Sacro Bosco – Bomarzo (VT)
Cenni Storici
Il Sacro Bosco, più noto come Parco dei Mostri per la presenza di sculture grottesche disseminate in un paesaggio surreale, è il più antico parco di sculture del mondo moderno.
Fu ideato dall’architetto Pirro Ligorio, celebre per aver completato San Pietro dopo la morte di Michelangelo, su commissione del Principe Pier Francesco Orsini, detto Vicino.
L’Orsini fece costruire il parco “Sol per sfogare il core” e lo dedicò alla memoria della sua amata moglie, Giulia Farnese, da non confondere con l’omonima più celebre e dissoluta concubina del papa Alessandro VI Borgia.
L’architetto trova la principale fonte di ispirazione nell’Hypnerotomachia Poliphili (1499) di Francesco Colonna, che narra della morte di Polia, donna amata da Polifilo.
Il primo tracciato all’interno del Parco, collocabile cronologicamente a cavallo tra il 1561 ed il 1563, prendeva le mosse dal tempietto posto sulla collinetta; originariamente riportava dodici medaglioni con i segni zodiacali e un’immagine del sole.
Riportava la dedica “alla felice memoria dell’Illustriss. Sig. Giulia Farnese“.
È evidente il rimando al tempio rotondo, “alla physizoa Venere consecrato“, presente nell’opera del Colonna.
Nel tempio di Venere del Colonna sono descritte delle immagini che raffiguravano Apollo insieme alle nove Muse, tutte in circolo.
La vicina Fontana di Pegaso mantiene oggi visibile la sola figura del mitico cavallo alato, al momento della sua realizzazione presentava in aggiunta le statue delle nove Muse, disposte in circolo.
La presenza dei rimandi all’Hypnerotomachia Poliphili continua con la nicchia contenente l’abbraccio delle Tre Grazie “de esse le due Eurydomene, et Eurymone, cum il virgineo aspecto di rimpecto ad nui manifestantise. La tertia Eurymeduse, rivoltata cum le bianchissime spalle ad nui“.
Il percorso di Polifilo giunge al suo corretto completamento con l’arrivo all’isola di Citera, presso il sacrario di Venere, al parco la statua di Venere si trova posta all’interno di un ambiente voltato, di cui oggi manca totalmente il lato sinistro e la copertura, crollati nel corso degli anni posta al di sopra di una conchiglia.
Nel romanzo di Colonna la dea viene descritta come immersa per metà nell’acqua, nel Bosco Sacro presenta un foro nell’ombelico da dove in passato doveva zampillare un getto d’acqua.
Altri fori simili si trovavano disposti tutto attorno alla statua cosicché l’immagine veniva completamente immersa in un velo d’acqua che le scorreva sopra e che riempiva un bacile ai piedi della statua.
Il percorso termina dopo il teatro con la serie delle erme che rimandano alla processione osservata da Polifilo, durante la quale dei satiri innalzano erme tricipiti.
Le statue che fanno parte di questo primo gruppo appaiono di caratteristiche abbastanza omogenee con dimensioni contenute e uno stile alquanto grezzo e senza qualità plastiche.
Dopo il 1565 il programma artistico del Bosco subisce una rivoluzione quasi totale, sono realizzate le statue più monumentali, cambia anche il modello d’ispirazione, che va ora cercato nella letteratura cavalleresca, mutuando le invenzioni del Pulci, dell’Ariosto e dei Tasso, Bernardo e Torquato, padre e figlio,per trasformare il Parco in una selva oscura, popolata da mostri e creature magiche.
L’orca a fauci spalancate che emerge dai flutti riprende alquanto puntualmente l’illustrazione contenuta nell’edizione del 1563 dell’Orlando furioso, volume che Vicino doveva conoscere bene visto che era stato preparato da Giovan Andrea dell’Anguillara, autore di teatro e traduttore, legato sia ad Alessandro Farnese che agli Orsini.
La tartaruga gigantesca può derivare dal Morgante (1478) di Luigi Pulci, ove Morgante e Margutte avvistano una testuggine grande come un monte e, dopo averla uccisa, si preparano un banchetto pantagruelico annaffiato da abbondanti dosi di vino.
