Norma e il suo territorio – Latina (LT)
Norba antica
Al termine dei 4-5 km di tortuosa e panoramica salita della strada provinciale verso Norma, prima di entrare nel borgo si devia a sinistra e si raggiunge il parco archeologico di Norba (La Civita, m. 480), sui resti dell’antica città volsca fondata secondo la tradizione da Ercole.
Divenuta colonia romana nel V secolo, Norba parteggiò per Mario e nell’82 a.C. fu distrutta da Emilio Lepido, generale di Silla.
Restano le mura megalitiche alte fino a 15 metri, una torre poligonale, avanzi del tempio di Giunone e di Diana del II secolo.
Il sito archeologico è a 450 metri di quota, sospeso su un colle a picco sulla pianura Pontina; comprende terrazzamenti, mura ciclopiche lunghe 2,5 km che disegnavano un cerchio regolare e un impianto urbanistico perfettamente conservato.
La visita dell’antica Norba inizia entrando dalla Porta Maggiore nella città, caratteristica per le mura poligonali del IV secolo a. C., per i resti del tempio di Diana, per la sua posizione a picco sulla campagna fino al mare e per il campo di volo deiparapendii frequentato da italiani e stranieri.
In circa un’ora di bella e aerea passeggiata si va dall’Acropoli bassa a quella alta e ritorno, calcando le strade basolate, le spianate sostenute dalle grandi pietre e i prati verdi che si alternano ai ruderi.
Per me c’è stata anche una sorpresa: l’improvviso passaggio di un gregge di pecore tra le rovine, mentre lo sguardo spaziava dai Colli Albani (Velletri e Lanuvio) al monte Circeo e all’intera pianura Pontina, e dai monti Lepini fino al mare sullo sfondo meridionale.
Se ci fossimo affacciati dalla rupe di Norba due milioni di anni fa, nel Pleistocene inferiore, avremmo visto al posto dell’agro pontino (da pontus, mare) un golfo marino le cui onde si infrangevano ai piedi dei monti Lepini, con un’isola sullo sfondo, il promontorio del Circeo.
Dopo la bonifica integrale degli anni Trenta la pianura non è più un’area paludosa attraversata dai sandali (tipiche imbarcazioni a carena piatta) e popolata da bufali, aironi, trote e zanzare anofele, portatrici di malaria.
Norma e il suo Borgo medievale
Dopo l’insediamento megalitico si passa a visitare il borgo medievale di Norma (m 433, c. 3000 abitanti), circondato dalle cime del m. Lupone (m 1378) e del m. Gorgoglione (m 928).
Il paese fu infeudato dai Caetani nel 1298; ha dato i natali a Mons. Mariano Zaralli OFM, vescovo missionario in Cina (1726-1790).
Una sua tradizione, comune all’altro paese lepino di Segni, è la Giostra del maialetto (5 settembre): all’animale è legato un campanello simile a quello legato alla gamba di un concorrente; un altro giocatore bendato dovrà colpire l’animale (o l’uomo) seguendo il suono del campanello; chi colpisce più volte l’animale se lo aggiudica.
Sulla piazza è la chiesa principale di Norma, la SS. Annunziata, che dal 1967 è anche Santuario della Madonna del Rifugio; vi si venera l’immagine di Maria Refugium Peccatorum, patrona del paese, festeggiata l’8 settembre (o la prima domenica di settembre) con una solenne processione.
Il titolo della parrocchia nei primi documenti è Sancta Maria de Norma: così la chiama papa Gregorio IX nel 1227 in un documento che la esentava dal pagamento dei censi al vescovo di Velletri.
L’archivio parrocchiale non conserva quasi niente prima del 1592 perché in quell’anno Marco di Sciarra invase la chiesa a mano armata, bruciò ogni cosa, ferì e uccise chi trovò nel luogo sacro.
Dopo questo crimine la chiesa fu sconsacrata e chiusa, poi riconsacrata il giorno dell’Ascensione del 1592.
