Museo del Ducato di Spoleto – Spoleto (PG)

Il museo sorge all’interno della maestosa Rocca di Spoleto e documenta la storia del Ducato dai Longobardi in poi.

 

Cenni descrittivi

Il museo si trova all’interno della Rocca, nella parte alta del centro storico di Spoleto.
Il museo nasce per documentare la storia del Ducato, nato grazie ai Longobardi, popolazione germanica che ruppe l’unità politica della penisola italiana nel VI secolo d.C..
La Rocca fu edificata per volere del Cardinale spagnolo Egidio Albornoz a partire dal 1360.
Fu sede di legati pontifici e papi.
Oggi, con il progressivo recupero degli ambienti e dei dipinti murali che ancora ne ornano le pareti, il complesso ha finalmente ritrovato il suo fascino primitivo dopo essere stato per lungo tempo utilizzato come carcere.
Il museo propone un interessante documento di conoscenza del territorio spoletino dal IV al XV secolo e contemporaneamente illustra, tramite pannelli, la bellezza degli ambienti affrescati in cui le opere sono esposte.
Inaugurato nel 2007, il museo nasce grazie ad un progetto di raccolta di opere d’arte e materiali, già in gran parte conservate presso i locali del museo civico e pinacoteca, utili a documentare l’origine, lo sviluppo e le molteplici ricadute storiche e culturali del longobardo Ducato di Spoleto.
Articolato in due spazi attorno al cortile d’Onore, uno al pianterreno e l’altro al primo piano, si suddivide in quindici sale.
Nel complesso la raccolta delle opere copre un arco di tempo che va dal IV secolo d.C., con testimonianze delle prime comunità cristiane, fino al XV secolo.
Pensato quale strumento adeguato alla conoscenza della città e del territorio, il museo intende far percepire al visitatore la complessità delle vicende storiche che lo interessarono e contemporaneamente la sua vivacità culturale anche dopo la caduta del Ducato.
Il percorso inizia dal IV secolo illustrando le prime comunità cristiane con materiali provenienti dalle aree funerarie e dagli edifici di culto limitrofi, ponendo l’accento sul fenomeno del monachesimo.
Si prosegue con opere che vanno dal VI al IX secolo, testimoni dell’evoluzione artistica territoriale, e si conclude con sculture e pitture dal XII al XV secolo che ben documentano la straordinaria fioritura artistica della città e del territorio come il Trittico di Santa Maria delle Grazie di Niccolò di Liberatore. Nel percorso completano l’itinerario pannelli illustrativi che danno conto della funzione storica di ciascun ambiente attraversato.
 
 
 

SALA I

Il territorio al IV secolo

La configurazione del territorio di pertinenza del Ducato di Spoleto nella tarda antichità eredita l’assetto di età imperiale, fondato su una serie di municipia (ad esempio Asisium, Ispellum), su una buona rete di insediamenti minori (pagi e vici) ed ancorato, dal punto di vista economico, sul sistema delle villae, funzionali soprattutto alla produzione di vino e olio.
La maggior parte delle ville rustiche note archeologicamente è concentrata nella fascia centrale della regione umbra, in relazione alla viabilità terrestre (via Flaminia) e a quella fluviale (il Tevere ed i suoi maggiori affluenti).
Grazie alla permanenza sino in età moderna di toponimi che consentono di risalire ai nomi dei possessori romani, è attestata l’esistenza di una proprietà fondiaria di modeste dimensioni, con assenza di grandi latifondi, fondata sull’agricoltura nelle conche protette dalle tracimazioni fluviali e lacustri con opere di convogliamento delle acque. Nella sala I sono esposti sarcofagi di età compresa tra il IV e VI sec. realizzati in vari materiali (marmo, pietra calcarea, terracotta) per rispondere alle esigenze di categorie sociali ed economiche differenti.
Degno di nota è il fronte del sarcofago di Ponzia, matrona di nobile famiglia, morta nella prima metà del IV sec.
Nelle teche è possibile ammirare lucerne, sia realizzate localmente sia provenienti dal mercato straniero, rinvenute per lo più in contesti funerari, le quali ci informano sulle pratiche legate alla cura dei morti.
I materiali cronologicamente più antichi attestano la vitalità dell’area spoletina nei secoli di passaggio tra l’età romana e la tarda antichità.
Anche il resto della documentazione genericamente tardoromana è rappresentato quasi esclusivamente da manufatti funerari o provenienti da contesti cimiteriali, come alcuni sarcofagi in terracotta di produzione tipicamente umbra, lavorati in due metà distinte, alcuni dei quali rinvenuti nel corso di indagini archeologiche nell’area funeraria collegata alla chiesa extraurbana di San Pietro.
Le attestazioni dei riti funebri nel territorio del Ducato di Spoleto sono rappresentate da manufatti decorati con i simboli del nuovo credo, a cominciare dalle lucerne di produzione africana o locale con raffigurazioni di cristogrammi, variamente rappresentati, di croci semplici o monogrammatiche, di animali dal forte valore simbolico, come l’agnello e il pavone.
Altri elementi di cultura materiale, come le brocchette fittili provenienti da corredi funerari, contribuiscono ad inquadrare i modi della ritualità funeraria nell’ambito delle consuetudini note all’ambiente mediterraneo.
 
01 Sarcofago della matrona Ponzia

Rinvenuto a Macerino, nei pressi della chiesa di San Giovenale.
Frammento di sarcofago paleocristiano in marmo, della seconda metà del IV secolo d.C. che apparteneva alla matrona romana “Ponzia” la quale in viaggio per Treviri, morì in questi luoghi cadendo dal cocchio.
Il Vescovo di Spoleto Lascaris lo vide nel 1712 “hinc inde ad hoc altare” cioè nei pressi dell’altare della chiesa di San Giovenale, ce ne sono pervenuti due grandi frammenti del fronte anteriore; nella parte centrale che è mutilata, è il mezzo busto del Salvatore con le tracce del monogramma Costantiniano ed il libro della legge aperto; negli angoli sono due figure diademate e vestite con abito talare; nei riquadri, in due tabelle ansate, ricordano l’incidente accorso alla matrona romana due lunghi distici che il marito afflitto dedica all’amata moglie:

Pontia sidereis aspirans vultibus olim / hic iacet aetherio semine lapsa fuit / omnes honos omnes cesit tibi gratia formae / mens quoque cum vultus digna nitore fuit / tradita virgo toris decimum non pertulit annum / coniugii infelix unica prole perit / quantus amor mentis probitas quam grata marito / quam casti mores quantus et ipse pudor / nil tibi quod foedum vitium nec moribus ullum / dum satis obsequeris famula dicta viri.

a destra
denique te memet fatis odioque gravatum / dum sequeris vidit Corsica cum lacrimis / tu Treviros pergens cursu subvecta rotarum / coniugis heu cultrix, dura satis pateris / te pater infestus genero cum tollere vellet / temtasti laqueum si faceret genitor / cedite iam veterum laudes omnesque maritae / tempora nulla dabunt talia quae faciat / vir tuus ingenti gemitu fletuque rigatus / hos feci versus pauca tamen memorans.

