Castello di Roccafranca – Foligno (PG)
Cenni storici
Roccafranca ed ancor prima Acquafranca è un paese del comune di Foligno, a 830 metri di altezza, posto nell’alta valle del fiume Vigi, su di un terrazzo che domina un precipizio di 400 metri solcato da fossi e canali.
Si narra che nel 1281, Sellano incalzato dalle truppe spoletine dovette capitolare (Syllanum Spoletinis se dedit).
Alcuni dei suoi abitanti che si battevano per l’indipendenza, preferirono passare sotto il ducato dei Varano di Camerino oltre il Vigi.
Ma agli stessi abitanti Spoleto finì per concedere la “franchigia“, cioè l’indipendenza nel 1284 (da qui il nome cioè esenzione di obblighi e tributi verso qualcuno) consentendo loro di costruirsi delle abitazioni, e siccome nei pressi dell’insediamento sgorgava una copiosa sorgente, nacque il toponimo Acquafranca.
In seguito a questo atto generoso, i transfughi decisero di ritornare sotto il dominio spoletino, con i soliti obblighi, gabelle, podestà spoletino a Sellano, cero per l’Assunta a Spoleto e milizie in cambio di protezione.
Il nome di Acquafranca venne cambiato in Roccafranca, in seguito alla costruzione della fortezza ed entrò di nuovo a far parte del comune di Sellano, con diritto ad avere uno dei tre consiglieri spettanti allo stesso comune (Guaita S. Petri vel Acquefranche), come dagli statuti del 1374.
Nel 1329, furono delimitati mediante catasto i limiti dei terreni di Acquafranca, Montesanto e Verchiano, al fine di pagare le tasse ad una sola comunità.
Anticamente vi passava una strada assai frequentata da Visso a Foligno e dato che il Vigi si poteva attraversare come zona franca cioè senza pagare tassa di sorta, determinò agiatezza economica al castello.
Secondo lo storiografo seicentesco Durastante Dorio, già nel 1377 Ugolino III Trinci, nel momento in cui a Foligno veniva assassinato suo padre Trincia, sarebbe stato trattenuto come prigioniero nel castello, ma appena riconquistata la libertà e la Signoria, nel 1378 avrebbe fatto restaurare ed ampliare la fortezza.
Lo storiografo attingendo dal “Liber electi(onum) ab a(nno) 1386 usque 1394” scrive che costui “fece fabricar di nuovo” una serie di castelli e rocche” e fra i castelli c’era Capodacqua, Annifo, Colfiorito, Verchiano, Acquafranca (Roccafranca), Rasiglia, “installandovi castellani salariati con soldati per guardia di essi luoghi” “Castrum et roccha Aquefranche custoditur per unum castellanum, qui est vicarius et tenet duos socios per septem florenos” e che ciò fece “per maggior sicurezza del suo Stato“, Roccafranca nello specifico fronteggiava il castello di Elci dei Varano di Camerino.
E’ questo il periodo in cui i Trinci si impossessarono di Acquafranca e ne mantennero il dominio fino al 1435.
Tra i Memoriali della Festa di S. Feliciano del Comune di Foligno, il più antico è del 1448 e vi si stabilisce le precedenze con le quali veniva effettuata la chiamata dei sindaci territoriali, ovvero dei rappresentanti istituzionali dei castelli e delle ville denominati “sindacati“, elenca al quinto posto il sindaco di Colfiorito mentre al primo c’era il “sindacatus” di Acquafranca che in segno di omaggio la comunità recava il pallio e due ceri.
In proposito vanno fatte alcune osservazioni: se il primo posto spettava al sindaco di Acquafranca (poi Roccafranca) v’era una ragione di strategia territoriale ben chiara, infatti posto all’estremità meridionale del Comune, quel castello era ancora oggetto di un contenzioso più che secolare con Spoleto e sarebbe stato incorporato nel Folignate in maniera certa e definitiva molto più tardi (1487), da qui la necessità di porre in risalto il ruolo cerimoniale.
Dopo la fine della Signoria dei Trinci, nel 1461 il castello passò di nuovo a Spoleto, ma nel frattempo per istigazione dei folignati, si formarono due fazioni contrapposte, una favorevole a Foligno e l’altra a Spoleto ed essendo castellano uno spoletino, certo Paolangelo, il fautore di Foligno Monaldo, insieme ad altri abbandonò il castello rifugiandosi con tutte le masserizie a Percanestro.
