Mulino Franceschetti – Corridonia
Cenni Storici
Non c’è dubbio che le osterie sorsero, come punti di ristoro, nei luoghi di passaggio e nelle immediate vicinanze dei luoghi della fede o del commercio che nella fattispecie sono strade, incroci, abbazie, piazze e mercati.
Ben presto divennero anche luoghi d’incontro, di ritrovo e di relazioni sociali. Gli edifici, spesso poveri e dimessi, assumevano importanza in base al luogo dove sorgevano e alla vita che vi si alimentava. Alcune considerazioni per meglio capire le attività che si svolgevano intorno alle abbazie lungo la vallata del Chienti, quegli straordinari monumenti che siamo abituati a guardare avulsi dalla vita sociale che animava il contesto.
E’ il caso di San Claudio, dove al di là di tante sciocchezze che ci propinano, c’è ancora un mulino ad acqua abitato con orgoglio dai fratelli Annibale e Claudio Franceschetti.
Potrebbero sembrare due monaci usciti dal fortunato romanzo di Umberto Eco, Il nome della rosa.
Insomma vale la pena collegare una visita al mulino, percorrere il viale di cipressi, prendere la strada per Civitanova e dopo un breve tratto girare a sinistra, dove il neo cavaliere della Repubblica Annibale, classe 1931, con un certo orgoglio mostrerà il mulino insieme agli attestati e alle benemerenze che alcuni enti purtroppo elargiscono a iosa.
I fratelli Franceschetti diventarono proprietari del mulino e dei tre ettari di terra circostante dopo una causa con la diocesi di fermo durata vent’anni.
Purtroppo da alcuni anni il mulino non macina più, vuoi per le norme igieniche vuoi perché è stata venduta la concessione del canale per fini energetici. Insomma “acqua passata non macina più” anche se rimane il massiccio mulino a macine, forse realizzato dai monaci cistercensi dell’Abbadia di Fiastra. Gli arredi in legno testimoniano il fascino dell’usura del tempo e dell’ingegno dell’uomo. Il lavoro dell’uomo si svolgeva trasformando l’energia dell’acqua con una macchina detta a retrecine.
L’acqua veniva captata dal fiume Chienti attraverso un canale regolato da un sistema a paratie e scorreva sotto gli archi a tutto sesto del mulino.
Sul piano superiore c’è l’arcella, un grosso imbuto, dove si metteva grano, orzo, fava, granoturco che uscivano polverizzate in farina. Tanti anni fa il Cav. Annibale ci lavorava ventiquattro ore al giorno, ora è stanco ma soddisfatto.
Il canale è secco, non si sente più lo scrosciare dell’acqua, ma il mulino ha ancora tante storie da raccontare alla gente che vorrà andarlo a trovare. Una visita a questo manufatto infrastrutturale, a questo luogo del lavoro è utile per meglio comprendere la vita quotidiana, le stagioni e i secoli della stessa Abbazia di San Claudio.
Fonti documentative
Articolo Gabor Bonifazi architetto