Torre di Montefalco – Foligno (PG)
Cenni Storici
Per parlare della Torre occorre necessariamente parlare di corsi d’acqua che la lambiscono e del ponte medievale adiacente; infatti va ricordato che la piana Umbra come quella di Foligno erano all’epoca romana, percorse da fiumi allora navigati, quali il Supunna (Topino) ed il Clitunno, secondo le testimonianze di Strabone, Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, Properzio e Silio Italico, fiumi che peraltro si perdevano in paludi, costituenti il “lacus Clitorius” fra Trevi e Bevagna, ed un più vasto “lacus Umber” fra Bettona ed Assisi.
Varie le opere di bonifica, per primo ci provarono gli Etruschi con l’incisione della sella di Torgiano, in modo da far defluire l’acqua nel Tevere.
I lavori idraulici etruschi continuarono con i Romani ma si interruppero per mezzo millennio durante le invasioni barbariche, anche se Teodorico nel 493 si propose di bonificare, oltre la pianura ravennate, anche quella umbra.
Anche Foligno come libero Comune si adoperò per il deflusso delle acque quindi i consoli si occuparono delle paludi (“stagna“) che si trovavano al di là (“contra“) di una delle porte cittadine detta “Contrastanga“, che si apriva sulle mura i cui bastioni sorreggono ora i “Canapè“.
Si trattava di una zona paludosa di circa 20 chilometri di lunghezza, corrente all’incirca da Trevi a Bevagna, larga in alcuni punti qualche chilometro.
Nel 1276 si avviò un progetto di bonifica con lo scavo di fossi di scolo, chiamati “Carbonarie“, in modo da portare l’acqua stagnante nel Clitunno; altri importanti lavori furono fatti nel 1279 con un canale collettore, che aveva inizio alla Fonte Palomba, ai confini di Trevi.
Si estendeva al confine con il comune di Montefalco sino al ponte del Ross1tolo (località Torre di Montefalco), giungeva al Timia.
Il “Ponte del Rossìtolo, del Roscìtolo, del Rossìtulo, del Rossìturo, del Rossito, dello Scìtolo, del Sìtolo“, di cui si parla per la prima volta nella Parte II, Rubrica 127 degli Statuti folignati del 1315, altro non è che la denominazione del ponte medievale a schiena d’asino che attraversa il Teverone che si trova a pochi metri dalla Torre di Montefalco e della zona adiacente.
Tale località è più volte ricordata in atti dell’abbazia di Sassovivo per donazioni e permute (1090-1091-1104-1112-1115-1205).
Sulla sua mezzeria trasversale passa ancora il confine tra il territorio di Foligno e quello di Montefalco per cui ancora oggi il piccolo abitato è diviso in due dal fiume.
A guardia de l ponte era probabilmente una torre, che peraltro non viene nominata per la prima volta che a metà del secolo XV, sia perché, trattandosi di corsi d’acqua, i ponti li individuano meglio, sia forse perché a quell’epoca era ridotta ad un rudere dell’altezza di circa un metro.
Fra gli eventi bellici del posto si ricorda che nel 1435 Corrado III Trinci signore di Foligno si ribellò al papa e tentò di conquistare Montefalco; il papa ordinò a Francesco Sforza di andare in aiuto alla città e questo mandò il fratello Leone e Ranuccio con 400 cavalieri che devastarono il territorio di Foligno ma sotto la pressione delle truppe folignate si ritirarono a Montefalco mentre sul Ponte Sitoro o Ruscitoro Leone fu fatto prigioniero e Montefalco si arrese alle truppe dei Trinci e Ranuccio venne ucciso.
Nel 1440 i folignati in rivolta contro il papa, per la caduta dei Trinci, si incontrarono presso il Ponte di Sitoro con Lorenzo degli Atti scudiero del Papa e Tesoriere di Perugia e dell’Umbria, inviato contro di loro dal pontefice: riuscirono a convincerlo a tornare indietro, con doni e rimborsi.
Il 28/4/1456 il dottore in legge Amedeo Scafati, propose in Consiglio comunale, di prosciugare le paludi, sia per incrementare la produzione agricola, sia per rendere salubre l’aria della zona; questa decisione provocò una reazione di Bevagna per cui si ricorse al papa Pio II il quale il quale sostenne l’iniziativa folignate, mal digerita dai bevanati.