Finito il giro di Norma, si deve tornare al piano pontino con la macchina, ma è anche possibile scendere a piedi a Ninfa in meno di un’ora con la vecchia mulattiera, in parte scalinata e selciata, che inizia dall’estremità meridionale del borgo medievale, attraversa più in basso la via provinciale Norbana (m 173) e termina sulla via Ninfina presso la stazione della vecchia ferrovia abbandonata; il laghetto di Ninfa, ai piedi del monte Mirteto, è a poche decine di metri.
La città di Ninfa
Ninfa (m 22), la misteriosa “città morta” posta sotto la rupe di Norba-Norma, è una distesa di silenziose rovine coperte di edera, rovi erose in cui, fermandosi a contemplare i resti delle case e chiese all’interno della cinta muraria, sembra quasi di rivivere in un importante centro medievale.
La città di forma esagonale era divisa a metà dal fiume Ninfa, che raccoglie le acque limpide del laghetto, attraversa la piana e presto giunge al mare.
Era cinta di alte mura merlate, della seconda metà del XII secolo, di cui restano 10 torri, 9 a pianta quadrata e una circolare; attorno a questa prima cinta correva per lunghi tratti una seconda muraglia di guardia, formando come una strada di circonvallazione, in modo che per accedere a una delle sei porte della città bisognava passare sempre sotto la cortina.
L’abitato era composto da circa 150 case e quattro porte erano ognuna vicino ai resti di una chiesa (S. Maria, S. Biagio, S. Salvatore, S. Paolo) che le dava il nome.
Quanto alla storia della città, sappiamo che già in età romana esisteva presso il laghetto un tempio dedicato alle Ninfe (da cui prende il nome), dipendente da Norba.
Le prime notizie risalgono alla metà dell’VIII secolo, quando Ninfa e Norba erano due tenute appartenenti al demanio imperiale donate da Costantino IV Copronimo a papa Zaccaria.
Nel sec. X Ninfa fu occupata dai Conti di Tuscolo ma tornò sotto la giurisdizione della Chiesa con papa Pasquale II.
Ninfa fiorì nel XII secolo mentre Norba si spegneva, e assunse grande importanza come stazione di dazio lungo la Via Pedemontana, divenuta l’unico collegamento Nord-Sud (Roma-Napoli) per l’impaludamento dell’Appia antica, alla quale si ricongiungeva presso Cisterna.
Il castello, posto a sud-est, fu realizzato dalla famiglia Caetani in tre fasi costruttive durante tutto il Trecento.
E’ costituito da un imponente mastio quadrato e da un palazzo con impianto a “L” cui si accedeva per una porta situata nel prospetto occidentale.
La domus era suddivisa in due livelli con l’impiego di impalcature lignee; il primo piano fu dotato di camini e di finestre, di cui si conservano quattro eleganti bifore.
Poco più a sud resta un altro edificio, probabilmente il palazzo comunale, menzionato dal 1298.
La chiesa romanica di S. Maria Maggiore (sec. XII), semidistrutta, a tre navate, conserva nei resti dell’abside due affreschi del XII-XIV secolo; il campanile è a tre piani con bifore.
Vi fu consacrato papa Alessandro III, fuggito da Roma dove l’imperatore Barbarossa aveva creato un antipapa e aveva lasciato campo libero alla famiglia Colonna, antipapale e filoimperiale.
Papa Adriano IV, morto ad Anagni il 1° settembre 1159, aveva tentato di imporre sui diritti imperiali quelli ecclesiastici usurpati dall’imperatore, che riaccese la lotta delle investiture.
Il 7 settembre 1159 fu eletto Alessandro III (Rolando Bandinelli), incoronato a Ninfa il 20; i cardinali filoimperiali nominarono invece Vittore IV, incoronato a Farfa il 4 ottobre e poi passato a Segni fino al 1160. Distrutta in parte per la prima volta nel 1164 proprio dal Barbarossa, insieme al vicino monastero di Marmosolio, Ninfa fu subito ricostruita e tornò a controllare la via Pedemontana.
Fu in seguito città dei Frangipane, poi all’inizio del Duecento Innocenzo III la infeudò al nipote Giacomo Conti; ma i Colonna e Benedetto Caetani, il futuro papa Bonifacio VIII (1294-1303), ambivano al suo possesso e il Caetani la acquistò nel 1292 per 200.000 fiorini d’oro (prezzo enorme per quei tempi) e nel 1297-98 la passò al nipote Pietro II Caetani conte di Caserta.
