Chiesa di San Giovanni Decollato – Cannara
Cenni Storici
La piccola chiesa di S. Giovanni Decollato, un tempo annessa al lazzaretto, sorge sulla strada che da Cannara conduce a Limigiano e a Bevagna; l’intitolazione è al primo discepolo di Gesù, Giovanni, detto il Battista, fatto decapitare da Erode Antipa su istigazione di Erodiade.
Non si conosce la data della sua edificazione, di sicuro esiste nel 1541, anno in cui viene abbellita con affreschi che, secondo alcuni studiosi sono da attribuire al pittore assisiate Dono Doni, allievo di Giovanni di Pietro detto “lo Spagna“.
Di questa cappellina campestre leggiamo qualche notizia nel resoconto della Visita Pastorale di mons. Pietro Camajani (3 settembre 1573): viene detta anche “Lo Spedalicchio“: si trattava di un “semplice beneficio“, appartenente al Capitolo Vaticano, che aveva un discreto reddito: 5 salme di frumento e vari barili di vino, per un valore di 23 scudi.
La denominazione “Spedalicchio” avvalora la tradizione popolare, secondo cui l’area adiacente era adibita a lazzaretto e a luogo di sepoltura durante le grandi calamità epidemiche, e l’edificio serviva da ricovero per l’isolamento dei casi più gravi.
Così, ad esempio, accadde attorno alla metà del 1800, quando una grave pestilenza (il colera) interessò anche Cannara, provocando decine e decine di morti, che vennero sepolti alla meglio; la paura del contagio era molto diffusa, al punto che perfino la Compagnia della Morte stentava a trovare confratelli che trasportassero i cadaveri proprio nell’area vicina alla chiesa, alla meglio, nel senso che il campo non era recintato e i cadaveri venivano lasciati “alle ingiurie degli animali“.
I chierici che di volta in volta venivano nominati rettori di questa chiesa, e dunque ne godevano i benefici, si disinteressavano completamente della tenuta di essa; così scrive mons. Domenico Secondi nel 1833, così nel 1890 il vescovo Nicanore Priori: “il beneficiario, un certo don Settimio Faccendi, se ne pappava le entrate senza punto pensare alla manutenzione della fabbrica” (resoconto Visita Pastorale 1890-91).
Vi leggiamo anche che, in attesa dell’apertura del nuovo Cimitero, in San Giovanni Decollato “furono trasportati provvisoriamente i cadaveri” in quanto era vietato seppellirli come tradizione nelle chiese.
La chiesa è stata restaurata a più riprese nel corso del novecento, quando era ormai in completa rovina; un primo intervento fu fatto nel 1927 da parte del Comune e della Soprintendenza ed interessò il tetto; seguirono poi dei restauri eseguiti tra Maggio e giugno 1951 eseguiti dal capomastro Rufino Tardioli per una spesa di 470 mila lire, a carico della Soprintendenza.
A metà anni Sessanta ci fu il crollo del tetto ed il dipinto dell’abside viene salvato da una copertura improvvisata ad opera di Viscardo Pompei e Vereno Sbicca; dopo vari tentativi di coinvolgere la Soprintendenza affinché provvedesse al restauro, questo viene effettuato alla fine degli anni Ottanta.
La proprietà è dello Stato (Amministrazione del Fondo Culto) come si legge nella visura catastale del 17 luglio 2017.
Aspetto esterno
L’edifici si presenta con tetto a capanna privo di campanile, conserva nel perimetro murario in laterizi ed una semplice decorazione a dentelli, ottenuta impiegando di taglio i mattoni; all’esterno si notano alcune formelle di terracotta.
Il portale ad arco è in mattoni, come del resto tutta la struttura, e si trova fuori asse rispetto alla struttura a capanna del tetto.
Nella parte posteriore si evidenzia un abside intonacato con cornice dentellata a mattoni.
Interno
L’interno è a navata unica viste le ridotte dimensioni dell’edificio (7,30 x 6,50), è priva di decorazioni nella navata mentre è affrescata nell’arco trionfale e nel piccolo catino absidale dove è affrescata la Madonna col Figlio, tra San Giovanni Decollato e San Nicola di Bari, a destra affiora un frammentario San Rocco, mentre a sinistra si intravede parte del corpo di San Sebastiano, i due santi tradizionalmente protettori contro la peste.
San Nicola è identificabile dai suoi emblemi, mitra e bastone pastorale, simbolo del vescovato e dal libro tenuto tra le mani, sormontato da tre sacchetti d’oro.
Gli affreschi datati 1541 ed eseguiti in occasione di un generale restauro della cappellina campestre (Camaiani 1573, c.72), possono essere attribuiti al pittore assisiate Dono Doni (Assisi 1500-1575), allievo di Giovanni di Pietro detto lo Spagna, alla cui cerchia sono generalmente riferiti.
Fonti documentative
Notizie estratte in parte da: Cannara Collemancio e l’antica Urvinum Hortense Paola Mercurelli Salari – Federica Annibali.
Testo di Ottaviano Turrioni con aggiunte di Mercurelli Paola Salari.