Il governatore di Foligno conte Giacomo Tolomei da Siena il 18/9/1459 emise un decreto in base al quale veniva permesso ai folignati di creare un nuovo alveo per il fiume Topino, là dove esso cominciava ad impaludare il terreno, ed ordinava ai bevanati di distruggere gli argini (“arcature“) vecchi e nuovi esistenti nel loro territorio, che impedivano il regolare deflusso delle acque.
Secondo lo Jacobilli i lavori cominciarono nel 1459 con la costruzione di una torre a difesa dei lavoratori, probabilmente insidiati dai bevanati, il Dorio invece ci dice che:
“Per più sicurezza loro fecero l’Anno 1460 una Torre sopra il vicino fiume Teverone, contigua al sopranominato ponte di Ruscitoro nel Padulo e ne’ confini di Foligno. e di Montefalco … “.
Lo stesso Jacobilli più avanti si corregge dicendo che nell’anno 1461… “A 18 d’Ottobre fu ordinato che si rifacesse e restaurasse la torre del ponte di Roscitolo ne’ confini di Montefalco“.
Questo provvedimento però non scoraggiò i Bevanati a compiere azioni di sabotaggio infatti da come si apprende da un documento dell’Archivio delle Sei Chiavi nella notte del 22/8/1465 i bevanati distrussero gli argini del fiume Timia per impedire l’opera di prosciugamento.
La Torre quindi non era completata e i lavori si protrassero a lungo nonostante la necessità di proteggere la popolazione di confine così distanti dalla città madre.
La torre di fatto non fu edificata dalle fondamenta, ma in realtà si tratto di un restauro di una costruzione la cui origine non si ricorda a memoria d’uomo; la stessa era posizionata su un territorio, bagnato da due fiumi, il Timia ed il canale di scolo, che verranno così attraversati da due ponti, uno, quello del Roscitolo, e l’altro levatoio.
Molto probabilmente la precedente torre, di cui restava un rudere di appena un metro, doveva essere stata distrutta o dagli spoletini alleati di Montefalco nella lotta tra Guelfi e Ghibellini o intorno all’anno 1280-1282 quando i folignati subirono ingenti danni da parte dei Perugini.
Addirittura si suppone che la distruzione sia avvenuta un secolo prima nel 1180, allorché Spoleto, occupata Montefalco che allora si chiamava Coccorone, e su cui Foligno vantava diritti, si trovò in conflitto per la durata di 35 anni.
Nel 1466 comunque la Torre non era ancora stata completata infatti in una lettera si supplicava il papa di permettere di riparare e restaurare la torre del ponte del Roscitolo.
Solo nel 1467 troviamo il primo castellano che fu Antonio “de Barco“.
I castellani dovevano prestare giuramento di ben custodire la torre e di conservarla in difesa del papa, e di obbedienza e fedeltà alla Città pena di una multa di 1000 fiorini.
Da papa Sisto IV i folignati ottennero anche l’autorizzazione a tenere una guardia armata permanente sulla torre con la proibizione tuttavia di esigere pedaggio per il transito sul ponte ( 1473), cosa che precedentemente pare però che abbiano fatto.
Tuttavia anche a quell’epoca la torre doveva essere tutt’altro che completa, infatti i lavori terminarono nel 1478.
I lavori di bonifica invece si protrassero per un altro secolo, infatti furono completati nel 1563 dall’idraulico Francesco Jacobilli; i lavori, durarono tre anni e portarono alla bonifica del terreno della “tenuta di Casevecchie“, di proprietà della famiglia Jacobilli inizialmente, e successivamente, dei Roncalli.
L’Abbazia di Sassovivo, che in quella zona aveva numerosi possedimenti fu esentato dalle spese di bonifica.
Il ponte di Rossitolo e la sua torre hanno superato le sfide del tempo; il ponte medievale ha sostenuto la prova del passaggio dei possenti carri armati statunitensi, la torre ha ospitato le armi da fuoco sulla sua terrazza.