Le vicende storico-artistiche del luogo almeno fino agli anni 80 del ‘300, epoca in cui fu distrutto, sono ben documentate anche dalle testimonianze architettoniche.
Tenuta per breve tempo nel ‘500 dalla famiglia Borgia, fu infine abbandonata nel 1680.
Oggi è una rovina, una sorprendente e magnifica “Pompei medievale“, così descritta a metà ‘800 dallo storico tedesco Ferdinand Gregorovius:
“Una città che con le sue mura, torri, chiese conventi e abitati giace mezzo sommersa nella palude, sepolta sotto l’edera foltissima. In verità questa località è più graziosa della stessa Pompei, le cui case s’innalzano rigide come mummie tratte fuori dalle ceneri vulcaniche. Sopra Ninfa s’agita invece un olezzante mare di fiori, ogni parete, ogni muro, ogni chiesa e ogni casa sono avvolti da un velo d’edera e su tutte le rovine sventolano le bandiere purpuree della primavera“.
Le alterne vicende di Ninfa a partire dal Duecento sono state sempre determinate dalla famiglia Caetani, alla quale essa appartenne fino al 1977, quando fu istituita la Fondazione Roffredo Caetani onlus, che gestisce il giardino.
I Caetani hanno trasformato l’area con le vecchie mura, che rischiavano di essere completamente rovinate dalle acque e dalla folta vegetazione lacustre, in un magnifico parco molto curato, nato all’inizio del ‘900, per iniziativa del principe Gelasio Caetani.
Oggi il parco naturalistico di Ninfa è, a detta della guida, il più bello d’Italia e tra i dieci più belli del mondo.
In esso i resti dell’antico insediamento si mescolano alle molte specie floreali ospitate; notevoli i giardini tra le rovine della città morta, i resti delle sue chiese, le siepi, gli alberi, le piante di tutti i tipi, il fiume limpido e gelido che viene da una grossa risorgenza delle acque filtrate dai monti Lepini, il castello, il municipio e il laghetto incantato.
Così la storia travagliata di Ninfa del Medio Evo, fatta di conflitti, mura e torri, ha un epilogo al femminile grazie atre donne della famiglia, l’inglese Ada Bootle Wilbraham, l’americana Marguerite Chapin e l’italiana Lelia, che a fine ‘800 realizzarono lo splendido giardino che si ammira oggi.
Ma coautrici di questa bellezza fatta di acqua, pietra e fiori, dove la natura si fa arte e l’arte natura, insieme alle donne Caetani sono le ricche falde del sottosuolo pontino, tra cui quella del fiume Ninfa e il microclima determinato dal soffio del mare e dal riparo roccioso, che respinge i venti e cattura le nuvole.
Grotta di Sant’Angelo e l’abbazia di Santa Maria di Monte Mirteto
Proprio alle spalle del laghetto di Ninfa (m. 25)si erge il monte Mirteto, della catena dei Lepini.
Sulla sua cima a piattaforma stanno le rovine dell’antica Norba; ai suoi piedi una larga fascia di terreno coltivata a ulivi e a piante mediterranee (aranci, fichi d’India, ruta, rosmarino, alloro, edera e il mirto che gli dà il nome); a mezza costa, appena a destra della netta fenditura rocciosa del Canalone, c’è l’ampia e profonda grotta di S. Angelo (in origine dedicata alle Ninfe) e i ruderi di un’abbazia florense.
Si raggiungono a piedi dal laghetto di Ninfa per una via sterrata oppure per le vie asfaltate Anastasio II e Leone XII, che dopo il ponte sul Canale Mussolini (quello della Bonifica Pontina) diventano una sterrata sassosa che sale diritta tra magnifici uliveti, con vista magnifica fino al mare.
Affacciandosi sulla pianura, si nota come il luogo sia una postazione naturale a controllo della sottostante strada Pedemontana.
La storia dell’intero complesso grotta-badia, oggi in rovina, è nota grazie ai documenti conservati nell’archivio di Santa Scolastica a Subiaco.
