Pieve di Usenti o Madonna della Neve – Lanciano di Nocera Umbra (PG)

Quella che oggi appare come un’area selvaggia, abbandonata e lontana da ogni forma di civiltà, così non doveva essere in epoca pre-cristiana o perlomeno medievale, dove invece era presente una consistente e ricca comunità che oggi sembra impossibile persino immaginare.

 

Cenni Storici

La tradizione ha trasmesso che il Cristianesimo si è introdotto nella fascia appenninica attraverso le vie Consolari Romane, e nel caso specifico attraverso la via Flaminia, si è propagato prima nei centri principali e quindi nel “municipium” di Nocera, poi si è diffuso nel territorio per opera di missionari inviati dalle città dove un nucleo di fedeli costituiva una comunità vivace e sentiva il bisogno di portare la fede nelle zone circostanti.
Nell’entroterra nocerino un bel centro molto antico doveva essere Usenti, in prossimità di Lanciano, una frazione ancora esistente nel territorio di Nocera Umbra collocata a ridosso dei rilievi che delimitano ad occidente la vallata attraversata dalla via Flaminia la quale da Nocera Umbra si dirige verso Gualdo Tadino.
Tra questi monti si costituì una popolazione di pastori che nel secolo V a.C. fondò un luogo di culto nel punto più alto del “Campo La Piana” come si chiama oggi, il santuario fu rinvenuto nel 1890 e pubblicato da Edoardo Brizio nelle notizie degli scavi del 1891; nel sito furono rinvenuti numerosi bronzetti votivi a figura umana schematica, che dalla descrizione appaiono del consueto tipo umbro, raffiguranti guerrieri ed oranti, oltre ad una statuina frammentaria di Marte databile nel VI-V secolo a.C.
Il santuario ha proseguito la sua funzione anche in età posteriore, ellenistica e romana repubblicana, infatti furono recuperati anche bronzetti femminili con patera in mano, bracci di bronzo con mano aperta, monete tra cui un piccolo bronzo di Catania e un didramma d’argento di Neapolis.
E’ di quest’epoca il ritrovamento di resti di un complesso formato da ambienti termali e la presenza di una fornace e di tombe, negli savi si rinvenne un capitello corinzio in travertino ed un rocchio di colonna liscio nonché la base di una statua di marmo che aveva le dimensioni pari al vero, forse onoraria o di culto, gli scarsi dati non permettono l’identificazione della divinità titolare del luogo di culto.
Il santuario era ubicato nei pressi di una strada che, attraverso il Subasio, collegava Asisium (Assisi) con Tadinum (Gualdo Tadino), probabile percorso di transumanza, ma anche via più breve tra la valle Umbra e la valle del Topino, e dunque, per la sua posizione, esso doveva avere anche carattere commerciale.
E’ in questo contesto che si è sviluppata la città di Usenti che il Codice di Assisi n.341, c.49, la dice essere stata “pagus“, cioè centro abitato di pastori e agricoltori, ma dati i ritrovamenti suddetti fanno pensare che sia stata una comunità piuttosto ricca.
I primi cristiani di Usenti quando divennero una comunità consistente scelsero come loro luogo di culto un posto periferico in rapporto al resto abitativo e lo dedicarono alla Madonna della Neve quasi a ricordare il tempo della conversione, cioè quando a Roma si eresse la Chiesa di Santa Maria Maggiore, dedicata appunto alla Madonna della Neve, voluta dal papa Sisto III (432-440 d.C.), a ricordo del miracolo della neve di agosto avvenuta un secolo prima al tempo di papa Liberio (352-366 d.C.).
Solo nella successiva ripartizione del territorio in epoca medievale assunse il titolo di Pieve.
Essa è ricordata nel Lezionario di San Facondino che gli dedica un capitoletto, “De ecclesiastica plebe in Usente“, cioè centro religioso di elevata importanza perché vi si amministravano i Sacramenti cristiani, anche se la località era a 791 metri sul livello del mare e quindi “montuosa“.
Il lezionario di San Facondino (XIII secolo) e la Legenda Maior consentono di ricostruire l’organizzazione della diocesi in età altomedievale e di riconoscere quattro pievi principali, collocate in punti particolarmente significativi della rete viaria antica: Usenti (Lanciano), Plestia (Colfiorito), Thaino (Gualdo Tadino), Rosella (Sassoferrato).
Nell’elenco delle Diocesi distrutte e non più ricostruite in seguito alle invasioni e incursioni dei secoli prima del Mille si cita pure “Usentula” e ancora lo stesso Lezionario di San Facondino menziona “Pontifex Summus… misit tres sapientes ut unus preesset episcopus in Tadinato… alius in Rosella… et alius in Usente parva“.
