Rocca Albornoziana – Spoleto (PG)
Cenni Storici
ROCCA ALBORNOZIANA E MUSEO NAZIONALE DEL DUCATO DI SPOLETO
La Rocca Albornoziana di Spoleto sorge in cima al Colle Sant’Elia, zona interessata da insediamenti fin dall’epoca del Bronzo. In età romana, data la posizione strategica, il colle fu occupato dall’acropoli, e molto più tardi, tra il X e l’XI secolo, sull’area sorsero le due chiese, perdute, di S. Maria e di S. Elia: da quest’ultima ha preso nome la collina. Intorno al 1360, nell’imminenza del rientro definitivo della sede papale da Avignone a Roma, per volontà dei papi Urbano V e Innocenzo VI, il cardinale Egidio Albornoz fu incaricato di realizzare un sistema difensivo di rocche nei territori dello stato pontificio di cui quella spoletina è il perno. La Rocca è un complesso architettonico fortificato dall’allungata forma rettangolare, scandito da sei torri, che chiude al suo interno due ampi cortili: il Cortile d’Onore chiuso da un porticato disposto su due livelli, su cui si affacciavano gli ambienti residenziali, e il Cortile delle Armi, con funzione militare. Costruzione strategica per il controllo della via Flaminia, punto di appoggio e di partenza ideale per le azioni militari volte al recupero dei territori dell’Umbria, delle Marche e della Romagna, la Rocca Albornoziana è stata concepita anche come sede residenziale per i rettori del Ducato, i governatori della città e i legati pontifici i quali avevano, tra gli altri, il compito di amministrare la giustizia. Per tale ragione la Rocca si trasformerà dapprima in prigione e poi, nel corso del XIX secolo, definitivamente in penitenziario. Alla Rocca Albornoziana si accede attualmente dalla Sala Eugenio IV, un tempo destinata a sala da pranzo, che reca nella volta a botte, lo stemma del cardinale Gabriele Condulmer, futuro papa Eugenio IV (1431-1447). Sulle pareti un semplice ed elegante motivo floreale. Il Cortile d’Onore è uno degli spazi più rappresentativi della Rocca, articolato in due colonnati sovrapposti, con pilastri ottagonali caratterizzati dall’uso del cotto e della pietra e dalla presenza di numerosi stemmi e dipinti. Il progetto del complesso è stato attribuito all’architetto eugubino Matteo Gattapone, negli anni tra il 1362 e il 1370, ma fu portato a termine solo nella metà del XV secolo, da Bernardo Rossellino, su incarico di papa Niccolò V. All’interno del Cortile si trova un monumentale pozzo a base esagonale, probabilmente coevo alla costruzione della Rocca e, quindi, tardo trecentesco. Il Fornice, che collega il Cortile d’Onore al Cortile delle Armi, è decorato da affreschi che ritraggono sei città di confine dello Stato della Chiesa, tra le quali si riconosce Spoleto. La decorazione è stata realizzata intorno al 1578 per conto di papa Gregorio XIII Boncompagni, il cui stemma è presente al centro del soffitto, tra le Virtù Cardinali. Il Cortile delle Armi era destinato all’accampamento e alle esercitazioni dei soldati a guardia della Rocca. Sono ancora percorribili (anche se attualmente chiusi al pubblico) i camminamenti di ronda usati dai militari, mentre la Torre Maestra proteggeva l’ingresso principale, che conserva l’originale arco a tutto sesto. Sopra la porta sono ancora visibili gli stemmi del cardinale Egidio Albornoz e di papa Urbano V. Dalla monumentale scala del Cortile d’Onore si accede al primo piano, il cui loggiato presenta numerosi stemmi, a testimonianza del passaggio e della presenza all’interno della fortezza di importanti famiglie gentilizie, che governarono Spoleto. Tra questi, risalta lo stemma con le tre api della famiglia fiorentina Barberini, alla quale apparteneva papa Urbano VIII (1623- 1644) il quale, prima di divenire pontefice, fu vescovo della