Ponzia qui giace e sei diventata solo aria; prima respiravi ed avevi il volto bellissimo; ogni bellezza e ogni onore sono inferiori alla tua bellezza e al tuo onore; andata in sposa da fanciulla non hai raggiunto il decimo anno di matrimonio; infelice sei morta nella tua unione che ti ha dato un figlio; sei onesta e riconoscente verso il marito, sei casta e pudica nei costumi non hai difetti nel rapporto coniugale e sei tanto ubbidiente verso il marito come una serva.
La Corsica vide il percorso fatale e penoso per me e per te mentre andavi a Treviri; fosti travolta dalle ruote di un carro; tu così sottomessa al marito sopportasti dure prove ; tuo padre iniquo ti voleva togliere al genero e tu tentasti di impiccarti; in nessun tempo avrai le lodi che meriti; tuo marito piange e geme incessantemente; io ho scritto questi versi ricordando di te poche cose
“.

02 Sarcofago di Lucio Baebio Sabino
Risale alla fine del IV secolo o agli inizi del successivo, proviene dalla chiesa di San Sabino a Spoleto.

03 Sarcofago del Buon Pastore
Risale alla seconda metà del IV secolo, in marmo.

04 Sarcofago anepigrafo
Risale alla fine del V secolo o agli inizi del successivo, proviene dall’area funeraria della chiesa dei Santi Apostoli a Spoleto.

05 Sarcofago anepigrafo
In terracotta, risale al VI secolo, proviene dall’area funeraria della chiesa di San Pietro a Spoleto.

06 Sarcofago anepigrafo
In terracotta, risale al VI secolo, proviene dall’area funeraria della chiesa di San Pietro a Spoleto.

07 Sarcofago anepigrafo
 
 
 

SALA II

La comunità cristiana nel contesto territoriale

La diffusione precoce del Cristianesimo nel territorio umbro è testimoniata dalla presenza vescovile in alcune sedi fin dal IV secolo, anche se più difficile appare l’identificazione delle sedi cattedrali paleocristiane.
Per Spoleto, in particolare, è possibile ritenere certa la presenza della prima chiesa vescovile sul sito dove venne edificata la successiva aula di culto di età carolingia, sia per la scelta della localizzazione (all’interno del circuito murario ma quasi in aderenza ad esso), sia per la presenza di frammenti architettonici decorati a rilievo del VI secolo.
Tracce di cristianizzazione si notano anche nelle aree funerarie collegate alla città, dove la presenza di sepolture di martiri ha generato la continuità d’uso dei cimiteri precristiani e lo sviluppo di edilizia religiosa (Santissimi Apostoli, San Gregorio, San Pietro).
Nel territorio, la presenza di aree funerarie sulle strutture delle villae romane conferma da una parte il proseguo di occupazione degli spazi agricoli, dall’altra in talune occasioni attesta del passaggio alla comunità cristiana di aree extraurbane; nella diocesi spoletina l’esistenza di chiese battesimali è documentata già nell’VIII secolo.
Nella sala II iscrizioni funebri e frammenti appartenenti agli arredi liturgici testimoniano i primi edifici di culto cristiani di Spoleto.
Le epigrafi funerarie provengono dalle aree cimiteriali, che in età tardoantica si estendevano ai margini della città di Spoleto, e rappresentano una preziosa testimonianza archeologica dell’organizzazione della chiesa paleocristiana, soprattutto quella di Spes, vescovo spoletino nella prima metà del V secolo, e quella di Brittius Dalmaticus, notaio della chiesa alla fine del IV secolo.
Riporta alle fasi paleocristiane dell’edilizia di culto l’architrave della chiesa di San Pietro, mentre i manufatti dell’arredo liturgico marmoreo attualmente murati sulla facciata della cattedrale di Spoleto (dei quali sono qui esposti alcuni calchi in gesso), pur richiamandosi ai temi tipici del corpus decorativo paleocristiano, sono realizzati più tardi, tra la fine del VII secolo e l’inizio del successivo, e costituiscono significative attestazioni della fase altomedievale della chiesa episcopale.

Nella documentazione fotografica:
Scavi della Basilica dei SS. Apostoli, sarcofagi a cassa (1912)
Rilievo dei rinvenimenti durante gli scavi della Basilica dei SS. Apostoli
Scavi presso la chiesa di S. Gregorio, sarcofagi fittili (1984)

01 Iscrizione funeraria
In marmo, risale alla fine del IV secolo o agli inizi del successivo, proviene dalla chiesa dei Santi Apostoli a Spoleto.

02 Iscrizione funeraria
In marmo, risale alla fine del IV secolo o agli inizi del successivo, proviene dalla chiesa dei Santi Apostoli a Spoleto.

03 Iscrizione funeraria del Vescovo Spes
In marmo, risale alla seconda metà del IV secolo, proviene dalla chiesa dei Santi Apostoli a Spoleto.

04 Iscrizione funeraria
In marmo, inizi del V secolo, proviene dalla chiesa dei Santi Apostoli a Spoleto.

05 Iscrizione funeraria
In marmo, inizi del V secolo, proviene dalla chiesa dei Santi Apostoli a Spoleto.

06 Iscrizione funeraria
In marmo, inizi del V secolo, proviene dalla chiesa di San Floriano a Spoleto.
 
 
 