Nei pressi di queste due statue si trova una gigantesca figura, la più grande statua del parco, impegnata in una lotta selvaggia con un’altra, che appare soccombente, in procinto di essere squartata.
Il soggetto di tale gruppo scultoreo è stato oggetto di un ampio dibattito e di numerose interpretazioni.
Vi si legge una scritta che ne esalta la monumentalità, ma non aiuta a comprenderne il significato:
SE RODI ALTIER GIÀ FV DEL SVO COLOSSO
PVR DI QVEST’IL MIO BOSCO ANCHO SI GLORIA
E PER PIV NON POTER FO QVANT’IO POSSO
(Se Rodi si vantò del suo Colosso / Anche il mio bosco si gloria di questo / e non potendo di più, faccio quel che posso)
Secondo alcune interpretazioni rappresenta la lotta di due giganti, identificati come Ercole e Caco.
A parere del Bredekamp la figura principale rappresenta Orlando intento a possedere una fanciulla, nello specifico un’amazzone in quanto è senza seno.
In realtà, come testimoniato da una lettera di Vicino Orsini a Giovanni Drouet, raffigura Orlando che vaga nudo, in preda alla follia a causa della passione per Angelica, e che squarta un pastorello che aveva incrociato sulla sua strada:
e quanto più sbarrar puote le braccia,
le sbarra sì, ch’in duo pezzi lo straccia;
a quella guisa che veggiàn talora
farsi d’uno aeron, farsi d’un pollo.
La selva di Saron dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, ispira chiaramente molte delle opere disseminate nel bosco, prima fra tutte l’imponente statua di Plutone (secondo altre interpretazioni si tratta di Nettuno) che riprende appieno le caratteristiche descritte dal Tasso.
Anche altri elementi sono connessi con il mondo degli inferi: la statua di Cerbero, la statua di Proserpina, figlia di Cerere e sposa di Plutone, il grande mascherone a bocca spalancata che rievoca l’ingresso all’Inferno di dantesca memoria anche nella scritta, che originariamente recitava:
LASCIATE OGNI PENSIERO VOI CH’INTRATE,
scorrettamente trasformato in
OGNI PENSIERO VOLA.
Ancora dalla Gerusalemme liberata deriva la statua del drago in lotta con un leone ed un’altra belva:
Come rugge il leon, fischia il serpente,
come urla il lupo e come l’orso freme.
Di questo secondo gruppo di opere, che mostrano una notevole omogeneità stilistica, potrebbe essere autore Simone Moschino (Orvieto, 1533 – Parma, 1610).
Altre statue sono difficilmente interpretabili e inseribili in un ciclo: la figura femminile languidamente adagiata, nuda fino al bacino, sita nelle vicinanze del sacrario di Venere potrebbe essere una ninfa, la maga Armida della Gerusalemme liberata o Psiche addormentata.
La statua dell’elefante, tra le più famose del parco, potrebbe essere un monumento alla memoria di Orazio morto a Lepanto del 1571 combattendo contro la flotta turca, ma l’interpretazione non appare del tutto convincente.
Più probabile il riferimento all’impresa di Annibale durante la seconda Guerra Punica, il maestoso elefante reca sulla schiena una grossa torre e nella proboscide tiene un legionario romano, quasi a volerlo stritolare.
Un altro elemento estraneo è il mascherone con globo che, solitario, segna i limiti del Boschetto, il primo Mostro del Parco che si incontra dall’attuale ingresso.
Il Bredekamp lo ricollega alle maschere delle divinità precolombiane che Vicino doveva avere visto nelle collezioni di nobiluomini, come per esempio Cosimo I de’ Medici.
Secondo altre interpretazioni l’immenso mascherone antropomorfo con la bocca spalancata, che sembra emergere direttamente dalle viscere della Terra, sormontato da un grande globo di pietra, sulla cui cima è posta una piccola torre, potrebbe essere identificato come Proteo oppure Glauco.
Altrettanto enigmatica è la casetta pendente, forse l’elemento più noto dell’intero giardino.
Costruito su un masso inclinato anche agli interni mostra una pendenza irregolare, il pavimento non è perpendicolare rispetto ai muri, causando smarrimento e vertigini in chi vi entra.
