Torre Errighi – Montecchio (TR)
Cenni storici
La Torre Errighi, o di Errigo, o anche Torre Neccara o infuse, più semplicemente La Torre, fu feudo della famiglia Errighi-Brandolini, originariamente nobili di Guardea, trasferitisi nel comitato tudertino il 16 aprile 1302 e precisamente a Fratta Cornuta, una località nei pressi di Poggio Guardea, sicuramente sotto la giurisdizione comunale di Todi.
La famiglia Errighi, stante le disposizioni statutarie che imponevano ai nobili la residenza in città si stabilì in rione Colle dove ebbe numerose case e magazzini per il fiorente commercio della lana cui era dedita.
Questa attività redditizia permise a questi lanaioli rapidi guadagni grazie ai quali, venduto il feudo di Poggio, concentrarono il loro patrimonio rustico nelle campagne di Melezzole, considerate più sicure di quelle di Fratta Cornuta continuamente sottoposta alle incertezze e turbolenze proprie delle zone di confine.
Nella “tenuta” medievale di Melezzole il feudo si concentrava attorno ad una fortezza sovrastata de una alta torre di guardia, la Torre Errighi appunto, che appare essere assai precedente alla prima testimonianza documentaria che si ha di essa.
Il fortilizio si rese necessario alla famiglia Errighi di chiara origine ghibellina durante il periodo della feroce lotta fra Guelfi (Atteschi e Ghibellini (Chiaravallesi) sul finire del Trecento, e più ancora durante il primo ventennio del Quattrocento a difesa del proprio feudo.
E’ in questo ambito che va collocato, la nascita di questo luogo fortificato, quasi certamente per iniziativa di Enrico Errighi, figlio di Angelo di Ugolino, lanaiolo, che nel 1340 aveva fatto parte della commissione comunale per i rifornimenti alla città ed il recupero dei crediti pubblici.
Enrico completò l’acquisizione delle terre edificando il castello nel punto strategico determinato dall’incrocio della strada da Todi a Melezzole e da qui alla montagna e quindi al Tevere.
Il castello aveva dunque una torre maestra con scala di pietra e la chiesuola (di Santa Barbara) al lato meridionale della sua base; conteneva nel perimetro della sua cinta muraria alcune case destinate agli uomini addetti alla fortezza ed al lavoro dei campi.
Le mura erano poi intervallate da bertesche e barbacani “per defesa del decto luocho” insieme a torrette aggettanti con merlature per meglio sostenere gli assedi.
Al centro c’era la piazza con il pozzo ed il forno ed una “chioneca“, imbocco della fognatura che conduceva le acque reflue al di la della mura.
Le comunicazioni con l’esterno erano assicurate da un’unica porta munita di ponte levatoio dal momento che il castello era protetto per sopramisura da un fossato “et le fosse d’entorno“.
Questa poderosa macchina da guerra si trovava non a caso al centro di un crocevia formato dalle “tre vie publiche, cioè la via da le forteza ad Tode, la via Vechia che va ad Melezzole e quella da capo a la vigna in Canapina“.
Ai tre fratelli assegnatari fu fatto obbligo “per guerra o suspecto de guerra” di montare la guardia “de di et de nocte” sulla cima della torre maestra, mentre una ulteriore clausola prevedeva la divisione delle spese per una simile incombenza tra tutti e sei i membri della famiglia.
La famiglia Errighi – Brandolini da Brandolino, forse il più anziano di loro, certamente colui che ideò lo stemma del casato (Un’aquila ad ali aperte con i sei monti che rappresentavano i sei figli) fu proprietaria di questo immobile fino al 1579 per poi trasmetterlo per via dotale alla famiglia Alvi allorché Clemenzia, figlia di Benedetto e Batto di Fabrizio di Brandolino, andò sposa al dottore giureconsulto Francesco Alvi.
In realtà la Torre Errighi o “d’Arrigo” come è detta in una pianta del 1571 dei Palazzi Vaticani era bene comune di due sorelle: Aurelia e Clemenzia; la prima però essendo orfana e minorenne, il 14 dicembre 1579 sottoscrisse un atto di donazione di tutte le sue proprietà a favore dell’altra sorella avendo ella deciso di farsi monaca (“volens mundum et vanitates evitare et sub abito monacali cotemplativam vitam agere“).
Clamenzia, dal canto suo prossima alle nozze, lo stesso giorno sottoscriveva la promessa di matrimonio e l’atto di dote trasmettendo tutti i suoi beni al marito.
Questi, costatato lo stato di abbandono dell’edificio e volendolo utilizzare, almeno per qualche periodo dall’anno, lo fece restaurare nel 1584.
Dalle dimensioni attuali appare evidente che vennero per l’occasione eliminate tutte le apparecchiature di guerra (bertesche, barbacani, ponti levatoi, fossato) e forse le mura costellane, trasformando il luogo in una tranquilla ed ampia residenza di campagna come, in genere, avveniva nel Rinascimento per questo tipo di edifici.
Cosi le cose restarono fino all’agosto del 1736 quando Pietro Paolo, Vincenzo e Giovanni Astancolle, insieme con la sorella Donatala sposa di Pirro Alvi vendettero la torre per 200 scudi proprio al ramo todino degli Astancolle Boninsegna.
La piccola cappella di Santa Barbara, antico oratorio della famiglia Alvi, conserva ancora la tradizione di accogliere gli abitanti della zona per la messa del lunedì santo e per partecipare nel piazzale antistante agli antichi giochi del “toccetto” e del “gutolello” fatti con le uova sode colorate.
In questi ultimi anni il castello è passato di proprietà a Marc Mességué che lo ha trasformato in una struttura ricettiva denominata Maniero di Melezzole, un un albergo con SPA e Centro Benessere.
Al momento però è chiuso, in stato di abbandono ed in vendita.
Chiesa di Santa Barbara
E citata in un atto di divisione del 1466 tra i sei figli di Enrico Errighi come “chiesiola” ovvero come piccolo oratorio di famiglia quasi certamente voluto dallo stesso Enrico al tempo delle costruzione del castello.
Non si trovano purtroppo documenti successivi, almeno fino alla visita del 1640 quando era detta “cappella de’ Signori Alvi“.
Durante la visita successiva del 1679 venne sospeso per lo stato di incuria e di abbandono, il diritto di celebrarvi la messa durante la ricorrenza della Santa, cerimonia alla quale per secoli la gente del luogo era abituata a partecipare e che tuttora è in uso.
Il motivo della sospensione era la mancanza di suppellettili e della stessa porta di ingresso.
Durante la visita Formaliari la cappella risultava già passata in proprietà del conte Carlo Astancolle per diritto successorio.
Era stata riaperta e ripristinata l’usanza di celebrarvi la messa anche se ampie macchie di umidità apparivano sulla parete vicino alla porta per la rottura delle condotte dello scarico dei tetti.
Il nome dell’oratorio deve probabilmente farsi risalire alla famiglia Alvi, dal momento che la Santa era stata dichiarata protettrice della famiglia fin dal XVI secolo.
Fonti documentative
G. Comez ; M. Fiaschini – Melezzole, Torre Errighi Fratta Loreto Storia di tre castelli medievali – 1989
https://it.wikipedia.org/
http://www.casa.it/