città di Spoleto. Sopra la porta d’ingresso al Salone d’Onore è affrescato lo stemma della famiglia spagnola Borgia; fonti storiche attestano che papa Alessandro VI nominò, nel 1499, sua figlia Lucrezia Borgia governatrice del Ducato di Spoleto, e che essa per un breve periodo, soggiornò alla Rocca. Il Salone d’Onore era in origine l’ambiente più vasto della fortezza, avendo una lunghezza pari alla distanza tra le due torri mediane. Nelle intenzioni del Gattapone questa sala avrebbe dovuto essere destinata alla rappresentanza ma delle decorazioni previste rimangono solo disegni preparatori e risulta che nel Quattrocento l’ambiente, ancora incompiuto, fosse utilizzato solo come deposito. Solo successivamente, come in occasione dei festeggiamenti per l’arrivo di Lucrezia Borgia nel 1499, il Salone svolse la sua funzione di rappresentanza, e grandi arazzi e affreschi furono dipinti in tempi diversi come decorazioni occasionali. Dal lato ovest del salone si accede alla Camera Pinta, la cui scoperta è stata possibile grazie ad un documento di inventario datato 1444, che testimoniava la presenza della Camera Pinta nella Torre Maestra. Essa deve il suo nome ai due importanti cicli di affreschi che ne ornano le pareti, risalenti probabilmente agli anni in cui il miles neapolitanus Marino Tomacelli, della famiglia di papa Bonifacio IX, fu castellano e governatore della città di Spoleto (1392-1416). L’arco centrale sottolinea la divisione del vano in due zone distinte: la stanza da letto e lo studiolo. Sulle pareti della stanza da letto si intrecciano scene d’amor cortese, con scene di giochi e con diletti di caccia e pesca; su quelle dello studiolo, invece, si raccontano le storie di dame e cavalieri sullo sfondo di castelli e città cinte di mura, che seguono lo stile narrativo del roman de chevalerie. Non sono noti gli autori dei dipinti, che si ipotizza siano stati commissionati da Marino Tomacelli per la presenza di modelli neofeudali, cavallereschi e di elementi decorativi legati alla cultura dell’ambiente napoletano-angioino, da cui il Tomacelli proveniva. All’interno della Rocca è il Museo Nazionale del Ducato di Spoleto, aperto nel 2007 a compimento di un complesso piano di recupero dell’intero complesso, avviatosi nel 1982 con lo smantellamento delle strutture carcerarie. Già alla fine dell’Ottocento l’archeologo spoletino Giuseppe Sordini, ispettore ai monumenti e scavi del Regno d’Italia, aveva sollevato la questione dell’opportunità ed urgenza di sottrarre la rocca alla funzione carceraria, per evitarne ulteriori stravolgimenti. Nel corso del Novecento si sono elaborati studi e progetti in vista di una destinazione museale e per attività legate alla salvaguardia e al recupero dei beni culturali, concretizzatisi nella Scuola Europea per il restauro dei beni librari e nel Centro regionale di diagnostica per i beni culturali, istituti annessi alla Rocca. La progressiva eliminazione delle parti aggiunte, non pertinenti all’edificio, ha fatto riacquistare agli ambienti l’originaria articolazione spaziale che ha accolto opere, di varia provenienza, in grado di testimoniare l’origine e lo sviluppo del Ducato di Spoleto, cioè di quella entità culturale, territoriale e politica costituitasi nel VI secolo con la conquista longobarda e rimasta in essere fino all’annessione allo Stato della Chiesa nel 1198, seppure la denominazione fosse ancora in uso nel XVII secolo. Il Ducato, tra VI e X secolo, occupava l’area geografica corrispondente alle attuali regioni dell’Umbria, delle Marche, dell’Abruzzo, oltre ad un’area del Lazio in corrispondenza della provincia di Rieti; assorbito dallo Stato della Chiesa nel XIII secolo, veniva parzialmente a sovrapporsi al territorio