Rifugio di eremiti, dal VII secolo la grotta fu dedicata all’Arcangelo Michele e divenne meta di pellegrinaggio.
Il 25 luglio 1183 il vescovo di Segni Pietro, per mandato del papa Lucio III, consacrò la grotta trasformandola in chiesa rupestre di S. Angelo al Monte Mirteto.
Era in diocesi di Velletri e il suo vescovo, il cardinale Ottaviano, il 1° settembre 1195 con il clero della città di Ninfa celebrò la messa nella grotta, concedendo indulgenze a chi la visitasse nella festa dell’arcangelo dell’8 maggio.
Nel 1216 il cardinale vescovo di Ostia e Velletri Ugolino di Anagni vi fece costruire l’abbazia di Santa Maria di Monte Mirteto affidandola ai monaci benedettini Florensi fondati da Gioachino da Fiore; per la sua sussistenza Ugolino le concesse la cappella di S. Clemente e un molino presso Ninfa.
Anche dopo la sua elezione al pontificato (Gregorio IX, 1227-1241) egli non fece mancare il sostegno alla “sua” badia (v. Les registres de Gregoire IX).
I privilegi di fondazione furono confermati poi da Onorio III (12 ottobre 1216), che nel 1222 affilia al Mirteto il monastero di S. Renato a Sorrento, e Alessandro IV (1259).
La fase di espansione del monastero nel sec. XIII continuò anche grazie a imperatori e famiglie baronali: nel 1220 Federico II concede al Mirteto la grangia di S. Maria di Turriano in diocesi di Tropea e la badia di S. Maria de Insula Rubiliana in diocesi di Stabia, nonché 25 barili annui di tonno de Surris da prelevare dalla tonnara de Melacii (Milazzo) e il sale necessario da prendere da qualsiasi salina calabrese.
Il 15 marzo 1221 Pietro Frangipani, console di Roma e padrone del territorio pontino, concede ai monaci del Mirteto e al loro Abate Benedetto il libero transito anche sulle sue terre di Terracina; e nel 1238 fra Roberto, abate del monastero di S. Agostino a Canterbury, concede al Mirteto il patronato sulla chiesa parrocchiale di Littlebourne.
La vasta zona pianeggiante che si estendeva ai piedi del colle era in parte paludosa, in parte occupata da aree emerse, con boschi e prati e mandrie di bufali, per i quali i papi Gregorio IX e Alessandro IV (1254-1261) concessero all’abbazia il libero pascolo (v. Toubert, Les structuresdu Latium médiéval…, Roma 1973).
Con il trasferimento della sede papale ad Avignone iniziarono le difficoltà le badie pontine, anche se questa continuò a prosperare grazie alla tutela della famiglia Caetani.
Guerre, saccheggi e malaria portarono però al progressivo declino e nel 1432 la badia fu lasciata dai monaci florensi e annessa da papa Eugenio IV a S. Scolastica di Subiaco, a condizione che si tenesse in S. Angelo un monaco eremita.
Vari saccheggi accelerarono la rovina del monastero, nonostante due restauri (1770 e 1832); solo il suo antico frantoio è rimasto in funzione fino al ‘900.
“Questa badia è stata fedele compagna e per la vita e per la morte alla sottostante città di Ninfa; ne condivise tutte le vicende, or prospere ed ora avverse; un sol fato troncò la vita e all’una e all’altra, ed una sola tomba ne racchiude le sacre spoglie” (M. Cassoni).
Nonostante il cattivo stato di conservazione delle strutture, gli ambienti monastici sono ancora ben riconoscibili. La chiesa, a navata unica, non è molto grande e presenta segni di rifacimenti nella sua vita secolare.
La foresteria è a distanza dal complesso monastico e un giardino la divide dagli altri edifici.
La grotta di S. Angelo (m. 191)comprendeva un presbiterio raggiungibile con una breve scalinata; un’abside centrale contornata da frammenti di affreschi; una cappellina con altare e un ambiente adibito a dimora.
Oggi il santuario rupestre è completamente spoglio e lontano dalla descrizione del Pantanelli:
“Vicinissimo a detto convento si vede il devoto antro di Sant’Angelo sopra Ninfa o della Stramma, che ha alcuni altari, pitture e stalli intagliati nei vivi massi di pietra che muovono a devozione“.