SALA III

Il monachesimo al VI secolo

La morfologia del territorio umbro offrì ricetto alla presenza di eremiti, che nella solitudine dei boschi della Valnerina e del Monteluco elessero le loro dimore in ripari naturali, che spesso costituirono la base dei futuri insediamenti monastici: il passaggio dal fenomeno eremitico alla scelta monastica diede origine allo stanziamento di vere e proprie comunità, e delle infrastrutture loro necessarie, anche nelle località extraurbane, pedemontane o montane, precedentemente considerate luoghi inospitali, generando spesso nelle costruzioni articolazioni planimetriche anomale, determinate dalla necessità di centrare il nucleo del nuovo complesso monastico nell’eremo iniziale.
Le opere del papa Gregorio Magno ed i Leggendari, che riferiscono della presenza di monaci orientali e dei monasteri, costituiscono una delle fonti per la ricostruzione del monachesimo umbro.
La stretta organizzazione fra impianto monastico e celle eremitiche è testimoniata da S. Giuliano sul Monte Luco presso Spoleto, i cui romitori assunsero importanza crescente rispetto all’abbazia.
La Valnerina rimase la via preferenziale per la diffusione del monachesimo, grazie alla navigabilità del fiume omonimo.
Il consolidarsi della organizzazione ecclesiastica ha dato luogo a fenomeni rilevanti dal punto di vista architettonico e decorativo, che vedono nei mosaici pavimentali testimonianza ormai non più’ sporadica.
Al tappeto musivo da S. Marco, si aggiungono oggi nuove testimonianze archeologiche, a cominciare dal mosaico rinvenuto sotto Palazzo Mauri, che autorizzano l’ipotesi di una scuola di musivari locale, operante probabilmente in ambito monastico.
L’influsso del mondo orientale, originato delle presenze monastiche, trova riscontro nelle decorazioni architettoniche della chiesa di San Giuliano.
I rapporti tra i membri del clero spoletino e la sede papale sono testimoniati anche dalla consuetudine che univa Gregorio Magno ad Eleuterio, abate del monastero di San Marco, che aveva condiviso con il pontefice un periodo di vita monastica a Roma.
Nei Dialoghi Gregorio descrive le virtù ascetiche e la capacità di compiere miracoli di Eleuterio.
Il monastero benedettino di San Marco si situava vicino alla città, a ridosso della cinta muraria; del complesso, sorto nel VI secolo, restano testimonianze archeologiche, tra cui i lacerti di un mosaico pavimentale.

01 Mosaico pavimentale
Marmo e pietra policromi VI secolo, prima metà cm 110 x 62; cm 105 x 87; cm 105 x 50; cm 90 x 100; cm 120 x 35; cm 92 x 81, dalla chiesa di S. Marco a Spoleto.
I sei frammenti, rinvenuti durante gli scavi effettuati nel primo ventennio del ‘900, sono parte di uno stesso tappeto musivo a motivi geometrici formati da trecce che si intersecano ed elementi poligonali che racchiudono croci, cantari e figure geometriche; la composizione del mosaico è ascrivibile alla prima metà del VI secolo, periodo di fondazione del monastero.

Documentazione fotografica:

Spoleto. Monteluco
Preci, Valle Castoriana. Abbazia di Sant’Eutizio
Preci, Valle Castoriana. Abbazia di Sant’Eutizio, celle eremitiche
Veduta di Spoleto (1636) con il monastero di San Marco
Spoleto. Area del monastero di San Marco
Ricostruzione grafica del mosaico pavimentale
 
 
 

SALA IV

Il monachesimo

Il monaco Isacco, giunto a Spoleto dalla Siria, viene ricordato nei Dialogi di Gregorio Magno (Hic itaque venerabilis Isaac ortus est ex Italia non fuit, sed ea illius narro miracula, quae in Italia conversatus fecit. Cum primum de Syriae partibus ad Spolitanam urbem venisset…); nella narrazione la sua figura spicca per virtù, spirito di profezia, impegno nella preghiera, accompagnati da un’indole tanto allegra da far commentare al pontefice, che riteneva tanta festosità poco adatta all’ascesi monastica, che la Provvidenza non concede doni minori a coloro ai quali ha elargito grazie straordinarie.
Isacco costituisce un’importante testimonianza della presenza del monachesimo orientale a Spoleto.

01 Sarcofago di Sant’Isacco
Anonimo scultore pietra calcarea XII secolo cm 72x215x76 dalla chiesa di San Giuliano sul Monteluco a Spoleto.
Grande sarcofago a vasca ornato sulla fronte da un clipeo con il Redentore benedicente a mezza figura, attorniato dagli emblemi dei quattro Evangelisti; sulla sinistra è la Vergine che compie un gesto di intercessione, seguita da un monaco (Sant’Isacco?) e da un uomo in abito apostolico; sulla destra è un secondo monaco (San Marziale?), seguita da un uomo in abito apostolico e da un vescovo.
Il fregio è chiuso alle estremità da due telamoni barbuti; sopra e sotto corrono festoni a treccia.
Il sarcofago apparteneva alla chiesa di San Giuliano sul Monteluco, che fu fondata verso il 528 dall’eremita Isacco su ispirazione della Vergine con il fine di accogliervi quanti desideravano far vita religiosa eremitica, secondo quanto racconta San Gregorio Magno nei suoi Dialogi.
Nel XII secolo la chiesa fu ricostruita nelle forme odierne e il corpo del santo fondatore fu deposto all’interno di questo sarcofago.
Nel 1502 Alessandro VI soppresse il monastero e le reliquie di Sant’Isacco furono traslate all’interno delle mura di Spoleto.
Rimasto oramai vuoto, il sarcofago fu venduto nel 1810 ad un muratore di Spoleto che lo utilizzò come vasca per l’acqua.
Nel 1902 fu illegalmente posto in vendita a Roma, ma grazie all’interessamento di Giuseppe Sordini l’anno seguente lo Stato lo acquistava per la Pinacoteca di Spoleto.
Il sarcofago è opera di un robusto scultore romanico che fa ampio sfoggio di citazioni archeologiche.

02 Sarcofago del beato Gregorio
Anonimo scultore, marmo bianco, XV secolo, ultimo quarto, cm. 50x211x68 dalla Cattedrale di Spoleto
Iscrizioni:
SERVUS • DEI • / GREGORIUS • SPOL/ETANUS • IN MONTI/SLUCI • HEREMO • CE/LIBEM • VITAM • PERA/GENS • DIERUM • AC • SA/NCTIMONIAE • PLEN/US • MIGRAVIT •
AD D/OMINUM • SIGNIS ATQUE • / MIRACULIS • CORUS/CANS • ASSIDUIS •

Il sarcofago è entrato nel Museo Civico l’anno 1910 dalla Cattedrale di Spoleto, al cui interno era collocato in un magazzino dopo essere stato rimosso dalla navata destra con la ricostruzione tardosettecentesca dell’altare del beato Gregorio.
Nella visita della Cattedrale del vescovo Giacinto Lascaris (1712) il sarcofago è ancora descritto al suo posto: “La terza cappella s’intitola del Beato Gregorio. Il di lei altare è formato da una cassa di marmo lavorata con varie figure e fogliami, entro la quale riposa il corpo del beato Gregorio (…) Sopra et in faccia all’altare vi è un quadro in tavola, quale rappresenta le imagini della Beata Vergine col Bambino in braccio, di s. Clemente e del beato Gregorio“.
Il defunto era un eremita della montagna di Spoleto, vissuto nel XIII secolo e originario di San Brizio; il suo nome è legato ad un pellegrinaggio in Terrasanta e alla reliquia del chiodo della passione che ne riportò.
La cappella che ne ospitò i resti in Cattedrale (la sua sepoltura lì è documentata nel 1348) fu oggetto di ingenti lavori decorativi negli anni 1486-88; negli stessi anni fu probabilmente eseguita la cassa in marmo scolpita, sulla cui fronte è raffigurato il miracoloso colloquio dell’eremita con un angelo, ambientato in un paesaggio boscoso accanto ad una cella con un altare esterno.

Documentazione fotografica:
Monteluco. Eremo detto di S. Isacco
Chiesa di S. Ansano, cripta di S. Isacco
 
 
 

SALA V

Il Ducato di Spoleto

La conquista longobarda di un territorio comprendente parte dell’Umbria, delle Marche e dell’Abruzzo (574 – 584) determinò la costituzione di un Ducato con capitale Spoleto, centro verso il quale convergeva il nuovo assetto viario.
La presenza longobarda è documentata archeologicamente in primo luogo dalle due principali necropoli di Nocera Umbra e di Castel Trosino, i cui materiali rappresentano elementi di cultura materiale fondamentali per la conoscenza dei rituali funerari e dell’organizzazione sociale della popolazione alloctona.
La necessità di assicurarsi un controllo del territorio nelle aree di confine, soprattutto a ridosso del cosiddetto corridoio bizantino, determinò la presenza di insediamenti dìaltura fortificati, in posizioni funzionali a sbarrare le vie di comunicazione.
La presenza longobarda nell’area del Ducato determinò il costituirsi della fisionomia insediativa del territorio e della sua capitale, Spoleto, oltre che, sul piano artistico, di un linguaggio figurativo che si esprime nei resti degli arredi scultorei di età altomedievale.
A breve distanza dallìodierna Nocera Umbra, in località “Il Portone“, in prossimità dell’antico tracciato della via Flaminia, nel 1897 fu portato alla luce un vasto sepolcreto; le 165 tombe scavate hanno restituito importanti corredi funebri di appartenenza longobarda.
La necropoli fu utilizzata per circa cinquant’anni a partire dal 576: le tombe più antiche appartengono quindi alla prima generazione di Longobardi, provenienti dalla Pannonia, stanziati nell’Italia centrale; i corredi, con elementi ornamentali del costume e suppellettili in metallo prezioso e distintivi della posizione sociale, testimoniano l’insediamento di un nucleo in diretta relazione con la conquista del territorio e l’esercizio del potere.
La tradizione storiografica secondo cui il cimitero è pertinente ad un “castello” va considerata con cautela, poiché a tutt’oggi non sono state individuate nelle immediate vicinanze tracce di fortificazioni; l’ipotesi di uno stanziamento in una villa romana è allo stato attuale supportata dal ritrovamento di una cisterna e di tegole romane.
Nelle teche della sala V si possono ammirare corredi funebri provenienti dalla necropoli di Nocera Umbra (usata fino al 630 ca.) che, in seguito agli scavi del 1897, ha restituito 165 tombe di persone appartenenti alla classe dominante.
L’analisi dei corredi funerari evidenzia la progressiva adozione dei costumi romani e la cristianizzazione dei Longobardi.
Nelle due vetrine sono presentati i corredi di 11 tombe; gli altri si trovano esposti nel Museo dell’Alto Medioevo di Roma.

Documentazione fotografica:
Campello sul Clitunno. Tempietto, esterno
Campello sul Clitunno. Tempietto, decorazione interna
Spoleto. Basilica di San Salvatore, facciata
Spoleto. Basilica di San Salvatore, interno
 
 
 

SALA VI

Spoleto longobarda

La fisionomia urbana di Spoleto in età longobarda risente della mancanza di attestazioni in merito alle strutture del potere civile e alla configurazione dello spazio urbano.
Per quanto riguarda la curtis ducis (la sede del gastaldo) la sua sede è stata ipotizzata nell’area del monastero di Sant’Eufemia, dove sono stati rinvenuti i resti di un ampio edificio romano con riutilizzazioni successive, non lontano dalla sede episcopale, in linea con altre sedi del potere longobardo.
Riguardo la gastaldaga (la curtis regia, o sede del potere civile) si ritiene che questa abbia invece occupato una zona urbana ma periferica, l’area del teatro, in connessione con la chiesa di Sant’Agata che verrebbe ad avere una funzione di cappella palatina.
Strettamente connesse al quartiere longobardo sono alcune significative dediche di edifici di culto, quali la chiesa di San Salvatore e quella di San Michele Arcangelo sul colle Ciciano.
I reperti scultorei costituiscono una preziosa testimonianza delle fasi costruttive di aule di culto non documentabili altrimenti.
In particolare, i capitelli risalenti ad età longobarda e provenienti dalla chiesa di S. Agata a Spoleto sottolineano l’importanza di questo luogo di culto, attestazione di una dedica che riconverte un culto ariano, che si colloca nell’area del teatro, in relazione alla supposta sede del potere longobardo.
I capitelli a stampella di piccole dimensioni sono da riferirsi presumibilmente ad uno spazio colonnato (un chiostro o un portico); i motivi decorativi si riallacciano alla tradizione mediterranea, ma vengono resi in un linguaggio proprio, dal quale si evince la presenza di una produzione spoletina di botteghe di marmorari di tradizione longobarda.
Nella sala VI sono esposti reperti di scultura architettonica che documentano la cultura figurativa di epoca longobarda nel territorio spoletino.

03 Capitello
Pietra calcarea, VIII secolo, dal complesso monastico di Sant’Agata, Spoleto.

04 Capitello
Pietra calcarea, VIII secolo, dal complesso monastico di Sant’Agata, Spoleto.

Documentazione fotografica:
Spoleto. Chiesa di Sant’Eufemia, esterno
Spoleto. Teatro romano e chiesa di S. Agata
Spoleto. Chiesa di San Ponziano. Lapide funeraria del longobardo Agiperto
Ferentillo. Abbazia di San Pietro in Valle
Chiesa di San Pietro in Valle, lastre di recinzione riutilizzate nell’altare maggiore
Lastra decorata da Raiano
 
 
 

SALA VII

Il periodo carolingio ottoniano

I fenomeni caratterizzanti del territorio nel periodo carolingio-ottoniano sono costituiti dall’incastellamento, un processo essenzialmente legato all’organizzazione della proprietà fondiaria, che determinò la costituzione di abitati in altura, con insediamento di nuova costituzione oppure mediante il recupero di località abitate in età preromana.
Il controllo del territorio si avvalse anche del cosiddetto “sistema pievano“, che prevedeva la dislocazione in ambito rurale di aule di culto per la cura animarum, funzionali ad un abitato disperso e che nella ricostruzione topografica spesso costituiscono gli unici elementi residui, identificativi dell’assetto territoriale.
Alcune delle pievi di più antica attestazione, quali l’oratorio voluto da Brizio presso Spoleto e Sant’Angelo sul colle Cicianum, sono in stretta relazione con la rete viaria, così come confermato anche da altri edifici rurali, quali San Sabino, Sant’Angelo in Nece, lungo la via Flaminia.
La cultura materiale ed artistica del periodo altomedievale è testimoniata in modo abbondante dai manufatti di decorazione architettonica scolpita, che spesso rappresentano l’unica traccia superstite di edifici di culto non più esistenti o allo stato attuale trasformati in fogge successive.
Fa riflettere, a questo proposito, la lastra decorata a rilievo con iscrizione sul retro, rinvenuta nel corso degli scavi presso le Acciaierie di Terni, della quale non si conosce la collocazione originaria ma che ha evidentemente subito diversi utilizzi.
I numerosi frammenti scultorei, e le ipotesi ricostruttive che ne scaturiscono, consentono di leggere l’articolazione interna delle aule di culto e di apprezzare nei moduli formali della scultura le analogie con botteghe umbre e con le ascendenze romane: la varietà dei motivi e della resa grafica attesta la presenza, nell’area del Ducato, di maestranze diverse e la circolazione di cartoni formalmente differenziati.
Sono esposti frammenti architettonici provenienti da edifici non più esistenti o radicalmente trasformati, esemplificativi della produzione scultorea legata all’architettura e della consuetudine del riutilizzo per strutture e funzioni diverse da quelle originarie.
Degne di nota sono la lastra a fogliami in marmo e la lastra ad arcate con figure di apostoli provenienti dalla distrutta chiesa dei Santi Apostoli.
Entrambe sono splendidi esempi della scultura decorativa altomedievale a Spoleto che testimoniano la persistenza del gusto bizantineggiante nell’arte.

01 Lastra ad arcate con figure di apostoli
Proveniente dalla chiesa dei Santi Apostoli.

02 Lastra a fogliami in marmo
Proveniente dalla chiesa dei Santi Apostoli.

03 Croce

Documentazione fotografica:
Castel Ritaldi. Pieve di San Gregorio
Spoleto, dintorni. Pieve di San Brizio
Spoleto, dintorni. Pieve di Sant’Angelo in Nace
Spoleto, dintorni. Pieve di S. Sabino
 
 
 

SALA VIII

Dall’impero al papato

Nell’XI e per buona parte del XII secolo il ducato continua ad essere retto da un duca di nomina regia, ma alla morte dell’imperatore Enrico VI (1197) il papato intraprende una politica di rivendicazione del territorio alla propria potestà; inizia così un periodo in cui si alternano le “recuperazioni” papali e gli interventi per ristabilire l’autorità imperiale.
Dopo la morte di Federico II (1250), con il ritorno di Innocenzo IV in Italia, il ducato, ormai ridotto in estensione, è definitivamente parte del dominio della chiesa.
Le prime notizie documentate di un governo comunale risalgono alla seconda metà del XII secolo, tuttavia notizie indirette attestano l’esistenza del comune negli anni trenta.
Nel governo consolare (consules maiores e consules minores) sono rappresentate le due classi cittadine; sono anche nominati, distinti dai consoli, i guardiani civitatis, ufficio da collegare probabilmente con il controllo militare e civile delle vaite (quartieri) in cui era ripartita la città.
Già in questo primo secolo di vita il comune attua una politica di affermazione sul contado, ottenendo la sottomissione di castelli di proprietà signorile, cui spesso consegue l’inurbamento dei nobili, e di comuni minori con patti di fedeltà.
Le tre iscrizioni lapidee qui esposte si collocano ad intervalli pressoché regolari nel sec. XII, età connotata dagli esordi del Comune e dalla transizione del ducato dal dominio imperiale a quello papale.
In forme scrittorie diverse, esprimono tre differenti contenuti: la prima è una testimonianza dell’evento più drammatico registrato negli annali di Spoleto: la distruzione della città ad opera di Federico Barbarossa nel 1155, vero e proprio battesimo di fuoco che segnò la storia del Comune; la seconda menziona un maestro del 1122 con ogni probabilità attivo in campo architettonico-decorativo; la terza si riferisce ad un atto di munificenza privata finalizzato a pubblica utilità, versione medievale di un costume antico, attestando la presenza e la vitalità nel territorio delle strutture di assistenza.

01 Iscrizione commemorativa della distruzione di Spoleto

02 Iscrizione

03 Iscrizione
 
 
 

SALA IX

Scultura romanica e gotica

Nei secoli XI e XII la crisi del feudalesimo e la nascita del Comune popolare furono accompagnate a Spoleto da un’intensa attività edilizia, che ne rinnovò profondamente l’assetto urbano e ricostruì la cattedrale di Santa Maria e le chiese di San Pietro extra moenia, San Gregorio Maggiore, San Paolo inter Vineas, Sant’Eufemia, Sant’Ansano, San Giovanni e Paolo, San Giuliano, San Sabino.
Squadre di scultori ornamentali abbandonarono le decorazioni geometriche a treccia dei lapicidi attivi per i Duchi longobardi e riportarono in auge le forme naturalistiche e monumentali dei primi edifici cristiani.
I portali delle chiese furono incorniciati con tralci e grappoli sbocciati dall’albero della Croce – come nel San Salvatore e nel Tempietto del Clitunno – e furono preceduti da colonne portate da leoni.
In San Pietro extra moenia i racemi vegetali si accompagnarono a bassorilievi figurati, in un pittoresco intreccio tra temi sacri e temi profani.
Gli ordini classici furono imitati nei capitelli delle navate.
Nello spazio dei cori si alternarono tarsie musive in opus romanum a figure in rilievo, di cui restano esempi nellìaltare del Duomo finito in Sant’Eufemia e nelle storie del martirio di San Biagio scolpite per un pontile o un altare dell’omonima chiesa da un maestro di formazione antelamica.
Nel XIII secolo l’attività degli scultori locali si concentrò nella produzione di statue in legno policromo della Vergine e dei santi.
Le rare opere in marmo superstiti furono scolpite da maestranze forestiere.
Si ignora la provenienza di due medaglioni con un profilo maschile e uno femminile realizzati da una bottega dell’Italia meridionale legata ai primi tempi di Nicola Pisano, dalla quale uscirono altri medaglioni identici conservati a Roma e a Foligno riconducibili alla committenza dell’imperatore Federico II di Svevia.
Egualmente ignota è la provenienza di un bellissimo capitello figurato, forse appartenuto ad un monumento funebre a colonnette, scolpito da uno scultore legato al cantiere della facciata del Duomo di Orvieto.
Il gran numero di chiese romaniche costruite a Spoleto nei secoli XI e XII provocò una notevole fioritura di pittura murale, solo in parte conservata per i vistosi rifacimenti tridentini degli interni.
La vicinanza con Roma favorì tra le due città un intenso scambio di soluzioni iconografiche e di modelli stilistici, forse anche di pittori.
Il caso più noto è offerto dall’abbazia longobarda di S. Pietro in Valle presso Ferentillo, la cui navata fu integralmente rivestita con storie vetero e neotestamentarie sullo scorcio del XII secolo.
Frammentari ma più originali dal punto di vista iconografico sono gli affreschi visibili nelle chiese urbane di Sant’Ansano, di San Paolo inter vineas e di San Gregorio Maggiore.
n. 17 della Pinacoteca Comunale di Spoleto; il “Maestro delle Palazze” al quale spettano alcuni affreschi con storie della passione staccati dall’omonimo monastero nei dintorni di Spoleto e una Annunciazione scoperta nella cripta dei Santi Giovanni e Paolo.