Su una delle facciate della casa è ancora leggibile l’iscrizione:
ANIMUS QUIESCENDO FIT PRUDENTIOR ERGO
(L’animo tacendo diviene più assennato)
Su una parete dell’edificio si legge la scritta:
CRIST MADRUTIO PRINCIPI TRIDENTINO DICATUM
È una dedica al Madruzzo, vescovo di Trento dal 1539, che probabilmente è intervenuto presso gli spagnoli per far liberare Vicino.
L’edificio sembra in procinto di cadere ma che resiste, saldamente ancorato alla roccia, sarebbe stato eretto non da Vicino Orsini ma dalla moglie Giulia attorno al 1555, a titolo di augurio perché l’infelice situazione di Vicino, catturato nel 1553 durante l’assedio di Hesdin, si risolvesse in modo favorevole.
La cosiddetta panca etrusca ricalca la forma di un triclinium etrusco o romano, è collocata dentro una nicchia che riporta la seguente iscrizione:
VOI CHE PEL MONDO GITE ERRANDO VAGHI
DI VEDER MARAVIGLIE ALTE ET STUPENDE
VENITE QUA DOVE SON FACCIE HORRENDE,
ELEFANTI, LEONI, ORSI, ORCHI ET DRAGHI.
Le due sfingi che accolgono il moderno visitatore all’ingresso del Parco, ma qui allocate solo in epoca recente riportano le seguenti iscrizioni:
TV CH’ENTRI QVA PON MENTE
PARTE A PARTE
ET DIMMI POI SE TANTE
MARAVIGLIE
SIEN FATTE PER INGANNO
O PVR PER ARTE
CHI CON CIGLIA INARCATE
ET LABBRA STRETTE
NON VA PER QUESTO LOCO
MANCO AMMIRA
LE FAMOSE DEL MONDO
MOLI SETTE
Appena fuori dal parco, nascosta tra il Sacro Bosco e il borgo di Bomarzo si trova la chiesa di Santa Maria della Valle, sulla facciata campeggia lo stemma della famiglia Lante della Rovere che nel XVII secolo deteneva il dominio su Bomarzo.
Nel 1585, dopo la morte di Vicino Orsini, il parco fu abbandonato e nella seconda metà del Novecento fu restaurato dalla coppia Giancarlo e Tina Severi Bettini, i quali sono sepolti nel tempietto interno al parco, che forse è anche il sepolcro di Giulia Farnese.
La signora Tina Severi Bettini, in particolare, diede la sua vita per questo in quanto purtroppo durante le attività di ricostituzione del Parco una caduta mise prematuramente fine alla sua esistenza.
Nota
La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
Fonti documentative
L. Ariosto – Orlando furioso – a cura di Lanfranco Caretti, Torino, 2005
M. Calvesi – Il sogno di Polifilo prenestino – Roma, 1980
M. Calvesi – Bomarzo e i poemi cavallereschi. Le fonti delle iscrizioni – in “Arte Documento“, n. 3, 1989, pp. 142-153
L. Pulci – Morgante – a cura di Franca Ageno, Milano, 1994
T. Tasso – Gerusalemme liberata – a cura di Lanfranco Caretti, Torino, 2005
A. Torresan – Tra echi di poemi cavallereschi e manufatti colossali: traslazione in musica di un’affascinante vicenda rinascimentale. Il Bomarzo di Alberto Ginastera e Manuel Mujica Lainez – tesi di Laurea, Anno Accademico 2011/2012, Università Ca’ Foscari di Venezia, Relatore Ch.mo Prof. Paolo Pinamonti, Correlatori Ch.mo Prof. David Douglas Bryant Ch.mo Prof. Carmelo Alberti
S. Torretta – Il Sacro Bosco di Bomarzo – in notiziario del Gruppo Archeologico Luinese, 29 dicembre 2015
H. Bredekamp – W. Janzer – Vicino Orsini e il Bosco Sacro di Bomarzo. Un principe artista ed anarchico – Roma 1989
http://www.bomarzo.net/
https://www.sacrobosco.eu/storia/
https://it.wikipedia.org/wiki/Parco_dei_Mostri
https://www.canino.info/inserti/tuscia/luoghi/bomarzo/