Santuario ellenistico-romano – Monte Rinaldo (FM)
Cenni Storici
Monte Rinaldo ospita il Museo civico archeologico nella ex chiesa del SS. Crocifisso con materiale recuperato presso il Santuario ellenistico italico in località “La Cuma”.
Accanto a resti di tale complesso monumentale (II-I sec. a.C.) individuato a partire dal 1958 e parzialmente messo in luce, sarà possibile ammirare una selezione ragionata del complesso delle terrecotte architettoniche policrome provenienti dalle decorazioni del tempio e del porticato in cui si articola tale importante complesso cultuale.
Connesso con la colonizzazione romana del Picenum, il Santuario si qualifica come uno dei monumenti di età ellenistica più importanti non solo del Piceno meridionale ma anche dell’Italia centrale adriatica.
Il complesso si articola, secondo schemi urbanistici e architettonici elaborati in Grecia, su terrazze ricavate artificialmente a mezza costa sul fianco meridionale di un sistema di alte colline tra due fossi.
Il contatto con il Mediterraneo orientale, originato dagli interventi militari e dagli interessi di Roma verso quest’area e favorito anche dalla presenza di negotiatores italici e piceni, a Rodi e a Delos per motivi di commercio legati alla distribuzione del vino, è confermato anche dallo stile delle terrecotte architettoniche soprattutto di quelle relative agli altorilievi frontonali, che dipendono da modelli e schemi del barocco asiano, con precisi rimandi ai rilievi del fregio grande dell’altare di Pergamo.
Realizzato dalla Soprintendenza per i beni archeologici delle Marche ed il Comune di Monte Rinaldo, che ha dato in deposito temporaneo i materiali esposti il nuovo museo civico archeologico si inserisce in un grande progetto di ricerca e valorizzazione di un patrimonio storico e archeologico di straordinario interesse.
Si tratta di una iniziativa importante sia dal punto di vista scientifico e culturale con la presentazione in modo razionale e chiaro di molti materiali inediti.
Il complesso monumentale di Monte Rinaldo si articola in un porticato e un tempio, unitamente ad un edificio rettangolare di incerta destinazione e cronologia. Non sono stati messi in luce l’altare, eventuali sacelli (thesauroi) e altre strutture collegate al luogo di culto.
È stato invece individuato un pozzo, ora non visibile, che, posto tra il porticato e il tempio, deve aver svolto un ruolo fondamentale in merito all’origine e alla frequentazione di questo notevole complesso sacro.
Tranne un settore del porticato settentrionale, i resti individuati, in cattivo stato di conservazione, hanno permesso di ricostruire un tempio di tradizione italica, di cui si sono conservate parti del podio orientato NS, inserito entro un porticato complesso, forse articolato su tre lati: quello settentrionale, quello orientale, conservato in larga misura soltanto a livello di fondazioni, e quello occidentale, non accertato.
Il tempio stesso, per le sue anomalie strutturali e non perfettamente in asse con il porticato settentrionale, ha conosciuto almeno due fasi cronologiche, come provato dalla restituzione di frammenti in terracotta relativi alla decorazione frontonale del primo tempio inglobati, per motivi sacri, nelle murature del secondo.
Il porticato settentrionale, più ampio di quello laterale, è lungo m. 64,70 e profondo circa m. 12, mentre quello orientale, seguito per una lunghezza di m. 31, è profondo m. 8,40.
A duplice fila di colonne (porticus duplex) il porticato settentrionale è formato da un muro di fondo in blocchi di arenaria, munito di contrafforti esterni a cadenze regolari e presentava un tetto con doppia falda con colonnato interno di 8 colonne di ordine ionico-italico alte m. 6,80 (di cui quattro rialzate) e con colonnato esterno di 13 colonne di ordine dorico alte m. 4,75 (di cui sette rialzate).
Alle estremità del porticato sono stati ricavati due ambienti chiusi su tre lati (m. 10,30 x 6,50) e con il quarto lato comunicante con il porticato, attraverso passaggi tra tre colonne ioniche e due paraste.
La presenza di queste due aulae permette di avvicinare il porticato settentrionale di Monte Rinaldo alla stoà dell’Aphiàraion di Oropòs, antica città greca al confine tra l’Attica e la Beozia.
