Scoglio di San Silverio – Palmarola di Ponza (LT)

Palmarola per il suo aspetto incontaminato e la varietà delle sue coste è considerata una delle più belle isole del mondo.

 

San Silverio

Oriundo di Frosinone, Silverio salì al soglio pontificio il 1° giugno 536 dopo la morte di Papa
S. Agapito I a Costantinopoli (22 aprile 536).
Buona parte del clero si oppose alla sua elezione, accettandola solo dopo l’avvenuta consacrazione. Silverio infatti fu eletto quando era ancora suddiacono, imposto dal re ostrogoto Teodato (534-36) memore dei buoni rapporti tra papa Ormisda e il re Teodorico.
S. Ormisda (dal persiano Hormisdas, buono) era il padre di Silverio.
Nato a Frosinone, vedovo e diacono romano, era stato eletto pontefice 22 anni prima (20 luglio 514) dopo papa Simmaco e governò per nove anni cercando di ricomporre le divisioni teologali tra la Chiesa Romana e quella di Costantinopoli (in particolare lo scisma di Acacio, con il concilio di Costantinopoli che bandì definitivamente tutte le eresie allora presenti: monofisite, eutichiane, ariane e manichee), e di completare le opere architettoniche già iniziate, quali la basilica di S. Pancrazio sul Gianicolo e di San Martino ai Monti; morì il 6 agosto 523.
Ormisda è raffigurato come un giovane uomo con un cammello ed è il patrono dei palafrenieri e degli stallieri.
Il pontificato di Silverio invece fu breve (circa un anno) e molto travagliato; fu coinvolto suo malgrado nelle lotte politiche e religiose che turbavano l’Italia e la Chiesa e dai torbidi inizi della guerra greco-gotica per il possesso della penisola, che si sarebbe protratta per 18 anni.
In Oriente persistevano inoltre, appoggiati dall’imperatrice Teodora, forti gruppi di seguaci del monofisismo, dottrina teologica che negava la natura umana di Cristo, affermandone solo quella divina; l’eresia si sviluppò nel V-VI secolo, fu condannata dal Concilio di Calcedonia (451) e causò il distacco delle Chiese Copta, Armena e Giacobita di Siria.
Qualche mese dopo l’elezione di Silverio il re Teodato, suo protettore, fu deposto e ucciso dai Goti; a dicembre 536 giunse alle porte di Roma il generale Belisario e Silverio con il Senato si adoperò perché la città fosse occupata senza combattimenti.
Tre mesi dopo (febbraio 537) fu Vitige, nuovo re degli Ostrogoti, ad assediare Roma per ritornarne in possesso, distruggendo tutto nei dintorni, compresi i cimiteri cristiani e le chiese.
Durante questo assedio cominciò la tragedia di Silverio.
Il diacono Vigilio era giunto da Costantinopoli con lettere dell’imperatrice Teodora, moglie dell’imperatore d’Oriente Giustiniano, per Belisario perché favorisse l’elezione di Vigilio stesso al papato.
Il diacono era già stato designato dal papa Bonifacio II (530-532) a suo successore, ma il clero romano si era opposto alla designazione invece che alla elezione.
Alla morte di S. Agapito I Vigilio fu di nuovo designato dall’impero bizantino, ma trovando già eletto Silverio restò nuovamente escluso.
