Santuario di Vescovio – Torri in Sabina (RI)

E’ uno dei più importanti monumenti della Sabina, fondato, secondo forti testimonianze storiche, su una casa romana (la Casa degli Ursaci) dove l’apostolo Pietro avrebbe celebrato la “Fractio Panis” cioè la santa Messa secondo il rito iniziato da Gesù nell’ultima Cena.

 

Cenni Storici

La Diocesi della storica regione della Sabina fu il risultato di una complessa e lunga opera di riaggregazione (durata dal V secolo al X secolo) dei territori delle diocesi paleocristiane di Nomentum (Mentana), Cures Sabini (Fara Sabina) che ne deteneva il titolo originario e Forum Novum (Vescovìo).
Curi, primitiva capitale della Sabina, citata come diocesi dal 465 e il cui vescovo aveva il titolo di episcopus Sabinensis, fu unita nel 593 a Nomentum (cit. dal 408), a sua volta unita nella seconda metà del IX secolo con Vescovium, che restò l’unica diocesi della Sabina.
Fondatore della Chiesa Sabina è considerato il vescovo S. Antimo, raffigurato con i santi martiri Massimo, Basso e Fabio e con S. Eutimio in un affresco del sec. XVII nel Santuario; la loro memoria si celebra qui il 20 ottobre.
Dal 781 e per buona parte dell’alto Medio Evo la diocesi costituì una sorta di elemento equilibratore, almeno dal punto di vista pontificio, dell’influenza della abbazia filoimperiale di Farfa.
La cattedrale e l’episcopio sorgevano isolati tra le rovine dell’antico municipio romano di Forum Novum, con il popolo che accorreva dai castelli e villaggi vicini solo in occasione delle celebrazioni religiose.
La fine del secolo XI segnò l’inarrestabile declino della presenza farfense nell’area.
Nel frattempo i Pontefici avevano iniziato a estendere il loro dominio sull’intero territorio diocesano, controllato direttamente attraverso una rete sempre più fitta di castra specialia, che finì per soffocare i possessi farfensi.
Agli inizi del sec. XII papa Pasquale II attuò una più serrata strategia per affermare definitivamente l’egemonia pontificia in Sabina, anche mediante un’intensa campagna di costruzione e ricostruzione di nuove chiese in stile romanico, come ad es. la stessa cattedrale, S. Maria Assunta a Tarano, S. Pietro ai Mauricento a Montebuono, S. Maria Assunta a Fianello.
Il 18 settembre 1495 papa Alessandro VI trasferì la sede episcopale da Vescovio a Magliano Sabina nella chiesa collegiata di San Liberatore, cattedrale di Sabina.
Il vescovo titolare fu allora chiamato Episcopus utriusque Sabinae.
Il 23 novembre 1841 Gregorio XVI unì il titolo dell’abbazia di Farfa alla sede di Sabina ed eresse la diocesi di Poggio Mirteto, ricavandone il territorio dalla diocesi di Sabina e dalle abbazie soppresse di Farfa e di San Salvatore Maggiore.
Quando le due diocesi furono unite da Pio XI (3 giugno 1925) con il nome di Sabina e Poggio Mirteto, questa perse l’enclave in territorio reatino (sette parrocchie che avevano fatto parte dell’antica abbazia territoriale di San Salvatore Maggiore) a vantaggio della diocesi di Rieti.
Oggi la Diocesi suburbicaria di Sabina-Poggio Mirteto ha come sede Poggio Mirteto, con la cattedrale di Santa Maria Assunta; a Magliano Sabina è la concattedrale di San Liberatore; a Torri in Sabina è l’ex cattedrale di Santa Maria di Vescovìo.

 

Vescovìo

Vescovìo sorge presso le rovine dell’antico municipio romano di Forum Novum, importante centro commerciale risalente molto probabilmente al II secolo a.C., costruito su un terrazzo alluvionale quasi alla confluenza di due torrenti e all’incrocio di due strade secondarie che lo collegavano alle vie consolari Flaminia e Salaria.
Il rango municipale sembra essere stato raggiunto da Forum Novum soltanto in età augustea.
Le epigrafi, la fonte più preziosa per conoscere la vita politico-sociale foronovana, ricordano come preposti al culto i seviri augustales; divinità venerate nella zona erano Giove Ottimo Massimo, Iside, Serapide e Arpocrate, Mercurio, Venere cui era dedicato un tempio, Fortuna, Vacuna, i Lari, i Penati.
Le epigrafi ricordano imperatori (Gordiano III), loro congiunti come Druso e Germanico e anche un acquedotto costruito da un privato cittadino, che oltre a una fontana alimentava anche le terme.
Gli scavi hanno riportato in luce gran parte della zona pubblica dell’abitato: il foro, la basilica, alcune botteghe, un tempio, mentre lungo le vie di accesso sono ancora ben visibili i nuclei di monumenti funerari e delle arcate di un acquedotto.
 

