Parco Ranghiasci – Gubbio (PG)
Cenni Storici
Le note qui raccolte sono state stese sulla base dei documenti rinvenuti nella sezione dell’Archivio di Stato di Gubbio, negli Archivi di Stato di Perugia e Pesaro, nell’Archivio del Tribunale di Gubbio, nell’Ufficio delle Imposte dirette di Gubbio e con i documenti della famiglia Ranghiasci.
Per quanto riguarda la parte pubblica della realizzazione del Parco è stata compiuta una specifica ricerca, rintracciando anche le particelle relative agli acquisti compiuti in tempi diversi da Francesco Ranghiasci, per assemblare le aree da destinare poi a verde nonché gli abbattimenti di edifici monumentali ivi esistenti.
Noti soprattutto alla storiografia locale per la loro erudizione e per i loro interessi storico-archeologici, i Ranghiasci meritano un posto di rilievo nel mondo culturale della fine del 1700, periodo in cui nello Stato Pontificio fiorivano molteplici interessi verso l’archeologia.
A Sebastiano, padre di Francesco, si devono numerosi scritti tra i quali uno dedicato al Tempio di Marte Cipro e ai Teatro Romano di Gubbio per il quale chiese il permesso di scavo a Pio Vl. Per questi suoi interessi gli fu offerta dal Papa la direzione dei musei Capitolini, che egli tuttavia rifiutò.
Agli occhi del viaggiatore frettoloso che visita Gubbio si presentano solamente le emergenze medioevali e le presenze simbolo degli edifici trecenteschi e rinascimentali che rendono quasi rarefatte le trasformazioni operate durante lo Stato Pontificio, che pure dominò la città per oltre due secoli dal 1631 al 1860.
Il palazzo e la villa dei Ranghiasci sono invece un esempio significativo delle molteplici modificazioni operate nel periodo. A metà Ottocento a Gubbio non esistevano giardini antichi da prendere come modelli e da poter trasformare. Unica e splendida memoria a proposito è il giardino pensile dei Duchi di Urbino, che Isabella d’Este, in una lettera inviata a Mantova al marito Francesco Gonzaga, decantava come luogo amenissimo adornato da “un giardinetto con una fontana in mezzo de grandissima recreacione”.
All’inizio dell’Ottocento anche questa memoria è ormai sfumata e sopravvivono i piccoli giardini o meglio, gli orti ricchi e semplici contigui ai palazzi, ai quali la nobiltà ogni tanto riserva interventi di restauro e adeguamento al nuovo gusto e alle nuove mode.
Gli echi romani non sono lontani: basti pensare alle architetture ecclesiastiche che dalla ripresa dei motivi borrominiani nella seicentesca chiesa della Madonna del Prato, voluta dal Vescovo Sperelli, daranno ispirazione per le realizzazioni nella capitale. Non un’eco però riferibile al giardino viene a rompere la scansione dei quartieri eugubini iscritti nelle mura cittadine; né a Gubbio, come invece a Urbino, sarà presente un orto botanico.
Cosi il grande giardino dei Ranghiasci viene a costituire, a metà Ottocento, una magistrale innovazione, una passeggiata pittoresca tra la sacra montagna dell’ Ingino e via della Ripa. Questa passeggiata è rimasta a lungo ignota alla popolazione della città, pur se costruita con frammenti delle memorie cittadine in una elaborata disposizione di viali, colonne, edifici e l’immancabile “tempietto”.
Il grande giardino, della cui estensione e conformazione definitiva si ha una chiara visione dal catasto Gregoriano, ha una breve storia che va dal 1831 alla fine del 1849.
L’area verde non è rielaborata su spazi preesistenti, ma nasce, sotto la spinta di una cultura e di un gusto preciso, dalla volontà di ricreare in zone precedentemente occupate da orti e fabbricati un giardino all’inglese, alla maniera di Goethe, con visuali e cannocchiali ottici, che sottolineano un panorama “pittoresco,” spaziando da S. Martino a piazza Grande attraverso la scansione delle torri medioevali tutt’oggi esistenti.
La spinta alla realizzazione del giardino fu data sicuramente dalla moglie inglese di Francesco, Matilde Hobhouse. La Hobhouse era originaria della contea di Bath, figlia di Sir Benjamin e sorella di Lord Broughton. Donna di temperamento, fu amica dello stesso Foscolo che le dedicò le Rime di Petrarca con le parole: “Alla Gentile Giovine Matilde Hobhouse fanciulla”. La Hobhouse sposò a Roma nel 1827 l’allora ventisettenne Francesco e presumibilmente quell’anno si reco per la prima volta a Gubbio in occasione della festa dei Ceri. Il fatto è ricordato dal Lucarelli, storico locale eugubino, per altro attendibile nelle sue citazioni: la Hobhouse si sarebbe trattenuta nella città solamente due giorni per poi ripartire con altre signore, non precisate, alla volta di Firenze, seguita un giorno dopo dallo stesso Francesco. L’arrivo dell’inglese a Gubbio destò una certa curiosità per l’ingente dote che si vociferava arrivasse a 60.000 scudi.
Le tracce della giovane donna si perdono nel 1853. Sappiamo che ebbe tre figli: Edoardo-Latino e Federico-Latino, a lei premorti, e Amelia-Latina che si stabili in Inghilterra dove la madre l’aveva portata sin da bambina. Il Moroni le attribuisce l’ispirazione del grande parco o villa, sul quale si affaccia la parte posteriore del palazzo: NRanghiasci vi ha formato altresì ampia e grandiosa villa ad uso inglese per far cosa gradita alla nobile di lui consorte Matilde Hobhouse di tal nazione”.