Belisario cercò di rimediare e supponendo che all’imperatrice stesse più a cuore la sorte dei monofisiti (si pensa che Vigilio le avesse promesso un annullamento delle decisioni del Concilio di Calcedonia), chiese a Silverio di assecondare egli stesso i desideri di Teodora, ma il papa non lo fece, come aveva anche disatteso l’ordine di Teodora di ristabilire a Bisanzio Antimo, vescovo eretico deposto dal papa S. Agapito.
Durante l’assedio degli Ostrogoti, che durò quasi un anno, fu fatta circolare una presunta lettera di Silverio al re Vitige che prometteva di consegnargli Roma aprendogli la porta Asinara presso il Laterano.
Belisario convocò il papa al suo quartiere generale ma Silverio smontò facilmente l’accusa, anzi per evitare ulteriori sospetti, lasciò il palazzo del Laterano spostandosi presso la basilica di S. Sabina.
Il 18-19 marzo ci fu un furioso attacco dei Goti e Silverio fu di nuovo accusato da Belisario, da sua moglie Antonina e da Vigilio; egli fu spogliato degli abiti pontificali e rivestito di un saio monastico e ai chierici che l’accompagnavano fu detto che si era fatto monaco e non era più papa.
Al suo posto subentrava Vigilio (537-555), mentre Silverio fu deportato a Patara nella Licia; il vescovo di Patara si recò a Costantinopoli a protestare presso Giustiniano, dicendo che nel mondo vi erano molti re e un solo papa e questi era stato scacciato dalla sua sede.
Giustiniano, vincendo le resistenze di Teodora, rimandò a Roma Silverio con l’ordine che si riesaminassero le presunte lettere e l’intera questione e se fosse risultato innocente, si reintegrasse come papa.
Vigilio impaurito da quel ritorno convinse Belisario a deportare Silverio nell’isola di Palmarola (Ponza); qui il papa legittimo, per porre fine allo scisma, abdicò (11 novembre 537) e il 2 dicembre successivo morì martire di stenti.
Il suo corpo, contrariamente a quelli di altri papi morti in esilio, non fu riportato a Roma ma restò nell’isola; il suo sepolcro divenne centro di guarigioni e miracoli e quindi meta di pellegrinaggi.
Notizie del culto tributatogli a Roma sono documentate solo più tardi, dal secolo XI.
I due santi pontefici, Ormisda e Silverio, padre e figlio nella vita, sono i patroni della città di Frosinone, di cui erano nativi; Silverio è anche patrono principale dell’isola di Ponza, dove morì.
La sua memoria liturgica cade il 2 dicembre per la Chiesa universale, mentre nell’isola di Ponza è festeggiato il 20 giugno, giorno della sua consacrazione a pontefice.
La sua proclamazione a patrono dell’isola risale al 25 agosto 1772 quando “il celebre Mons. Carlo Pergamo, santo vescovo di Gaeta, già religioso Redentorista e Confessore di S. Alfonso Maria de’ Liguori, per il gruppo di coloni Ischitani e Torresi venuti a Ponza sotto Carlo III di Borbone costituiva S. Silverio Papa e Martire a celeste Patrono dell’isola, ponendogli a fianco una dolce figura di vergine e martire del I secolo, S. Flavia Domitilla, nipote di Domiziano, che sopportò anch’essa in Ponza una lunga ed estenuante relegazione e fu poi bruciata viva nella prossima Terracina, ove risiedeva il pretore romano”.
 