Fino agli anni Venti-Trenta del ‘900 presentava affreschi leggibili, tra i quali un S. Michele che uccide il drago.
Secondo la storica dell’arte Lucia Milanesi:
“il pessimo stato conservativo in cui versa l’intera struttura ostacola la comprensione dell’unità architettonica della costruzione e la lettura delle sue pitture rupestri, note solo dallo studio degli acquerelli di Maria Barosso, realizzati nel 1923 su incarico di Gelasio Caetani e conservati presso la Fondazione Camillo Caetani di Roma. La grotta di origine carsica è costituita da due cavità separate da un tronco calcareo; custodisce al suo interno due altari riconducibili alla fase medioevale e deputati alla conservazione di importanti reliquie. Grazie a una serie di gradini si raggiunge il piano rialzato dell’altare principale, posto nella cavità maggiore, delimitato da due muretti che fungono da transenne. L’intera zona è interessata dalla decorazione medioevale, risalente a poco prima della consacrazione della grotta in chiesa nel 1183.
I pochissimi resti pittorici ancora presenti sono riconducibili a grandi temi iconografici della cultura romana e dell’ambito rupestre. Sulla parete di fondo la Psicostasia: San Michele, titolare della chiesa, regge con la mano sinistra la bilancia per la pesa delle opere buone e cattive, mentre con la mano destra tiene l’asta che trapassa il demonio. A seguire la Traditio Legis, da me identificata, che rappresenta Cristo benedicente fra gli apostoli Pietro e Paolo. Sulla transenna sinistra una Vergine in trono allatta il Bambino fra San Michele Arcangelo e Santa Lucia; sulla transenna destra è l’Apparitio, tema legato al culto micaelico in ambito rupestre. E’ possibile rintracciare negli affreschi l’appartenenza alla sfera romana del XII secolo, in particolare alle decorazioni absidali di S. Pietro, S. Maria in Pallara e S. Pudenziana oltre a forti riferimenti collegati alla provincia, in particolare S. Silvestro a Tivoli e S. Anastasio a Castel S. Elia.
Le pitture rupestri della grotta di S. Michele Arcangelo sopra Ninfa diventano diretta e immediata trasposizione dei grandi temi della pittura monumentale romana, legate al Renouveau paléochrétien, fenomeno che coinvolge anche la pittura rupestre al pari di quella monumentale“.
Fonti documentative
D. M. Cassoni – La Badia ninfana di S. Angelo o del Monte Mirteto nei Volsci fondata da Gregorio IX – in Rivista storica benedettina, Anno XIV, n. 59, Roma1923, pp. 170-189.
G. Caetani – Domus Cajetana – San Casciano Val di Pesa, 1927.
M. Barosso – Ecclesiae Sancti Michaelis Arcangeli supra Nynpham – in Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, XIV, 1939.
P. Pantanelli – Notizie storiche della terra di Sermoneta – Bardi, Roma 1972, vol. I p. 26.
C. L. Abbenda – Il Lazio e la Campagna Romana – Roma 2000.
L. Milanesi – La chiesa e le pitture rupestri della grotta di San Michele Arcangelo sopra Ninfa – I luoghi dei Caetani, Arte e cultura 17/2/2015.
T. Caciorgna – Il fascino di Ninfa.
Nota
Il testo è di Stanislao Fioramonti, le visite sono state effettuate il 26 febbraio e il 10 dicembre 2016.
Crediti fotografici
Portale Turistico dei Monti Lepini
https://www.compagniadeilepini.it/i-comuni/norma/
Fondazione Roffredo Caetani
https://frcaetani.it/portfolio/giardino-di-ninfa/
La foto 1 è di Patrizia Magistri.
Mappa
Link alle coordinate: 41.590147 12.963191 Parco archeologico dell’Antica Norba
Link alle coordinate: 41.582975 12.972588 Borgo medievale di Norma
Link alle coordinate: 41.582121 12.955326 Città morta di Ninfa e suoi giardini
Link alle coordinate: 41.589734 12.951963 Grotta Sant’Angelo e Abbazia di Santa Maria al monte Mirteto