della diocesi di Spoleto che inglobava Spello, Terni e Leonessa. Il Museo illustra una vicenda storica che va dal IV al XV secolo, dalla strutturazione territoriale della tarda antichità su cui si insedierà il Ducato fin oltre l’epoca di costruzione della Rocca stessa, dando spazio in particolar modo alle testimonianze dell’Alto Medioevo, sia attraverso i manufatti esposti, sia attraverso gli apparati didattici. L’itinerario espositivo si sviluppa in quindici sale ed è, allo stesso tempo, parte integrante del percorso conoscitivo della Rocca. Dell’età più antica è testimonianza in iscrizioni funebri e frammenti di arredi liturgici pertinenti ai primi edifici di culto cristiani di Spoleto (sale I-II-III-IV), la cui fattura riproduce i modelli tardo antichi romani pagani cui vengono sovrapposti i simboli caratterizzanti la nuova religione, il cristianesimo, che nel IV secolo è ormai diffuso in tutti gli strati della popolazione, e che registra la presenza di eremiti in Valnerina e sul Monteluco, nei luoghi dove poi sorgeranno strutture monastiche con annesse chiese. La progressiva cristianizzazione delle popolazioni che si insedieranno nell’Italia centrale, come i Longobardi che vi stabiliranno il Ducato nel 574, è leggibile nei reperti di scultura e nei corredi delle sepolture emerse nelle zone di Nocera Umbra e Castel Trosino. Di esse nel museo è conservata memoria in alcune sale del piano terra (sale V-VI), a cui fanno seguito frammenti architettonici provenienti da edifici non più esistenti, o radicalmente trasformati, riferibili al periodo dell’incastella- mento, fra VIII e XI secolo, esplicativi della produzione scultorea legata all’architettura e della consuetudine del riutilizzo per strutture e funzioni diverse da quelle originarie (sala VII). L’epoca romanica è connotata da un’intensa attività di rinnovamento e di sviluppo edilizio, cui si con- nette una altrettanto notevole produzione artistica: gli scultori recuperano e ripropongono le forme naturalistiche della tarda antichità continuando a riutilizzare frammenti romani già lavorati. Gli edifici di culto, oltre che degli apparati decorativi scultorei esterni ed interni, si arricchiscono di cicli pittorici ad affresco e di dipinti su tavola, in particolare di crocifissi (sale VIII-IX-X). La presenza di statue lignee dipinte attesta la presenza nel XIV secolo, nel territorio della diocesi spoletina, di diversi artisti, ancora in gran parte anonimi, che da un lato sono influenzati dalle opere di Giotto e degli altri pittori attivi nella basilica di S. Franceso ad Assisi, dall’altro subiscono il fascino della cultura gotica di cui gli Angioini improntano l’Italia meridionale, senza rinunciare completamente alla componente espressiva e patetica che a lungo ha caratterizzato la cultura artistica locale (sale XI-XII-XIII). I pittori a Spoleto ripeteranno a lungo i modelli giotteschi, con la sola eccezione delle Storie cavalleresche affrescate all’inizio del XV secolo nella Camera Pinta all’interno della stessa Rocca. L’arrivo, nel 1450, a Montefalco, del fiorentino Benozzo Gozzoli provoca un radicale rinnovamento dei modi pittorici fino ad allora invalsi; nel 1466 Filippo Lippi, anch’egli fiorentino, affresca l’abside della Cattedrale di Spoleto: l’opera avrà grande fortuna critica e sarà modello ispiratore soprattutto in ambito locale, per pittori quali Piermatteo d’Amelia e Jacopo Vincioli. Il panorama artistico cittadino è arricchito dalla presenza del folignate Niccolò di Liberatore, uno dei maestri della seconda metà del XV secolo, e del Antonello da Saliba, nipote e seguace di Antonello da Messina. Di essi è testimonianza nelle opere esposte al museo, con cui si chiude l’esposizione (sale XIV-XV).