Lo stesso Monaldo era spalleggiato dai massari di Roccafranca, nonché dagli abitanti dei castelli di Verchiano e Rasiglia per ritornarne in possesso, ma Paolangelo a nome del comune di Spoleto, iniziò una massiccia fortificazione, costruendo un nuovo torrione con un fossato ed un presidio ben armato intendendo di fare ciò per il comune di Spoleto.
I Varano signori di Camerino, cercavano di fomentare discordie in quanto confinanti interessati anch’essi al possesso di Roccafranca.
Fu così che Foligno dovette ricorrere a Papa Pio II, che il 29 marzo 1461 esortò gli spoletini affinché consegnassero il castello al cardinale Eroli, legato pontificio dell’epoca, ma poiché tale esortazione non venne presa in considerazione, i folignati furono costretti a scatenare ancora una volta dei disordini nel paese.
Gli spoletini inviarono allora un massiccio numero di uomini per punire i colpevoli della rivolta e distruggere il castello, ma intervenne senza indugio il commissario pontificio, certo Domenico di Lucca che prese risolutamente in mano la situazione.
Le schermaglie tra Foligno e Spoleto, durarono fino al 1487, anno in cui il Papa Innocenzo VIII, con breve del 26 giugno commissionò al governatore di Spoleto Maurizio Egro il compito della pacificazione.
Ed è proprio in quel periodo che Acquafranca (Aque Franche) cambiò nome in Roccafranca e passò definitivamente a Foligno, mentre Spoleto ebbe i castelli di Cammoro e Orsano.
Attorno alla fortezza di Roccafranca, gravitavano le ville di Ali, Caposommiggiale, Collenibbi, Croce di Roccafranca e Tito.
Nella lite tra Verchiano e Sellano per il pascolo sul monte Iugo, si inserì Roccafranca.
Nel 1546, dopo varie cause, furono stabiliti i confini tra Sellano e Roccafranca (4 giugno).
La vertenza per il monte Iugo si risolse a favore di Sellano il 15/1/1547.
La piccola comunità ebbe definitivamente gli statuti, tra i quali quello più antico è in latino e data 1424, mentre il testo volgare risale al 1508, entrambi sono conservati presso l’Archivio di Stato di Foligno.
Con la fine delle Signorie dei Trinci di Foligno e dei Varano di Camerino e con l’avvento dell’amministrazione pontificia, il castello di Roccafranca come quelli di Annifo, Colfiorito, Rocchetta, Dignano e Percanestro, non ebbero più ragione di esistere in quanto non più di confine.
Le più importanti famiglie come la potente famiglia dei Roscioli, si trasferirono a Roma.
La comunità fu appodiata a Verchiano e la stessa che nel 1600 contava oltre 423 anime, nel 1901 solo 169 nel 1931 circa 30 e con il passare degli anni si è andata sempre più sfoltendo, fino a quasi estinguersi.
Alla fine di gennaio 2005, a Roccafranca vi abitava una sola persona; un anziano signore che dopo la morte della moglie non ha voluto abbandonare la zona e vive in solitudine, in una piccola abitazione posta nei pressi del castello.
Aspetto
Il castello è stato ristrutturato dopo il terremoto del 1997, ma ha subito altre lesioni con le scosse del 2016, rimangono comunque le due imponenti torri poligonali, una del comune e l’altra campanaria.
Chiesa di S. Maria Assunta
Nella piazzetta antistante sul retro delle due torri è la chiesa castellana dedicata all’Assunta, in onore della dominante Spoleto, più volte ristrutturata.
Sotto il pavimento del piccolo luogo di culto fino agli anni quaranta del secolo scorso, grazie ad una dispensa, vi venivano ancora seppelliti i morti del paese.
A Roccafranca vi fiorirono anche tre Confraternite: il nome di Gesù, il Rosario e il Sacramento, in seguito unificate.
Attualmente sia il castello che la chiesa sono stati restaurati dopo il terremoto del 1997, però entrambi sono stati lesionati di nuovo dal terremoto del 2016.
Aspetto esterno
La chiesa è a navata unica con tetto a capanna e presenta un bel portale del sec. XV; sulla chiave di volta del portale compare una croce scolpita tipica delle croci di consacrazione in questo caso riferita al portale, la scritta è di difficile interpretazione ma poichè è un latino particolare e dovrebbe indicare quantomeno l’anno o l’appartenenza della chiesa o chi l’ha consacrata, ma questo lo vedremo quando saremo riusciti a decifrare la scritta.
