXII”.
Il vasto fabbricato si articola intorno ad un vasto cortile rettangolare sulla destra della chiesa.
L’abate Di Costanzo, al tempo della sua visita, annotava: «Nelle case prossime rurali, una volta celle dell’annesso monastero, vidi due frammenti di piccolo sarcofago cristiano, scolpita in uno la storia di Giona in atto di essere ingoiato dal mostro marino, nell’altro due Magi che presentano i doni. Non molto distante da questa chiesa si veggono alcune grotte. Una delle quali era un sepolcreto, o colombario con molte piccole nicchie per le olle cinerarie divise in vari ordini sino a sette l’un sopra l’altro».
Fonti documentative
www.sanfrancesco.com
www.comune.massamartana.pg.it/
“Abbazie Benedettine in Umbria” di Francesco Guarino e Alberto Melelli edizione Quattroemme
Nota di ringraziamento
Si ringrazia la Diocesi di Orvieto – Todi per la disponibilità e per aver concesso le autorizzazioni alla pubblicazione.