Se il confronto con quest’ultimo santuario greco di IV sec. a.C. può essere utile al fine della definizione delle pratiche cultuali celebrate a Monte Rinaldo in relazione all’utilizzo dell’acqua, il modello architettonico e cultuale cui esso è stato uniformato si rimanda invece, a schemi greco-orientali ellenistici attestati a Rodi, nel santuario di Athena Lindia, a Lindos, e a Koos in quello di Asclepio.
A questi stessi modelli hanno guardato i responsabili dei santuari del Lazio di Giunone a Gabii, di Ercole vincitore a Tivoli, di Esculapio a Fregellae e di quello confederale del Sannio di Pietrabbondante.
Le esplorazioni fin qui condotte dalla Soprintendenza per i beni archeologici delle Marche in saltuarie campagne a partire dal 1958, con mirati interventi successivi sia di scavo sia soprattutto di restauro, intrapresi dal 2005, hanno permesso di individuare almeno quattro fasi di frequentazione, una di premonumentalizzazione, ascrivibile al III-II sec. a.C. (votivi anatomici, statuette fittili).
Una di monumentalizzazione compresa tra metà II e inizi del I sec. a.C. (tempio, porticus con gran parte delle terrecotte architettoniche).
Una fase di ricostruzione e frequentazione tardo-repubblicana-prima età augustea con rifacimenti da connettere in qualche modo alle conseguenze della guerra sociale.
Una fase di abbandono a seguito di frane e terremoti in età romana imperiale avanzata con il costituirsi di una fattoria.
La chiesa del SS. Crocifisso o del Soccorso, in cui è stato allestito il Museo Civico, è ubicata immediatamente a Sud Est dell’abitato di Monte Rinaldo.
È una piccola costruzione che richiama linee architettoniche del XVIII secolo a pianta rettangolare di m. 14,50 x m. 7,90 con abside rettangolare di m. 3,00 x m. 4,00 che ospita, al suo centro, l’altare maggiore in legno, cui si accompagnano altri tre altari in marmo distribuiti lungo le pareti laterali.
L’allestimento, su progetto scientifico dello scrivente, ideato dall’arch. S. Vespasiani della Provincia di Ascoli Piceno è stato eseguito dalla ditta Scocco con la collaborazione di G. Pigliapoco, P. Fabiani, M. Pasquini e C. Mercuri della Soprintendenza per i beni archeologici delle Marche.
Quattro pannelli didattici, rispettivamente dedicati al Piceno meridionale tra III e I sec. a.C., la romanizzazione del Piceno, la viabilità a Monte Rinaldo, l’ellenismo nel Piceno meridionale e le terracotte architettoniche, precedono, favorendone l’inquadramento storico-ambientale e culturale, l’esposizione dei materiali, sistemati in sette vetrine prismatiche in legno e cristallo, accompagnate dalle relative didascalie.
Ad esemplificazione del sistema di copertura del tetto del tempio e del porticato con tegole piane e coppi, vengono presentate, affiancate, due tegole fittili rettangolari di m. 0,85 x 0,50 x 0,003 con due alette sui lati lunghi e bordi rilevati con ispessimenti semicircolari con grosso foro per chiodi di fissaggio.
Le alette affiancate delle due tegole unite venivano coperte a loro volta dall’embrice di pari lunghezza.
I rinvenimenti in terracotta, oltre a proteggerle, decoravano le travature lignee delle strutture architettoniche.
Lavorati a matrice o a stecca e ravvivati dall’aggiunta di colori essi si raggruppano in diverse categorie sulla base della loro funzione.
In relazione a quest’ultima, vengono presentati nelle prime cinque vetrine in modo da renderne possibile anche la comprensione della loro esatta posizione, unitamente alle loro caratteristiche tipologiche, artistiche e cronologiche.
Sulla base di una ipotetica ricostruzione di uno dei due frontoni del tempio monterinaldese e con il conforto di altri confronti, partendo dalla sommità del timpano, nella vetrina 1 sono esposte una lastra traforata di fastigio in tre frammenti e una sima frontonale, unitamente ad un capitello ionico in pietra.