Il torrione oggi è ridotto a deposito di cianfrusaglie.
Aspetto
La torre è una costruzione estremamente massiccia, con mura dello spessore di circa 3,60 metri.
Strutturalmente risulta evidente che sulle rovine emergenti dal terreno per circa 1 metro di un edificio più antico in pietra, sia stata edificata successivamente una analoga costruzione in mattoni, infatti contrariamente alle torri di allora, questa è in laterizi, senza scarpata.
La torre è alta circa 11 metri è ora priva del fossato che il ponte levatoio scavalcava; è a pianta quasi quadrata, di lato di circa 10,90 m.
Si eleva per quattro piani, di cui tre fuori terra ed uno interrato, privi di scale interne.
La porta d’ingresso situata a circa 0,90 m da terra è di recente realizzazione.
I quattro vani costituenti l’interno della torre sono realizzati mediante volte a botte di mattoni.
Tra un piano e l’altro si saliva attraverso scale di legno retraibili.
Il vano sotterraneo costituiva un’utile riserva d’acqua in caso di assedio prolungato, da attingersi attraverso l’apertura della volta, a mezzo di una secchia di rame.
All’esterno dell’ultimo piano, beccatelli di mattoni, collegati da una serie di arcatelle distanti circa 0,60 m dalle mura, (caditoie), costituiscono il cammino di ronda.
I merli sono definitivamente scomparsi forse erano guelfi e sono stati abbattuti probabilmente in occasione di una delle cadute dello Stato Pontificio.
Sulle pareti molte buche per bombarde e terminali di cunicoli.
Su una faccia della torre all’altezza di circa 6 m dal livello attuale del terreno erano presenti quattro stemmi rettangolari delle dimensioni approssimative di O,70 x 0,90 m avrebbero permesso di conoscere meglio la storia di questo torrione, se qualcuno non avesse provveduto ad eliminarli accuratamente.
Curiosità
I collegamenti con il posto centrale di guardia, probabilmente situato sulla torre comunale di Foligno. avvenivano mediante segnalazioni a mezzo di fumate o di fuochi.
Il presumibile armamento di cui era provvista la torre e la guarnigione dell’epoca ce le descrive Bernardino Lattanzi e consisteva in:
Schioppetti di ferro e relativi “calcaturi” e “palocre” di piombo per essi.
Cannoni di ferro “da bombarde“, o meglio in spingarde di ferro con “uncino” (dente inferiormente sporgente ad un terzo della canna “cannone” per impedire il rinculo) e relative “pietre“(sfere di pietra);
bronzine;
bombardelle da tenere in mano:
polvere da quattro (composta cioè da quattro parti di salnitro, una di zolfo, una di carbone);
verrettoni (frecce di dimensioni maggiori del normale, non “manesche” ma da muro o da porta) e relativi molinelli per la carica;
balestre grandi stambecchine o veneziane a molinello, a girella o genovesi;
tavolo e ferri per caricare le balestre;
setacci per passare la polvere;
stampi per le pallottole, “cocconi” (tappi di legno dolce da mettere sopra la polvere nel cannone della bombarda a mezzo dei relativi mazzuoli).
Il Paese
L’abitato è diviso in due dal fiume Teverone che segna il confine tra Montefalco e Foligno e uniti dal ponte medievale a schiena d’asino..
Nella parte di Montefalco insiste un antico edificio compatto che ospitava una struttura monastica femminile e un mulino ad uso sia per cereali che per olio alimentato dal corso d’acqua chiamato Fosso delle Macine che passa sotto l’edificio e la cui portata è regolata da una cerniera esterna ancora ben conservata e funzionale.
Il molino risale al 1561 ma non ne resta traccia; su un portone dell’abitato compare la data 1882, su una pietra arenaria della colonna che sostiene la paratia del bacino idrico del mulino c’è la data 1886, sicuramente sono due date riferite a lavori di ristrutturazione.
Un altro edificio adiacente mostra sulla facciata un’immagine della Madonna con Bambino chiamata Madonna della Torre come espressamente detto nell’immagine sottostante che raffigura la Torre.