Il Santuario

Le prime testimonianze dell’attuale Santuario di Santa Maria de Episcopio Ecclesia Maior Sabinensis, antica cattedrale dei Sabini fino al 1495 (quando la sede diocesana passò a Magliano Sabina), risalgono all’VIII secolo.
E’ uno dei più importanti monumenti della Sabina, fondato, secondo forti testimonianze storiche, su una casa romana (la Casa degli Ursaci) dove l’apostolo Pietro avrebbe celebrato la “Fractio Panis” cioè la santa Messa secondo il rito iniziato da Gesù nell’ultima Cena.
La casa romana divenne così centro di preghiera della nascente comunità cristiana e in seguito, Santuario Martiriale per tre dei cinque martiri di epoca dioclezianea (Massimo, Basso e Fabio) la cui storia è leggibile nel palinsesto agiografico del Natale Sancti Anthimi (Menologio Siriaco, Martirologio Geronimiano e Acta Sanctorum).
Allo stato attuale non si possono individuare tracce di strutture paleocristiane che certo dovettero esistere prima dell’epoca carolingia (sec. VIII).
A partire da questa data il Santuario, già beneficato da donazioni dell’imperatore Teodosio I e di Galla figlia di Simmaco, ha subito frequenti restauri e ricostruzioni per il degrado e i danni, non ultimi quelli dei Saraceni nell’876, ma ha conservato intatto l’impianto e i caratteri romanici dei primi anni del sec. XII.
Molto bella è la torre campanaria, a cinque ordini di finestre, costruita in epoca posteriore alla chiesa facendo uso di materiale di spoglio come frammenti scultorei e lastre marmoree prelevati dalle rovine della città romana.
Sulla collina sovrastante la chiesa si vedono i resti del castrum domini episcopi, abbandonato e restaurato a più riprese durante il Medioevo; l’ultima volta sullo scorcio del XIII secolo, prima di essere ricostruito sotto il pontificato di Clemente VII, alla fine del Cinquecento, come supporto logistico alla chiesa ed essere trasformato in un convento Agostiniano.
 

Interno

L’interno, a navata unica, è decorato da dipinti degli inizi del Trecento della scuola di Pietro Cavallini, uno dei più importanti esponenti della scuola romana.
Originariamente sui muri laterali della navata c’erano 32 scene, suddivise in due registri; sulla parete destra episodi del Vecchio Testamento, con alcuni riquadri oggi quasi illeggibili; sulla parete sinistra scene del Nuovo Testamento, anch’esse in parte svanite.
Sulla controfacciata è affrescato un grandioso Giudizio Universale: un ciclo pittorico che ebbe una certa fortuna con echi che si diffusero nella valle del Tevere, specie a Fiano negli affreschi di S. Maria in Trasponte.
Negli altari del transetto e nell’ambone sono state reimpiegate lastre di recinti presbiteriali altomedievali, accuratamente lavorate con decorazioni a intrecci viminei e con simboli cristiani.
Sulla mensa marmorea dell’altare molti fedeli hanno lasciato scritti i loro nomi.
Attraverso due porte presso la zona presbiteriale si accede alla cripta a oratorio, edificata probabilmente nel X secolo alla ricostruzione dopo l’incendio saraceno.
L’ambulacro semianulare dell’XI secolo, che poggia su una chiesa precedente edificata su costruzioni romane, conduce al corridoio dritto e all’altare sotterraneo, che la fenestella confessionis mette in comunicazione con l’altare superiore; come mensa dell’altare è impiegata una lastra marmorea con iscrizione dei primi anni del Quattrocento.
La cripta, la sede dell’episcopio e della Schola Cantorum, il campanile del XIII secolo, le dotazioni non più visibili dell’area conventuale di pianura e di collina, della chiesuola-oratorio nell’area del protiro, i moduli architettonici interni ed esterni costituiscono la cornice entro la quale fin dal IV secolo d.C. ha operato la giurisdizione del vescovo di Sabina estesa nel X secolo alle sedi diocesane di Cures sabini (Passo Corese) e di Nomentum (Mentana).
Forum Novum, elevata nel 1060 a sede suburbicaria, ha espresso vescovi e pontefici coinvolti nei fatti più salienti della storia ecclesiastica e civile medievale e moderna.
Le dominazioni di Bizantini, Eruli, Goti Longobardi e Franchi hanno coinvolto la vita del Santuario.
La storia dell’Arte dei grandi maestri del tardo ‘200 solo di recente ha dedicato attenzione agli affreschi vetero e neotestamentari all’interno della basilica (navata e controfacciata), che solo nel sec. XIII si attribuirono alla scuola del Cavallini.
 