Isola di Palmarola

L’isola di Palmarola è la terza per grandezza delle isole Ponziane (lunga 2, 5 km, larga in media 400 metri, sup. 1 kmq circa; cima più alta il m. Guarniere, m 262).
Chiamata anche “la Forcina” per la sua forma, prende in realtà il nome dalla “Chamaerops humilis“, la caratteristica palmetta nana, rotonda e a ventaglio, unica palma originaria dell’Europa, che cresce in essa frequente e selvatica.
Nell’antichità era nota anche col nome di Palmaria perché molti vi ricevetterola “palma del martirio“, come ad esempio i 270 cristiani che, secondo il martirologio romano e il monaco certosino Surius, nel 303 d.C. Diocleziano fece imbarcare alla foce del Tevere su una nave senza vela né remi, spinta al largo nel Tirreno.
Essi furono raccolti e sepolti degnamente dagli abitanti di Ponza, che perciò fu chiamata isola Palmaria (della “palma del martirio“); quel nome passò poi all’isola vicina più piccola, che prese il nome di Palmarola.
Per il suo aspetto incontaminato e la varietà delle sue coste è considerata una delle più belle isole del mondo.
E’ certamente la più selvaggia delle Ponziane: non ci sono case, né porti, c’è solo un ristorante con una storia curiosa.
La natura è selvaggia ma non inospitale, come ogni altra piccola isola del Mediterraneo.
Abitata da poche persone solo nel periodo estivo, diventa luogo di ritiro per i ponzesi che si rifugiano nelle case grotta, tipiche abitazioni scavate nella roccia.
L’abitudine di rifugiarsi nelle case-grotte è molto antica e risale alla necessità di sfuggire ai pirati nel secolo XVIII.
In un testo dell’Accademia Pontaniana è ricordato che:
Giovanni Tagliamonte di Ponza, morto in età di 103 anni, andava spesso da Ponza a Palmarola e mi raccontò vari di simili scontri coi corsari accaduti a lui non meno che ad altri Ponzesi nei dintorni di quest’isola. Per abitazione egli aveva un’antica grotta tagliata nella rupe vicino al piccolo porto di Palmarola (oggi Grotta Tagliamonte), ma per paura dei pirati passava molte delle sue notti sulla montagna in qualche grotta senza far fuoco per non essere loro scoperto dal fumo“.
Palmarola si raggiunge dall’isola di Ponza (a circa 10 km a est).
Si naviga sotto costa per un tratto per poi attraversare le 7 miglia di mare che separano le due isole (circa un’ora con un gozzo).
L’isola è una riserva naturale che fa parte del Parco Nazionale del Circeo e il suo mare limpido, particolarmente pescoso, è ideale per la pesca subacquea ed è ricco anche di conchiglie.
La Forcina lascia leggere sulla sua pietra la storia di stratificazioni e colate laviche.
Le coste sono meravigliose, molto frastagliate e caratterizzate da bianche scogliere, grotte anfratti e calette.
In una zona in particolare, la Cattedrale, le grotte formano archi a sesto acuto che sembrano costruiti dall’uomo.
A Le Galere gli scogli sono maculati, nero su ocra, di ossidiana, un vetro nero purissimo che gli uomini primitivi viventi nelle grotte e nei ripari del promontorio del Circeo venivano qui a prelevare in quantità a bordo di zattere; ne ricavavano punte di freccia, asce, coltelli e raschiatoi.
L’ossidiana estratta a Palmarola era lavorata a Ponza e a Zannone, dove ne sono stati rinvenuti dei resti, e trasportata poi al Circeo.
Sull’isola di Palmarola, a Cala del Porto o spiaggia della Maga Circe (detta anche spiaggia de O’ Francese), oltre alle grotte scavate nella roccia di proprietà dei pescatori ponzesi c’è solo la villa delle sorelle Fendi e un’unica struttura aperta al pubblico, il ristorante O’ Francese, costruzione spartana con qualche camera dove fermarsi a dormire.
La sua storia è commovente.
Lui, il francese, da Ponza si era trasferito in Francia e aveva messo su famiglia; ma non dimenticò mai la sua isola, soprattutto gli anni dell’infanzia passati in una grotta di Palmarola con il padre pescatore.
Quando il francese tornò in Italia decise di costruire una casa di legno sull’isola e di trasferirvisi con la moglie.