La chiesa di San Francesco già Regina del Mondo
La chiesa è dedicata a San Francesco non ha pretese artistiche e sorse negli anni 50 del secolo scorso sull’onda delle singolari esperienze religiose di una contadina, Robusta Pergolari.
Era vedova e madre di sei figli; nel giorno del Corpus Domini del 1948 le parve di vedere la Madonna e di sentire da Lei l’invito a continuare a fare la carità nonostante la sua povertà.
Ella rimase a braccia aperte, come pietrificata e riuscì solo a gridare per tre volte “Madonna mia!“.
Le apparizioni si susseguirono in quell’anno e in quelli successivi; si ebbero guarigioni portentose; si cominciò a costruire una chiesa con le offerte dei fedeli; questa chiesa doveva, per ordine della Madonna, intitolarsi a Lei come “Regina del Mondo“; oggi, invece, si intitola a San Francesco.
Fu consacrata il 5 maggio del 1958.
Il proprietario del terreno il Sig. Giuseppe Ubaldi, all’’epoca donò alla Parrocchia di Scafali l’area attuale dove venne edificata la chiesa.
La manovalanza fu tutta locale tranne che per la muratura, ove fu incaricata una ditta, e per gli scalpellini di Todi che lavorarono sul posto la pietra portata da una cava di San Terenziano.
Questa chiesa, dopo il necessario restauro per i danni subiti nel terremoto del 1997, è stata riaperta al culto il 12 dicembre 2009.
L’interno è privo di affreschi e nella sagrestia si conserva una lapide in memoria della signora Robusta promotrice dell’edificio.
La chiesa antica
Accanto alla torre sorgeva l’antica chiesa ora trasformata in magazzino.
L’edificio è irriconoscibile, è stata aperta una porta che si affaccia sull’aia nella parete d’altare e chiusa quella sulla strada.
Non si conosce la data della sua edificazione né la sua dedicazione o perlomeno non ne sono a conoscenza a loro memoria gli abitanti del posto; comunque a giudicare dagli spessi mattoni fatti a mano che si differenziano molto dall’edificio adiacente si può supporre che non sia storia recente, mi riservo di fare approfondite ricerche negli archivi Diocesani.
All’interno era ad una sola navata con tetto a capanna, non si evidenziano tracce di affreschi , ma nella parete (ex primitivo ingresso di faccia alla torre) che ora è chiusa, è rimasta nel muro l’acquasantiera.
I Fiumi
L’abitato è attraversato da ben 4 corsi d’acqua il più importante è il Teverone;
quando tutti i fiumicelli e canali attorno al piano di Spoleto (Tessino, Spina, Marroggia, Ruicciano, Tatarena) si sono fusi via via nel Marroggia, questo fiume-canale, da Casevecchie di Foligno fino a Bevagna, assume il nome di Teverone.
Riceve il Clitunno a Torre di Montefalco e altri canali, prima di gettarsi nel Timia a Bevagna.
Il Teverone fu realizzato nel 1562.
Il punto esatto della fine del Marroggia e l’inizio del Teverone è nell’incile Tatarena – Marroggia, che dalla botte consente ad un ramo del Clitunno di passare sotto lo stesso collettore (Casco dell’Acqua).
Questa fu necessaria per ripartire le acque del Clitunno ai molini trevani e a quelli montefalchesi, dopo secolari discordie e zuffe (1305) e trattati (7/9/1315) tra le due comunità.
C’è poi il Fosso delle Macine che è un collettore artificiale che poco più avanti si ricollega al Tevorone
Fosso di Recupero è un canale che contiene le perdite del Fosso delle Macine.
L’Alveo è un canale che si forma sotto la collina di Montefalco e recupera gli scoli dei fossi delle colline e per gran parte dell’anno è asciutto.
Fonti documentative
BERNARDINO LATTANZI, Torre di Montefalco, Bollettino Accademia Fulginea
M. TBARRINI – L’Umbria si racconta – 1982
D. CESARINI – Brevi note storiche sulle parrocchie della Diocesi di Foligno – 2013
DON ANGELO MESSINI – Il Fiume topino e la bonifica Idraulica del Piano Folignate attraverso i secoli – Consorzio Idraulico del Fiume Topino