Passando alle decorazioni degli architravi, segue, nelle vetrine 2-3 e 4, una esemplificazione ragionata delle lastre di rivestimento tenute distinte per classe di appartenenza, rispettando una certa successione cronologica.
Nella vetrina 2, unitamente a frammenti di cornici, sono esposte lastre lavorate a stecca con fregio vegetale di tipo naturalistico con rami di acanto, girali con fiori e animali, mentre nella vetrina 3 sono esposte lastre simili, una di tipo leggermente anteriore, con girali e boccioli con uccelli che succhiano il nettare da fiori.
Gli esemplari di queste due vetrine rientrano in una corrente di tipo classicistico con confronti in Etruria, a Caere e a Falerii, rivelando una dipendenza da decorazioni marmoree ellenistiche di origine microasiatica e corrispondenze con ornamenti lapidei di monumenti funerari di età tardo-repubblicana diffusi nell’Italia centrale.
Accanto a queste lastre di tipo classistico se ne collocano altre, riconducibili a due tipi molto frequenti nelle decorazioni dei templi etrusco-italici con il motivo sia delle palmette alternate entro volute ad S (vetrina 3) sia delle palmette contrapposte, unitamente ad altri due tipi con la donna fiore e con protome tragica sopra ghirlande sostenute da putti (vetrina 4). Nella vetrina 5 è presentata una esemplificazione delle antefisse in prevalenza con la Potnia Theron di forme e tipologie diverse, anche di grandi e piccole dimensioni, unitamente ad un esemplare con Ercole che trova confronti puntuali a Chieti.
Nella vetrina 6 è esposta una selezione delle sculture frontonali con un gruppo di teste sia femminili sia maschili, barbate e imberbi, tra le quali si segnala quella di Ercole giovane con leonté che trova un confronto puntuale con un esemplare simile dell’avanzato IV sec. a.C. da Vulci ai Musei Vaticani.
Accanto a questi altorilievi compaiono un frammento con piede su roccia e una gamba panneggiata che, esposti per la prima volta a causa del loro interesse, offrono un valido contributo nel difficile e complesso lavoro di ricomposizione, appena avviato, e definizione del soggetto da essi rappresentato, ostacolato anche dalle condizioni e modalità del loro rinvenimento. Sono stati recuperati in prevalenza dalla demolizione di muri antichi nei quali erano stati reimpiegati come materiali da costruzione.
La possibile individuazione di Muse accanto ad Ercole apre insperate e allettanti prospettive di ricerca che comportano il richiamo alla Bona Dea dei romani e alla Cupra dei Piceni.
Le teste recuperate sono contraddistinte da una vigorosa caratterizzazione patetica dei volti, con bocche dischiuse, occhi affondati, capelli e barba voluminosi e mossi. Derivate da modelli del barocco asiano con rimandi agli altorilievi dell’altare di Pergamo, le sculture frontonali di Monte Rinaldo rientrano nell’ambito della cultura artistica di tipo provinciale, elaborata nei santuari tardo-ellenistici dell’Italia adriatica.
Nell’ultima vetrina, la numero 7, a documentazione del rituale della sanatio, praticata nell’area sacra di Monte Rinaldo, viene presentata una selezione di votivi anatomici in terracotta (piedi, mani, teste, mezze teste), unitamente a statuette femminili e di bovini ampiamente attestati in luoghi di culto etrusco-laziali e campani dell’Italia centrale e meridionale tra III e II sec. a.C. . Segue una scelta di ceramica a vernice nera tra cui accanto ad una lucerna di tipo Esquilino, compare la nota coppa con il bollo Spurius vovei sacrum del II sec. a.C. . Accanto ad un gruppo di cinque documenti epigrafici (due anfore e tre tegole) con timbri incompleti vengono presentati frammenti di ceramiche aretine tra cui una bella coppa incompleta con bucrani alternati a figure stanti e timbro M. PERENNIUS della fine del I sec. a.C., oggetti votivi in metallo con una fibula e un ansa di simpulum di bronzo e un denario di argento di L. CORNELIUS SCIPIO ASIAGENUS, assegnato agli anni 91-90 a.C.
Fonte : RiMARCANDO Bollettino 5 – Maurizio Landolfi
Ministero per i Beni e le Attività Culturali Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche