Necropoli rupestre di Castel d’Asso – Viterbo
Cenni Storici
È ormai accertata l’identificazione di Castel d’Asso con l’antica Axia citata da Cicerone nell’orazione Pro Caecina.
La città era già esistente in epoca arcaica, come dimostra il rinvenimento di alcune terrecotte architettoniche databili al 550-530 a. C., che richiamano gli analoghi e ben più noti esemplari di lastre rinvenute ad Acquarossa, fiorì soprattutto a partire dal IV secolo a. C., come centro minore del territorio tarquiniese.
Nel III a. C. fu sottomessa, come tutta l’area, al dominio romano, ma, grazie alla sua posizione tra la via Clodia e la via Cassia, continuò a godere di una certa prosperità.
Nell’87 a.C. entrò a far parte del municipio di Tarquinia e dalla metà del I sec. a.C. fu inserita probabilmente nel municipio di Sorrina Nova.
Dalla prima età imperiale inizia il declino, fino all’abbandono del sito nella tarda antichità, durante le prime invasioni barbariche.
Torna a essere di nuovo abitata nell’alto Medioevo, nel XII secolo fu costruito il castello, visibile ancora oggi sullo sperone tufaceo a ovest del pianoro; è stato costruito ove probabilmente già sorgeva una postazione di vedetta etrusca, di cui rimangono alcuni resti.
Nel 1187 è stato conquistato da Viterbo e rimane in efficienza ancora nel 1568.
Nel 1580, venute ormai meno le esigenze di difesa risulta come “castello deteriorato e non recuperabile“, è pertanto venduto ai fratelli Zazzera per 500 scudi.
Fu la prima necropoli rupestre etrusca ad essere esplorata e fatta conoscere al mondo nel 1817 dall’archeologo viterbese Francesco Orioli.
Purtroppo fu anche tra le prime a essere depredata.
Lungo il fianco Nord della vallata di fronte al castello medievale è concentrato un considerevole numero di tombe, la forma predominante è a dado, cioè con camera contenuta all’interno di un blocco di roccia scavato nel tufo o anche costruito, isolato sui quattro lati, che qui si articola su facciate semplici o su un modello canonico più complesso costituito da tre elementi sovrapposti: la facciata, l’ambiente di sottofacciata, la vera e propria camera sepolcrale.
Sono presenti anche forme intermedie, a semidado, isolate solo su tre lati dalla parete rocciosa e a falso dado quando la sola facciata è scolpita nella roccia e mostra solo qualche cenno dei lati.
Tutte le oltre sessanta tombe sono databili all’epoca ellenistica; la necropoli fu in uso dalla seconda metà del IV fino alla metà del II secolo a. C.
Dal II sec. a.C. in poi cessò la costruzione di nuove tombe a facciata e si continuò ad utilizzare quelle esistenti, ricavando sepolture secondarie per lo più esterne.
Caratteristica tipica delle tombe rupestri di Castel d’Asso sono le iscrizioni e segni numerali spesso documentati sulle facciate.
Aspetto
Dal parcheggio si arriva all’interno della necropoli attraverso una strada sterrata che ricalca un antico tracciato etrusco.
Le prime tombe della necropoli rupestre, si trovano sulla destra con il fronte monumentale interamente scavato nella roccia tufacea, le facciate delle tombe che si trovavano sulla parete sinistra della forra, non sono più visibili, perché completamente deteriorate dagli agenti atmosferici e dalle calamità naturali.
Mantenendo sempre la destra si incontrano una serie di tombe del tipo a semidado, decorato frequentemente con una finta porta a rilievo, si aggiunge nella parte inferiore della fronte un vano di sottofacciata, coperto da un tetto a piano inclinato, in molti casi crollato.
Al di sotto del vano di sottofacciata si apre il Dromos che conduce alla Camera Funeraria vera e propria.
La Tomba Orioli, si trova a circa metà dell’attuale strada d’accesso, nella piccola valle laterale addossata alla rupe tufacea che delimita il pianoro della Vaccareccia; prende il nome dell’archeologo viterbese che scoprì la località, è databile tra la metà del III secolo a. C. e la metà del II secolo a. C.
Rientra nella tipologia a semidado con un interessante variante, infatti, lateralmente si proietta in avanti una sorta di avancorpo, nel quale sono scolpite due finte porte; nel vano di sottofacciata, incisi nella finta porta, si notano alcuni segni numerali, probabilmente indicanti l’estensione dell’area di rispetto della tomba.
La sua camera sepolcrale lunga 17 metri, è la più capiente e singolare tra quelle della necropoli, nelle ampie banchine laterali sono state ricavate trentuno fosse trasversali su ogni lato, alcune delle quali più piccole per i bambini, contava, pertanto, ben sessantadue deposizioni a spina di pesce.
Poco oltre la tomba Orioli una strada intagliata nel tufo più recente rispetto agli antichi percorsi, risale al III sec. a.C.), percorre il fronte monumentale, in alcuni casi tagliando di netto i dromos delle stesse tombe, vi si scorge ancora la traccia dei solchi lasciati dal passaggio dei carri nella sede stradale.
La Tomba dei Tetnie, una famiglia nota a Vulci, risale al III sec. a.C., è a finto dado, che presenta completamente integra la parte superiore, con vano di sottofacciata e scalinata laterale che portava alla terrazza superiore dove si svolgevano i riti.
Nella facciata è scolpita una finta porta, la cornice conteneva l’iscrizione eca suthi nesl (questa è la tomba), che proseguiva con il nome della famiglia committente, ricostruibile grazie a resti di lettere conservatisi su alcuni massi rotolati a valle.
In basso si trova il vano di sotto faccia e più sotto ancora il dromos per l’accesso alla camera funeraria.
La Tomba degli Urinates Salvies, n. 20, è adiacente a quella dei Tetnie.
Il monumento funebre apparteneva a Vel Urinates, come informa l’iscrizione nella cornice, a sinistra della finta porta sono incisi dei segni numerali, indicanti l’area di rispetto antistante la tomba.
La Tomba dei Ceises, di cui è noto il capostipite Arnth, è a falso dado, risale al IV sec. a.C., con una particolare finta porta a tre riquadrature sfalsate su tre piani, vi si legge la scritta riportante il nome del titolare, disposta su due righe.
La camera della tomba doveva essere in origine piuttosto piccola con banchine conformate a letto, successivamente fu realizzato un corridoio laterale e inserite varie fosse trasversali.
Proseguendo lungo il costone occidentale della necropoli, si incontrano lungo il sentiero meno battuto dai visitatori una serie di tombe a dado e semidado.
Le camere di questo settore si presentano spesso interrate e perciò non accessibili.
Continuando in discesa sulla destra, seguendo un piccolo sentiero, si nota un piccolo ponte etrusco e una bella tagliata.
Anche le camere del settore orientale si presentano spesso interrate e perciò non accessibili ai visitatori.
Questa parte della necropoli inizia con alcuni semidadi di fronte alla Tomba Orioli; tra essi si distingue una tomba a vestibolo con una rozza finta porta.
Proseguendo si incontrano diverse tombe riutilizzate e trasformate nel tempo, spesso in ricoveri per gli animali e utilizzati anche come ripari domestico, come testimoniato dalla presenza di focolari e nicchie ottenute nelle pareti a mo’ di dispense.
Sulla sinistra, unica segnalata da un cartello, si incontra la Tomba Grande, detta anche della Regina.
È a finto dado, databile tra la metà del III e la metà del II secolo a.C., è così chiamata per le sue ampie proporzioni; è celebre per le eccezionali tre porte di accesso; mostra un tetto esternamente scolpito a tegole sull’imponente vano di sottofacciata, che presentava la particolarità di essere tripartito e di avere quindi ben tre porte di accesso; ai lati, delle scalette conducevano alla terrazza superiore.
Si accede all’ampia camera inferiore tramite un dromos eccezionalmente lungo, ben oltre i 20 metri, e alto 10.
Nella sepoltura, in origine, dovevano trovarsi almeno 40 sarcofagi, oggi all’interno ne rimangono 14, purtroppo divelti e frammentati da atti vandalici e dai tombaroli.
La Tomba n. 92 è degna di menzione per la particolarità del portico a due colonne.
Quasi tutte le tombe mostrano in vario modo il riutilizzo avvenuto nel corso dei secoli da parte dei contadini e dei pastori che frequentavano la zona.
Proseguendo, dopo aver attraversato un piccolo rigagnolo si scorge sulla sinistra un grande casale in rovina, a fianco del quale si aprono una serie di cavità che mostrano chiari segni di uso abitativo.
Continuando in direzione del vecchio castello medioevale, dopo aver attraversato un ponte si prende una strada in ripida salita, lungo la quale si incontrano altri esempi di ambienti ipogei adattati ad abitazioni, si giunge quindi al castello, che conserva ancora tratti di mura e due torri.
Sotto l’arco di quella sita più in basso e possibile scorgere un tratto di muratura etrusca.
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I pochi oggetti salvati dalla depredazione della Necropoli di Castel d’Asso sono contenuti in una vetrinetta del Museo Nazionale Etrusco di Viterbo.
Nota
La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
Note di ringraziamento
Si ringraziano i volontari di Archeotuscia che hanno ripulito la zona dalla fitta vegetazione che fino a poco ricopriva e nascondeva le tombe, auspicando che ci sia maggiore attenzione da parte delle autorità preposte per una migliore fruibilità del sito.
Si ringraziano altresì gli amici Loredana Sica e Pierluigi Capotondi, preziose guida al sito, che hanno altresì fornito le foto del ponte etrusco e della tagliata.
Raccomandazione
Fare attenzione a non lasciare oggetti di valore all’interno della vettura al parcheggio, si verificano molti furti.
Fonti documentative
F. Ceci, A. Costantini – Lazio settentrionale – Roma 2008, pp. 258-264.
G. Colonna – Castel d’Asso – in Enciclopedia dell’Arte Antica – II Supplemento, Roma 1994.
G. Colonna, E. Colonna Di Paolo – Castel d’Asso – Roma, 1970.
F. Fiorentini – Castel d’Asso: l’importanza della fase arcaica, la particolarità delle tombe ellenistiche rupestri e la testimonianza delle famiglie etrusche dominanti – in Archeotuscia n. 1, 2015, pp. 16 – 19
F. Orioli – Degli edifici sepolcrali d’Orchia e di Castel d’Asso nell’Etruria media e di altri edifizi etruschi – in F. Inghirami Monumenti etruschi e di etrusco nome Fiesole, 1825, p. 144-200.
L. Proietti – M. Sanna – Tra Caere e Volsinii, la via Ceretana e le testimonianze archeologiche lungo il suo percorso – Viterbo, 2013.
M. Morandi Tarabella – Prosopographia etrusca. 1 Corpus. 1 Etruria Meridionale – Roma 2004.
L. Pulcinelli – Qualche fenomeno di normalizzazione nelle necropoli dell’Etruria rupestre
https://www.treccani.it/enciclopedia/castel-d-asso_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Antica%29/
https://www.arstum.it/percorsi/luoghi/castel-dasso/castel-dasso-galleria/
https://viterbo.artecitta.it/area-archeologica-di-castel-dasso/