01 Lunetta di portale, protomi di leone e Martirio di San Biagio
Provenienti dalla chiesa di San Nicolò. La lunetta è considerata dalla critica una delle testimonianze più
elevate dell’operato della “scuola dei marmorari umbri“, fiorita intorno al cantiere del Duomo di Spoleto nell’ultimo trentennio del XII sec.
Il bassorilievo raffigurante il Martirio di San Biagio, eseguito su cinque rocchi di colonne romane segati a metà, risente dei modelli antelamici provenienti dall’area padana: tale influenza si manifesta in particolare nella plasticità e nel vivace gusto narrativo.

02 Due medaglioni con volti, femminile e maschile
Collegati ad una bottega imperiale dipendente da quella pugliese di Nicola Pisano e legata al passaggio di Federico II di Svevia.

03 Affresco staccato con il Martirio dei Santi Giovanni e Paolo
Affresco staccato, proviene dalla chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, opera di Albero da Spoleto.

04 Affreschi dal monastero di Santa Maria inter Angelos
Gli affreschi e le sinopie esposte sono stati eseguiti a cavallo tra il XIII e XIV secolo nel monastero di Santa Maria inter Angelos, detto delle Palazze.
L’allocazione attuale è al Museo del Ducato di Spoleto.
Si ammirano una Crocifissione, già al piano terra del monastero, la sinopia di una seconda Crocifissione, proveniente dall’ambiente del primo piano, stessa provenienza per la sinopia della Parusia, la seconda venuta di Cristo, già erroneamente individuata come Giudizio Universale, in basso a sinistra è raffigurata la Madonna della Misericordia.
Un’altra sinopia avente la stessa provenienza raffigura l’Ultima Cena e in un riquadro, in basso a destra, l’Orazione di Gesù nell’orto.
La Derisione di Cristo, molto danneggiata si è salvata dal furto del 1921 e il museo del Ducato conserva l’originale, così come è originale la Madonna col Bambino tra i Santi Francesco e Chiara, che si trovava al piano terra accanto alla Crocifissione.

05 Martirio di San Biagio
Anonimo scultore, opera in marmo bianco della fine del XII secolo o degli inizi del successivo, proviene dalla Chiesa di San Nicolò a Spoleto.
 
 
 

SALA X

Pittura e scultura gotica

Entro questa koinè “umbro-romana“, una variante esclusivamente spoletina è offerta dalle cosiddette Croci azzurre, Crocifissi della Pinacoteca di Spoleto, della Castellina di Norcia e di S. Maria a Vallo di Nera, che trovano un riscontro nei codici miniati negli scriptoria benedettini di S. Eutizio in Valle Castoriana e di San Felice di Narco.
A questi incontri romani se ne sommarono altri bizantini: introdotti a Spoleto nel 1185 da una icona della Vergine donata alla Cattedrale dall’imperatore Federico I Barbarossa; rilanciatati due anni (1187) dopo con il Crocefisso “triumphans” della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, firmato da un pittore di nome Alberto che fu attivo come frescante all’interno della stessa chiesa; culminati nel 1207 con il “Doctor Solsternus (…) in arte modernus” che eseguì il mosaico con la Deesis sul timpano della Cattedrale.
Questi arrivi forestieri esercitarono una forte influenza sui pittori locali, di alcuni dei quali conosciamo il nome per l’abitudine di firmare i propri lavori: Petrus pictor nella croce di Campi (1212), Simeone e Machilos spoletenses nel Crocefisso di Palazzo Barberini a Roma (1258), Rainaldo di Ranuccio nella croce della Pinacoteca di Bologna (1265).
Di altri pittori conosciamo gli pseudonimi coniati dalla letteratura critica: il “Maestro di San Felice di Giano” che dipinse il Crocefisso.

01 Croce dipinta e sagomata
Tempera e oro su tavola, cm. 245 x 158 realizzato all’incirca nel 1295 – 1300. Opera del Maestro di Cesi.
Proviene dal Monastero della Stella di Spoleto.
I dolenti sono ritratti a figura intera nelle tabelle ai fianchi del Cristo, mentre alle estremità delle braccia sono San Tommaso e Santo Stefano, a cui era intitolato l’antico convento di Santa Maria della Stella.
In alto, nella tabella sommitale cuspidata, è la mandorla con l’Eterno in gloria sorretta da due angeli.
Poco sotto le braccia di Cristo, altri due angeli volano in picchiata.
Ai piedi di Cristo, sono inginocchiati i fondatori degli altri due ordini mendicanti, a sinistra San Francesco a destra San Domenico.
Il perizoma di Gesù, quasi trasparente, col panneggio morbido che fascia le gambe, è di aspetto assai moderno, mentre ancora duecentesco è il sangue che sgorga dalle ferite nelle mani, così come i capelli che cadono sulle spalle divisi in tre ciocche, ancor più il Cristo ancora vivo, in sostanziale antitesi con le riforme giottesche e in ritardo almeno sessant’anni rispetto al patiens di Giunta Pisano che era in San Francesco.

02 Croce dipinta e sagomata
Anonimo, tempera su tavola.

03 Croce dipinta e sagomata
Maestro di San Felice di Giano, tempera su tavola, terzo quarto del XIII secolo, cm 138×98, proviene dal Monastero della Stella di Spoleto.
 
 
 

SALA XI

Pittura e scultura gotica

01 Croce Astile
Tempera e oro su tavola e vetro, risalgono al 1300 – 1310 circa, proviene dal monastero di San Paolo inter vineas, poi traslocati alla chiesina di Sant’Alò, ora al Museo del Ducato di Spoleto, in deposito dalla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia. Opera del Maestro di Sant’Alò.

02 Reliquari Maestro di Sant’Alò
Tempera e oro su tavola e vetro, risalgono al 1300 – 1310 circa, provengono dal monastero di San Paolo inter vineas, poi traslocati alla chiesina di Sant’Alò, ora al Museo del Ducato di Spoleto, in deposito dalla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia. Opera del Maestro di Sant’Alò.

03 Cristo Redentore
Tempera e oro su tavola, opera di un anonimo veneziano, risale alla prima metà del XIII secolo, proviene dal monastero di San Paolo inter vineas, poi traslocati alla chiesina di Sant’Alò, ora al Museo del Ducato di Spoleto, in deposito dalla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia.

04 Croce-reliquario con la Crocifissione e la Deposizione dalla Croce
Tempera e oro su tavola. Realizzata all’incirca nel 1320 – 1325, se ne ignora la provenienza, attualmente è al Museo del Ducato di Spoleto. Opera del Maestro della Croce di Trevi.
 
 
 

SALA XII

Pittura e scultura gotica

01 Dossale Spiridion
Opera di un anonimo pittore spoletino, convenzionalmente chiamato Maestro del Crocifisso di Caso, mostra affinità con il Maestro di Cesi. Raffigura la Madonna in trono col Bambino e scene della passione di Cristo. Risale all’anno 1300 – 1310 circa, tempera su tavola, attualmente è al Museo del Ducato di Spoleto in deposito dalla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia.

02 Madonna di Belfiore
Scultura lignea policromata, risale al 1310 circa, opera dell’anonimo spoletino convenzionalmente denominato Maestro di San Ponziano. Proviene dalla parrocchiale di San Niccolò a Belfiore di Foligno, con ogni probabilità è quel che rimane di un tabernacolo monumentale, già esposto sull’altare maggiore, con ai lati due sportelli con dipinte scene della vita di Cristo o della Vergine, come d’uso nell’Umbria del XIV secolo, soprattutto in area spoletina.
È descritta nell’inventario della chiesa redatto da Angelo Bolognini nel 1727, posta nell’ultimo altare a sinistra, “Immagine di rilievo, detta Madonna del Rosario, la qual si porta in processione dal priore ogni prima domenica del mese, post vesperos, di vari colori assai galante e di altezza palmi 3 e mezzo circa“.
Nel 1911 era ancora esposta in chiesa, Michele Faloci Pulignani la vede in una nicchia della parete di fondo subito a sinistra dell’ingresso.
Nel 1940 si trovava nella sagrestia della parrocchiale di Belfiore, ove la vede Guido Boccolini, che in seguito dedicò una piccola monografia alla scultura.
Nel 1947, fu venduta e dopo qualche passaggio finì nella collezione Buratti di Milano.
Nel 2006 fu riacquistata dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici e Etnoantropologici dell’Umbria, restaurata ed esposta nel Museo del Ducato di Spoleto, ove è tuttora allocata.
La splendida Madonna col Bambino è assisa in trono, sul cui schienale è dipinto un drappo decorato. Il Bambino è seduto, leggermente spostato sulla sinistra, sulle ginocchia della madre che lo sorregge con la mano sinistra, mentre con l’altra va a sfiorare la destra di Gesù, che con la sinistra sorregge un libricino rosso.
Il mantello di Maria e la veste del Bambino, già meccati d’argento, ora ossidato, appaiono di color bruno, ma la policromia è ben conservata.
La posa non è frontale e rigida, come nella maggior parte delle sculture del periodo, ma appena mossa, la testa di Maria è leggermente reclinata e il ginocchio destro poco più in alto dell’altro.

03 Madonna col Bambino
Scultura lignea policromata, opera dell’anonimo convenzionalmente denominato Maestro della Croce di Fossato.
 
 
 

SALA XIII

Pittura e scultura gotica

01 Statua di San Ponziano
Legno intagliato e dipinto, realizzato all’incirca nel 1325 – 1330, proviene dalla Cripta di San Ponziano a Spoleto, opera dell’anonimo spoletino convenzionalmente denominato Maestro di San Ponziano.
Nell’abside centrale della cripta di San Ponziano è raffigurata una Crocifissione con due Marie e l’animula portata in cielo, di un pittore umbro del secolo XIV, identificabile nello stesso Maestro di San Ponziano, la croce è stranamente disegnata a Y, forse per motivi prospettici, per offrire una visione privilegiata a chi proviene dall’ingresso della cripta.
L’animula portata in cielo da due angeli è, probabilmente, l’unica raffigurazione di San Ponziano presente nella cripta.
In Maddalena e Maria, la Maddalena sembra osservare qualcosa in basso, Maria sembra protendere le mani, anch’essa verso qualcosa posto in basso, la presenza di due fori sul muro porta ad ipotizzare che qui, su di una mensola, fosse distesa la statua lignea di San Ponziano, opera dello stesso maestro che ha affrescato l’absidiola, hanno così senso l’atteggiamento della Maddalena che guarda amorevolmente il martire e della Madonna che protende pietosamente le mani verso la testa recisa di Ponziano.
Da notare che la statua ha la testa recisa dal corpo, non è un danneggiamento, è stata scolpita proprio così.

02 Stemma di Spoleto

03 Stemma di Spoleto

04 Madonna col Bambino
Affresco staccato, risale al 1325 – 1330 circa, proviene dalla Chiesa della Trinità di Spoleto, opera dell’anonimo spoletino convenzionalmente denominato Maestro di San Ponziano.
 
 
 

SALA XIV

Pittura e scultura rinascimentale

A Spoleto la lunga stagione del “neogiottismo” si prolungò pigramente ben dentro il ‘400, con la sola eccezione dei cicli profani nella “camera pinta” della Rocca albornoziana, che fu decorata al tempo del governatore Marino Tomacelli (1392-1416) imparentato a Bonifacio IX.
La cospicua attività del “Maestro di Eggi” e di Bartolomeo della Miranda fu una stanca riproduzione di santini popolari e non si cimentò mai in cicli istoriati.
La svolta si verificò alla metà del secolo con l’arrivo a Montefalco, su invito dei Minori Osservanti, del fiorentino Benozzo Gozzoli, che rinnovò l’iconografia francescana ottenendo un rapido consenso nell’ambiente umbro e trovò un imitatore a Spoleto nell’autore di una tavola per la chiesa di S. Simone.
L’adesione al Rinascimento toscano fu favorita dal vescovo Bernardo Eroli (1449-1474), che introdusse nella diocesi spoletina le forme del classicismo cristiano inaugurato dal Beato Angelico a Roma sotto Eugenio IV e Niccolò V.
Berardo Eroli rinnovò l’interno del Duomo e chiamò a Spoleto il fiorentino Filippo Lippi, che ne decorò la tribuna absidale con storie della vita della Vergine (1466-1469).
Questi affreschi ottennero un enorme successo e ispirarono un’intera generazione di pittori – Piermatteo d’Amelia, Jacopo Vincioli, Campilio da Spoleto, Teodoro – che replicò le invenzioni di Filippo Lippi nelle chiese della diocesi.
A Berardo Eroli subentrò il nipote Costantino, il secondo dei tre prelati di questa illustre famiglia narnese, succedutisi fino al 1540 alla guida della città, che ne proseguì l’opera di rinnovamento portando a Spoleto lo scultore Ambrogio Barocci.
Quest’ultimo progettò il portico antistante la facciata (1491-1504) e ornò con sculture alcune cappelle all’interno del Duomo, tra le quali la cappella Eroli che fu rivestita di affreschi da Bernardino Pintoricchio (1497).
Il panorama locale delle arti fu ulteriormente vivacizzato dall’apporto di pittori forestieri, come il folignate Nicolò Alunno che dipinse un trittico per l’eremo di Santa Maria delle Grazie sul Monteluco.
Nella sala XIV sono visibili il Trittico di Santa Maria delle Grazie, opera del folignate Niccolò di Liberatore detto l’Alunno, e il Polittico di S. Eutizio, realizzato da Nicola di Ulisse da Siena.