Negli anni 60, quando Palmarola la conoscevano davvero in pochi, una coppia raggiunse l’isola in cerca di tranquillità e approfittò dell’ospitalità del francese.
Cucinarono per lui e coltivarono un’amicizia.
Ora è dei figli di quella coppia, che hanno aggiunto pannelli solari e reso la struttura un vero ristorante; ma il posto resta sempre lo stesso, spartano, accogliente, isolano.
Proprio davanti allo scoglio della maga Circe e al ristorante O’ Francese c’è lo scoglio o faraglione di San Silverio, sulla cui sommità è una piccola cappella bianca a lui dedicata.
A Palmarola fu esiliato e morì papa Silverio e la tradizione popolare sostiene che la cappellina bianca sullo scoglio fu edificata sui resti della prigione dove il santo venne rinchiuso e quindi martirizzato.
Le feste patronali di San Silverio iniziano nell’isola a fine maggio-primi di giugno; il primo atto è un pellegrinaggio marittimo dal porto di Ponza a Palmarola che si volge la prima domenica di giugno.
I pellegrini sbarcano al piccolo attracco dello scoglio e salgono una ripida scalinata per giungere alla cappella di San Silverio; prendono in braccio la statuetta del santo e la pongono in basso su un altare a mezza costa, dove si celebra la Messa.
Il sentiero del faraglione di San Silverio è un trekking di media difficoltà a Palmarola nato proprio grazie alla santità di questo luogo, che porta in cima allo scoglio; per il resto i sentieri dell’isola sono rari e difficili.
Ecco la cronaca del mio pellegrinaggio allo scoglio San Silverio (mercoledì 30 maggio 2018).
La giornata, che ieri è stata velata e chiusa, è iniziata subito con un sole splendido, malgrado soffiasse un certo scirocchetto“.
Il mare sempre piatto ha favorito il grande pellegrinaggio dei ponzesi al faraglione di San Silverio, nell’isola di Palmarola, un omaggio al papa patrono dell’isola morto martire e sepolto proprio su questo scoglio “impossibile“, almeno secondo la tradizione.
Vi era stato esiliato dalla regina di Costantinopoli Teodora seguace dell’eresia e oggi gli è stata dedicata una cappellina bianca proprio in cima al masso, situato presso la riva dove sono le “grotte” di pochi fortunati e il ristorante de O’ Francese.
A mezzogiorno da Ponza è partita la motonave Carloforte (di linea con Terracina) con a bordo più di 200 pellegrini guidati dal sindaco, dall’arcivescovo di Gaeta mons. Luigi Vari, dal parroco don Ramon Fajardo (venezolano di origine) e banda comunale al seguito.
Dopo un’ora di navigazione, superato il Faraglione di Mezzogiorno che accoglie a Palmarola, ha raggiunto lo scoglio, accolto dal suono delle sirene delle altre barche intervenute e dagli spari di mortaretti preparati da un intrepido artificiere salito su uno scoglio vicino.
Alcune manovre sono servite per calare la piattaforma e la passerella, che ha permesso ad alcuni di scendere e di recarsi sul piccolo rilievo dove era stato preparato l’altare per la messa, con a un lato la statuetta di San Silverio, portata giù dalla cappella della cima, ai cui piedi erano tanti garofani rossi (colore simbolo del martirio) che alla fine della celebrazione sono stati distribuiti ai fedeli per devozione.
La messa è stata concelebrata dai tre sacerdoti partecipanti, sotto un sole caldo ma alla brezza del mare azzurro e fermo che si estendeva fino all’orizzonte.
Alla fine della messa, di nuovo spari di mortaretti e ripartenza per Ponza (arrivo in porto alle 15,45) facendo il giro di Palmarola, potendo così vedere le sue meravigliose coste e rocce, compresa la celebre “Cattedrale” di pietra che caratterizza un suo angolo di mare.
 

Fonti documentative

F. Gonzato – S. Ormisda Papa – su SantieBeati.it
L. M. Dies (già parroco di Ponza n. d. R.) - Da Frosinone a Ponza, Vita di S. Silverio Papa e Martire, patrono delle due città gemelle – La Poligrafica, Gaeta 1972.
 

Nota

Il testo è di Stanislao Fioramonti, le foto sono di Patrizia Magistri; la visita è stata effettuata il 30 maggio 2018.
 

Mappa

Link alle coordinate: 40.939678 12.853990

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