Usenti, da tutti i documenti oggi conosciuti, non risulta essere stata diocesi e non esiste alcuna documentazione di un vescovo di Usenti; forse, arrivano a dire alcuni studiosi moderni, ha ospitato per diversi anni, quelli più bui della seconda metà del primo millennio, qualche vescovo di Nocera che vi si tratteneva per fuggire da disgrazie e persecuzioni, ma null’altro.
Si può dire, perciò, che quanto si legge nel Lezionario di S. Facundini sulla traslazione nella rocca fortissima di Nuceria dei tre episcopati di Tadinatum di Rosella e di Usenti è vero con certezza soltanto per Tadinatum.
L’anonimo cronista nello spiegare come intorno al mille Nuceria estese il suo territorio diocesano deve avere attinto a qualche fonte errata o ad una tradizione confusa.
E che fosse male informato l’autore del Lect S. Facundini si deduce anche dal silenzio su Plestia, sicura sede vescovile alla fine del sec. V, il cui territorio fu, in parte, unito alla diocesi di Nocera, quando la città sull’altipiano di Colfiorito fu distrutta.
Secondo lo Jacobilli Usenti fu rasa al suolo insieme a Plestia, Taino e Rosella dall’Imperatore Ottone III perché avevano seguito la fazione del Console Romano Crescenzio e le Diocesi e il territorio di Usenti furono unite al Vescovado di Nocera nell’anno 1006 e insieme all’unificazione ecclesiastica ne conseguì quella politica.
La decadenza del centro montano e della relativa Pieve è da attribuire soprattutto per la politica di incastellamento perseguita dai Conti di Nocera, signori del castello di Postignano, che costruirono nell’area a nord est di Nocera il castello di Serpigliano (838) poi quello di Lanciano a circa 700 metri s.l.m., più idoneo a controllare la vallata dove scorreva il fiume Caldognola che raccoglieva tanti rivi più o meno ricchi di acqua.
Vennero poi costruiti i castelli di Montecchio (676), di Pertana (609) e di Isola (446); il territorio assunse una nuova fisionomia sotto la giurisdizione del Monastero di Parrano, fondato nell’anno 1020 secondo lo Jacobilli; la popolazione si raggruppò nei borghi a servizio dei diversi castellani; la pastorizia e l’agricoltura ebbero uno sviluppo ragguardevole anche per la cura dei monaci che insegnarono tecniche innovative e favorirono produzioni maggiormente idonee sia al terreno che alle esigenze delle popolazioni, la via che si distaccava dalla Flaminia verso l’interno dell’Umbria, per Assisi e Perugia era continuamente transitata e costrinse i monaci di Parrano a costruire il Ponte di Parrano e a metà strada sulla montagna l’Ospedale di San Bartolomeo per i pellegrini.
Le chiese si moltiplicarono perché andò accrescendosi il numero degli abitanti sparsi nei paesi.
Nelle tassazioni pontificie degli anni 1333-1334, risultano le Chiese di San Biagio di Lanciano e San Bartolomeo de Fossa Luparia e il relativo ospedale; altre chiese sono: San Martino “de Seris Usiani” o “de Serris“, oggi è difficile identificare il posto anche se esiste nei pressi di Monte Mezzo (736) una casa che porta il vocabolo di San Martino; San Gemini o San Geminiano “de Monte Organo” o “de Monte Orchiano” che ugualmente non si sa dove stia; Sant’Angelo “de Montitulo” o “de Monticulo” o “de Montechis” invece rimanda di sicuro al castello di Montecchio (676).
In seguito si stava imponendo un’altra struttura ecclesiastica che rapidamente espropriò la Pieve del suo prestigio e si trattava del Monastero di San Biagio con la sua chiesa che divenne parrocchiale e benché distante dal paese, era posta in luogo centrale in rapporto ai tanti agglomerati abitativi sparsi nei molti colli sottostanti della zona e veniva frequentata con assiduità.
La Pieve non avendo più un ruolo di centralità cominciò a perdere il suo ruolo e la sua sopravvivenza comunque si è protratta fino agli inizi del secolo scorso quando la chiesa era ancora officiata e veniva utilizzata come ritiro spirituale dai ragazzi del dopo-cresima della città di Nocera, nonché sede di una grande festa nel mese di agosto che radunava una gran quantità di gente proveniente anche dal versante Gualdese.
Stando alle ultime notizie fornitemi dall’amico Angelo Velatta la festa si tiene tutt’ora il 5 di agosto, infatti ha trovato un cartello (che trovate in galleria) che comunicava l’annullamento della festa per i lavori di ripristino della strada che non permettevano il passaggio delle auto.
 