Immagine della Madonna della Lode

La devozione della Madonna a Vescovìo è antichissima.
Sorta poco a poco, non ha origine da apparizioni o fatti miracolosi anche se vengono tradizionalmente riferiti, come attestavano gli “ex voto” esposti fino ad alcuni anni fa nell’abside del santuario.
Due affreschi certamente anteriori a quelli della scuola del Cavallini attestano l’antichità di questa devozione.
Anche la chiesa era conosciuta con i titoli di “Sancta Maria Antiqua” o “S. Maria Maggiore in Sabina“.
Alcuni secoli fa si venerava nel santuario un’icona di origine egiziana, di cui si è persa notizia; l’immagine ora presente nell’abside, un lavoro di stucco su legno, risale presumibilmente al 1400.
I “Madonnari” (artisti che dipingevano immagini mariane), sapendo che questa chiesa era chiamata S. Maria Maggiore in Sabina, hanno voluto fare un’icona ispirandosi alla celebre Salus Populi Romani di S. Maria Maggiore in Roma.
L’immagine non segue le regole dell’iconografia orientale ma mostra dei tratti locali; lo sfondo blu ricorda il cielo, da dove la Madre di Dio viene in soccorso dei suoi figli; il viso di Maria non è orientale ma di una donna sabina.
Maria si identifica con le mamme sabine che spesso vengono nel santuario a pregare per i loro figli; Maria sempre ascolta queste suppliche, specie nei momenti di sofferenza e di pericolo come durante le guerre.
Le aureole in oro della Madre e del Figlio ricordano il cielo e la presenza di Dio; in quella mariana ci sono anche le 12 stelle (le prerogative dell’Immacolata) e foglie di ulivo simbolo di pace (o dei prodotti locali); sull’aureola del Bambino ci sono le lettere alfa e omega dell’Apocalisse (Gesù principio e fine) e il sole e la luna (Gesù signore del tempo e dell’eternità).
Il mantello della Vergine non è scuro ma bianco, pieno di piccole stelle e melograni ricamati in oro, ricordando la sposa del Cantico dei Cantici o dell’Apocalisse.
Il gesto benedicente latino è lo stesso della Salus.
Nella mano sinistra del Bambino non c’è un libro ma una pergamena che reca il verso 3 del Salmo 8:
Ex ore infantium et lactantium perfecisti laudem” (Hai ricevuto , Signore, la lode dalla bocca dei fanciulli e dei lattanti); ispirato a questo versetto un illustre sacerdote, Mons. G. B. Proja, Direttore Spirituale del Seminario Romano Minore (a Torri in Sabina), dette alla Madonna di Vescovìo il titolo di Madonna della Lode, che davvero conviene alla Madre di Dio:
1) Innanzitutto perché nel Vangelo di Luca la Vergine in visita alla parente Elisabetta canta il Magnificat, che è il compendio della lode delle Scritture, proclamando la misericordia e la giustizia divina.
2) Al di sopra di tutto, perché Maria fece della sua stessa vita una lode perenne al Signore; in quello che riguarda la lode, possiamo vedere nel bambino Gesù in braccio alla Mamma ognuno di noi.
3) Perché con Gesù e Maria dobbiamo trasformare la nostra vita in una perfetta lode al Signore. Il segreto della santità è trasformare la nostra vita in una perenne lode a Dio e farci piccoli, come ci ha insegnato S. Teresa del Bambino Gesù con la sua “Piccola via” e vivere la semplicità, l’umiltà e la purezza del cuore abbandonandoci nelle mani del Signore.
La figura di Maria con Gesù tra le braccia è incorniciata da una vite con i grappoli maturi. Forse l’autore del quadro ha voluto rappresentare un prodotto locale; la Sabina infatti, oltre all’olio, produce un ottimo vino.
La vite che porta molto frutto ricorda la parabola di Gesù (Gv 15,1). Gesù, la vera vite, nelle braccia di Maria; noi, i tralci, uniti a Gesù per Maria, dobbiamo portare i frutti per la vita eterna. Spesso si dovrà potare, ma tutte le prove e le sofferenze di questa vita saranno dei meriti per la patria definitiva.
 

Lapidi all’esterno della chiesa

In memoria di S. E. il Card. Gaetano De Lai che con magnificenza di spirito alla gloria di Dio alla fede alla pietà all’arte le originarie strutture di questa antica sede dei Vescovi di Sabina restituì. — S.E. il Card. Donato Sbarretti Vescovo di Sabina e Poggio Mirteto inaugurò il VI Novembre MCMXXXII auspice il Comune di Torri in Sabina“.

Il 9 marzo 1993 nella festa di S. Giuseppe Patrono dei lavoratori, accolto con immensa gioia dalla gente dei campi, il papa Giovanni Paolo II visitava questi luoghi bagnati dal sangue dei martiri, rinvigoriva la fede qui annunciata dall’apostolo Pietro e si raccoglieva in preghiera davanti all’immagine di S. Maria della Lode, in questa antica cattedrale dei Sabini.
L’Amministrazione Comunale di Torri in Sabina
“.
 

Fonti documentative

Sabina e Poggio Mirteto, Diocesi – in Enciclopedia Cattolica, voll. X,1518, Città d. Vaticano 1953.
Cartellonistica locale.
 

Nota

Il testo è di Stanislao Fioramonti, le foto sono di Patrizia Magistri; la visita è stata effettuata il 9 aprile 2016.
 

Mappa

Link alle coordinate: 42.331501 12.604580