La struttura è completamente inglobata nel castello tanto che le finestre sono le feritoie delle mura e il campanile è la torre con tanto di fori per bocche da fuoco.
Interno
La navata ha una conformazione curva in quanto segue le mura perimetrali del castello e le stesse finestre sono le feritoie.
doveva contenere numerosi ed importanti affreschi, ma nel corso dei secoli si sono del tutto persi.
Nella parete destra un brandello conserva solo la parte inferiore di un affresco con due personaggi di cui però è impossibile l’identificazione, persino la scritta inferiore con la dedica e la probabile datazione si è in parte persa.
Dopo una feritoia usata sia come nicchia che come finestra, si trova un’altra nicchia che conteneva il Fonte Battesimale e dove compare un affresco con il Battesimo di Gesù.
Il presbiterio presenta un altare in marmo di moderna fattura con la parete completamente spoglia, ma che un tempo
conteneva una pala d’altare della chiesa, avente come tema l’Assunzione della Vergine in cielo, di anonimo di scuola umbra, è stata trasferita in tempi non molto lontani nella pinacoteca arcivescovile di Spoleto dalle quale tuttora dipendono le parrocchie della zona.
La sacrestia è ricavata nella base della torre castellare ora utilizzata come campanile.
Nel gradino che separa il presbiterio dall’aula compare la data 1550.
Scendendo nella parete di sinistra rimane un resto di affresco con un Santo non riconoscibile e più avanti una nicchia che un tempo conteneva una statua della Madonna distrutta dal terremoto e sulle cui pareti affrescate si trova un S. Nicola da Tolentino con S. Francesco da Paola rispettivamente di fine XVI e inizio XVII secolo.
Tale affresco ha coperto un affresco precedente di cui resta solo un bellissimo volto femminile.
Le foto della galleria sono state fatte nell’estate 2023 dopo il restauro; la chiesa è comunque inagibile per altri danni subiti nel 2016 dall’altro terremoto.
Curiosità
CASTELLO DI ROCCAFRANCA INVENTARIO DEGLI ARMAMENTI (1443)
132 pallotte di piombo da schioppetto
4 mantelletti di chiusura per merli
2 mantelletti nel barbacane
2 banchetti
2 casse di verrettoni ferrati con 18 mazzi da 50 (totale 950)
1 cassa di verrettoni ferrati con 6 mazzi e mezzo da 50 (totale 325)
1 pozzarola rotta
1 barile di “tonina” guasto
1 cassa senza coperchio
1 scoppietto di metallo con manico
1 bombarda grossa con il ceppo
1 barile di polvere pieno meno quattro dita
1 spingarda di ferro con uncino
1 spingarda di ferro senza uncino
1 balestra grossa con l’arma di Corrado e due grifi
1 balestra grossa con corda e mastrocorda ed arma dei Trinci
1 elmo da giostra con visiera senza camaglio (protezione del collo)
1 elmetto con visiera e camaglio
1 “asinello” con due maniche, due rotte e due cordoni
l roncone madreziano (matriciano)
1 scala di legno nella torre
1 cassetta con verrettoni 42 ferrati e 150 non ferrati
l sacchetto di biscotto
1 funigio con “uncino di ferro”
1 balestra rotta senza corda
1 orciuolo fiorentino
1 tavolo da pranzo
l sedia
l cassetta
-tavole doppie rettangole e ferramenta in cima alla torre
Il Monte Frumentario
Il castello di Roccafranca dato il suo elevato numero di abitanti ha anche gestito un Monte frumentario fino dalla metà del sec. XVI, vi è un ricco archivio in merito che annota diligentemente tutti gli incarichi e i movimenti di prestiti e risarcimenti.
A tal proposito sembra opportuno specificare il ruolo di tale istituzione e citare quelli che nell’Altopiano hanno avuto maggior fortuna.
Il Monte frumentario, come istituzione, compare sul calare del secolo XV ed è un’applicazione pratica dei Monti di Pietà, ma, a differenza di questi, sino alla definitiva soppressione, avvenuta con l’Unità d’Italia, il Monte frumentario si configura sempre come istituto di beneficenza a favore della classe degli agricoltori.
Presso le classi più umili il frazionamento della proprietà, l’inadeguatezza delle tecniche di coltura e di concimazione, le frequenti carestie, le guerre e le stesse epidemie, in particolare la peste, producevano effetti disastrosi sulla coltura del grano, elemento indispensabile per l’alimentazione.