Aspetto esterno

La chiesa, che risale al secolo VII d.C., ha avuto una struttura architettonica, conservata nella facciata e dell’abside fino al sisma del 26 settembre 1997, benché dopo la demanializzazione dello Stato Italiano nel 1860 solo una parte dell’interno verso l’abside fosse stata lasciata al culto.
Ora la chiesa è semi-crollatae avvolta da sterpaglie e rovi, il tetto ha subito un intervento molto discutibile, negli anni passati con travi varese e tabelloni, ma anche questo è crollato in più parti.
Addossata alla chiesa è stata anche edificata una moderna casa colonica che ne ha maggiormente aumentato lo scempio e anch’essa è in cattivo stato.
L’abside conserva ancora una originale dentellatura nella parte della corona ed è la parte più bella e più antica della chiesa, però si è aperta una breccia che lo porterà a breve alla distruzione.
Le pareti sono in blocchi di arenaria squadrati, il portale, sovrastato da una finestra, presenta l’arco a tutto sesto parzialmente tamponato con un architrave di legno.
La soprastante finestra ha subito gli effetti della ristrutturazione, infatti è stata rattoppata con mattoni, blocchi originali e un architrave in cemento compresso.
Il modesto campanile a vela si eleva nella parete di fondo nella parte sinistra dell’abside è naturalmente privo di campana e con il tettino parzialmente crollato.
 

Interno

L’interno a navata unica è un ammasso di rovine dovute al crollo di parti del tetto e pareti; in origine doveva essere a capanna con due falde, ma con la ristrutturazione è diventata ad un solo spiovente.
Nella parete destra intonacata, sono ancora visibili i mozziconi di antiche travature e accanto all’arco trionfale c’è una nicchia probabilmente per contenere oli sacri.
L’arco trionfale è ben delimitato da pietre squadrate e nella spalla destra sono ancora visibili tracce di colore residue di un affresco che lo decorava.
L’abside in pietra è squarciata da un crollo e nei pochi tratti dove ancora c’è l’intonaco si percepisce una traccia di colore.
La parete sinistra anch’essa parzialmente crollata ha l’apertura di una finestra e della porta laterale che ha sostituito la porta originaria quando la chiesa ha subito l’accorciamento della navata con un muro divisorio dopo l’Unità d’Italia e successiva demanializzazione.
L’architrave di questa porta ha ceduto facendo crollare una parte di muro; nella parte di fondo è visibile ancora l’antica travatura.
Non c’è traccia dell’altare.
La tecnica costruttiva del catino absidale, visibile all’interno, trova confronti in area umbra con esempi di fine XII inizi XIII secolo.
Da un’attenta osservazione dei resti degli antichi intonaci si possono ancora ricavare informazioni sull’aspetto decorativo che era presente all’interno e da questa se ne deduce che della decorazione originaria forse due o trecentesca non rimangono tracce, si nota altresì una successiva stesura di uno scialbo di bianco di calce per una sanificazione dell’ambiente forse a seguito di una pestilenza.
Nel catino absidale di notano tracce di affresco databili fine XV inizi XVI secolo; rimangono tracce dell’arriccio con sinopia rossa di preparazione alla decorazione con finti marmi.
Dello stesso periodo il pannello devozionale sul piedritto destro dell arco absidale con l’immagine della Madonna che si staglia su un riquadro con motivi decorativi floreali.
Alla base correva l’iscrizione del fedele committente.
Si nota una successiva stesura di scialbo a calce e una più recente fase decorativa con tinteggiatura a calce…il celeste della catino absidale, fase questa più tarda, forse sei settecentesca.
Successivamente a questa decorazione è avvenuta una ulteriore fase decorativa molto sommaria con motivi decorativi su tinta a calce giallo ocra forse ottocentesca o più tarda.
 

Fonti documentative

http://www.larengo.it/arengo-n-32010/ articolo di Don Angelo Menichelli – Lanciano il complesso parrocchiale rivive una nuova stagione – L’Arengo n° 3/2010.
Sonia Sollevanti – L’incastellamento nei territori di Gualdo Tadino e Nocera Umbra tra Alto e Basso Medioevo
Gino Sigismondi – Nuceria in Umbria Contributo per la sua Storia dalle Origini all’età feudale
Matelda Albanesi – Maria Romana Picuti – Guida del museo archeologico centro di documentazione dei siti archeologici territoriali – 2013
 

Nota

Ringrazio Angelo Velatta per aver collaborato attivamente per la stesura dell’articolo e per aver fornito parte della documentazione fotografica e ringrazio Marcello Labate per il contributo tecnico descrittivo delle fasi pittoriche degli interni.
 

Mappa

Link coordinate : 43.145896 12.719564

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