01 Trittico di Santa Maria delle Grazie
Opera di Nicolò Alunno che dipinse il trittico per l’eremo di Santa Maria delle Grazie sul Monteluco.

02 Polittico di Sant’Eutizio
Tempera su tavola, risale al XV secolo, attribuito a Nicola di Ulisse da Siena, proviene dall’Abbazia di Sant’Eutizio.

03 Figura virile giacente
Anonimo scultore Umbro, pietra calcarea tipo caciolfa, prima metà del XV secolo.

04 Fregio

05 Capitello figurato
 
 
 

SALA XV

Pittura e scultura rinascimentale

Nella sala XV sono esposte due tavole di Jacopo Zabolino di Vinciolo, pittore umbro fortemente influenzato dall’opera di Benozzo Gozzoli, e la Pala di Montesanto del siciliano Antonello da Saliba, nipote e seguace di Antonello da Messina.

01 Pala d’altare, ex Chiesa di San Simone
Opera di Jacopo Zabolino di Vinciolo Pittore umbro della scuola di Spoleto, operoso nel tardo XV secolo.
Lo Zabolino ebbe due commissioni per pale d’altare nella chiesa di San Simone, questa è, probabilmente, la prima.
Vi sono raffigurati San Francesco, il beato Simone, la Vergine col Bambino, San Bernardino da Siena (canonizzato nel 1450) e Sant’Antonio da Padova.
Opera attribuita in base a documenti di archivio, eseguita, probabilmente tra il 1464 e il 1466.
Attualmente la tavola è conservata presso il Museo del ducato di Spoleto.

02 Pala d’altare, ex Chiesa di San Simone
Opera di Jacopo Zabolino di Vinciolo Pittore umbro della scuola di Spoleto, operoso nel tardo XV secolo.
In base alla posizione dell’angelo dovrebbe essere la parte sinistra del polittico per l’altare principale, commissionato nel 1466 e portato a termine dopo il 1472. Opera attribuita in base a documenti di archivio. Vi sono raffigurati San Giovanni Battista e San Pietro.
Attualmente la tavola è conservata presso il Museo del ducato di Spoleto.

03 Pala di Montesanto
Antonello de Saliba ha firmato questa Madonna proveniente da Santa Maria di Montesanto Vigi, replicandovi la parte centrale del polittico di S. Cassiano di Venezia del celebre Antonello da Messina, di cui era nipote e allievo.
 

Fonti documentative

Larga parte delle informazioni sono tratte da un documento on line elaborato da Ebe Angeli:

https://www.academia.edu/10589403/qSALA_I

G. Angelini Rota, Guida di Spoleto e del suo territorio, Spoleto, 1929
S. Ceccaroni, Nascita del Comune Spoletino e sua espansione territoriale fino alla metà del XII secolo: rilessi sulla città, Spoleto 1982
A. Delpriori La scuola di Spoleto Immagini dipinte e scolpite nel Trecento tra Valle Umbra e Valnerina, Perugia 2015
A. Fabbi, Guida della Valnerina: storia e arte / Abeto (PG), Assisi 1977
A. Fabbi, Storia dei comuni della Valnerina Abeto (PG), Assisi 1976
A. Fabbi, Storia e arte nel comune di Cascia Spoleto, 1975
A. Fabbi, Preci e la Valle Castoriana, terra ignorata Perugia 1962
A. Fabbi, Pagine di Storia di Monteleone di Spoleto Pro loco Monteleone di Spoleto 2007
C. Fratini, Per il catalogo della pittura gotica in Umbria, in Esercizi, 1980, n. 3, pp. 61-63;
C. Fratini, La pittura «umbra» del Duecento: ciò che «vide» o che avrebbe potuto vedere la beata Angela, in L’Umbria nel XIII secolo, a cura di E. Menestò, Spoleto 2011, pp. 279-297;
V. Garibaldi e A. Delpriori (a cura di), Capolavori del Trecento Il Cantiere di Giotto Spoleto e l’Appennino, Perugia 2018
E. Lunghi, La scultura lignea in Umbria nel XIII secolo
L. Gentili – L. Giacchè – B. Ragni – B. Toscano, L’Umbria – Manuali per il territorio – La Valnerina, Il Nursino, Il Casciano – Roma, 1977
L. Gentili – L. Giacchè – B. Ragni – B. Toscano, L’Umbria – Manuali per il territorio – Spoleto – Roma, 1978
S. Nessi – S. Ceccaroni, Da Spoleto a Monteleone attraverso il Monte Coscerno, Itinerari Spoletini 1, Spoleto, 1972
S. Nessi – S. Ceccaroni, Da Spoleto a Montefalco, Itinerari Spoletini 2, Spoleto, 1974
S. Nessi – S. Ceccaroni, Da Spoleto a Sangemini, Itinerari Spoletini 3, Spoleto, 1975
S. Nessi – S. Ceccaroni, Da Spoleto a Massa Martana, Itinerari Spoletini 4, Spoleto, 1976
S. Nessi – S. Ceccaroni, Da Spoleto a Trevi lungo la Flaminia, Itinerari Spoletini 5, Spoleto, 1979
G. Previtali, Due lezioni sulla scultura “umbra” del Trecento: II. L’Umbria alla sinistra del Tevere. 3. Tra Spoleto e L’Aquila: il “Maestro della Madonna del Duomo di Spoleto” e quello del “Crocifisso di Visso”, in “Prospettiva”, XLIV, 1986, pp. 9-15
A. Sansi, Storia del Comune di Spoleto, Spoleto, 1876
A. Sansi, Studi storici, Accademia Spoletina, Spoleto, 1869
E. Zappasodi Consonanze pittoriche Trecentesche di qua e di là dell’Appennino
 

Nota

La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
 

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