Annate inclementi costringevano gli agricoltori, pur di seminare grano, a prestiti onerosi.
Si trova ad esempio che nell’Italia settentrionale sul calare del secolo XV qualche agricoltore, pur di seminare il grano, si impegnava a cedere alla stagione, a colui che aveva prestato la semente, la terza parte o addirittura la metà del raccolto.
E’ in questo clima che nasce l’istituto dei Monti frumentari.
Per il secolo XV, in altra sede, abbiamo individuato in fra Andrea da Faenza, Minore Osservante, il primo ed il massimo propagatore dei Monti frumentari. La più parte dei primitivi istituti apparteneva alle città, evidentemente a sostegno degli agricoltori ivi residenti: era d’obbligo infatti la restituzione del grano all’epoca del raccolto.
Il fenomeno si spiega considerando come fino al Concilio Lateranense V l’istituzione sia stata promossa quasi esclusivamente da religiosi, in particolare dai francescani dell’Osservanza: furono costoro che, durante le peregrinazioni apostoliche, le quali avevano come tappe ambite le varie città d’Italia, promossero da quei pulpiti tali istituti di beneficenza.
Il primo, il Monte frumentario di Annifo, appartiene ai primordi dell’istituzione: fu eretto infatti il 18 settembre 1492 da fra Andrea da Faenza, Minore Osservante, con le elemosine raccolte dal medesimo durante la predicazione tenuta in quel castello.
Nonostante che inizialmente sia stato un Monte sine merito, grazie alla tenacia di quel popolo, a differenza di tutti gli altri Monti del secolo XV che a pochi decenni dall’apertura chiusero i battenti, ragione non ultima la gratuità del prestito, il Monte di Annifo durò per ben quattro secoli.
Non mancarono momenti di crisi, ma grazie alle elemosine, al sopravvenuto tasso di interesse, quattro libre per ogni quarto di grano, e soprattutto grazie agli energici e tempestivi interventi da parte dell’autorità ecclesiastica, il Monte riuscì a costituire e a mantenere, pur con alterne vicende, un capitale di circa 50 rubbie di grano e nel secolo XVIII poté aprire anche una succursale, un Monte pecuniario, già previsto dagli statuti antichi, la cui vita però fu stentata.
Nei secoli XVI-XVIII i castelli di Annifo e di Dignano contavano ciascuno una ottantina di fuochi, una popolazione quindi che oscillava tra le quattrocento e le quattrocentocinquanta anime, questo significa che il 60% circa delle famiglie dei due castelli rientrava nella categoria dei poveri, i soli destinatari del Monte, quelli cioè che avevano la magra soddisfazione di possedere qualche fazzoletto di terra ove poter seminare del grano, i quali beneficiavano in media di cinque quarti e poco più di grano, cioè circa mezzo quintale.
Palio Stendardo del Castello di Roccafranca (Aque Franche)
Unico esemplare dei Castelli di montagna che si è conservato, risalente al XIII secolo.
Drappo in seta ricamato in oro zecchino, raffigurante gli stemmi dei casati più in vista dell’epoca, come quello di Giulio II, quello della Rovere, il gigliato Mediceo verde, anziché rosso, come l’ultimo Gonfalone della Città di Foligno, e lo stemma del mastio del Castello omonimo, con la famosa smerlatura a coda di rondine di origine ghibellina.
Restaurato per conto del Comune di Foligno e della Sovrintendenza dei Beni Culturali Storici di Perugia è attualmente esposto nella sala araldica del museo di Palazzo Trinci, in bacheca tecnica per preservarlo dai cambiamenti atmosferici.
Fonti documentative
Santuari e Castelli del Folignate e della Valtopina di Sandro Capodimonti editrice Dimensione Grafica.
Qua e la’ per il Folignate alla scoperta di bellezze dimenticate o…quasi di Sandro Capodimonti editrice Dimensione Grafica.
Fabio Bettoni Maria Romana Picuti – La montagna di Foligno Itinerari tra Flaminia e Lauretana – 2007
M. Tabarrini – L’Umbria si Racconta – 1982
A. FABBI – I comuni della Valnerina
M. SENSI – Castelli, castellari, castellieri
M. SENSI – Monti frumentari e problemi agricoli a Colfiorito in “Atti e Memorie della Deputazione di storia patria per le Marche”, 7 (1975), pp. 397-432.
M. SENSI – Vita di pietà e vita civile di un altopiano tra Umbria e Marche (secc. XI-XVI) – Roma 1984