Mulino di Sisto V – Montalto delle Marche (AP)

Cenni Storici

Nel Medioevo nel medio bacino dell’Aso funzionavano diversi mulini ad acqua di proprietà signorile, ecclesiastica e comunale.
Infatti, leggendo il “Catastrum Vetustior…Communis et Hominum castri Montis Alti…” scritto e pubblicato nel 1320 da Uguccio Nicolucci di Offida “notarium et officialem communis paedicti“, troviamo chiari riferimenti toponomastici: Molendina Communitatis, Molendina Scurani, Molendina Mortae, Molendina Fossae, Molendina Cachariae.
I Comuni provvidero alla fortificazione delle strutture principali, poste in posizione strategica perchè non bisogna dimenticare che in occasione di guerre, di invasioni, di lotte e di contrasti, il mulino era il primo obiettivo da colpire: distruggerlo e renderlo inattivo era un vero flagello, significava costringere alla fame gli abitanti del luogo e danneggiare tutta la collettività.
Questa struttura che in tempo di pace svolgeva una rilevante attività economica, nel momento del pericolo si trasformava in caposaldo militare, diventava una piccola fortezza adibita a controllo, ad avvistamento e a difesa.
Nel Catasto del 1772 si ha la testimonianza che al mulino e alla folla si era aggiunto anche il maglio: “…la Comunità di Montalto in contrada del Lago, o sia il Maglio possiede terra arativa, alberata, rotiva e selvata con Maglio, Molino e casa...”.
Tra la fine del sec. XIV e l’inizio del sec. XV fu un periodo oscuro per il Piceno, teatro di guerre, terra di sfruttamento e di conquista, diviso dalle lotte tra i Comunie conteso da signori e tiranni. Anche il Comune di Montalto delle Marche, analogamente ad altri centri, provvide a fortificare il mulino principale, posto in zona di particolare interesse.
Tale fortificazione risale a quel periodo.
L’edificio, di proprietà comunale, svolge la sua originaria funzione di mulino ancora nella seconda metà del ‘700, esercitando un ruolo di fondamentale importanza all’interno della vita economica, rurale e cittadina dei paesi gravanti sulla media Valle dell’Aso.
L’attività molitoria, considerata la sua importanza, fu regolamentata da apposite norme contenute nel libro V rubriche 31-32 degli Statuti del 1586, cioè le “Leges ac Iura Municipalia Mag. Et Illustr. Communitatis Montis Altis“.
Nel Catasto del 1520 risulta che la Communitas Montis Alti possedeva “terram sodivam ac fractivam...”, proprietà che si è andata allargando nei decenni successivi.
La denominazione di “Zecca di Sisto V” è impropria poichè scaturisce da un equivoco originatosi negli anni, attraverso il tramandarsi della tradizione orale.
Nel 1797, sotto il pontificato di Pio VI, lo Stato della Chiesa si trova nella necessità di garantire un’adeguata circolazione monetaria, affiancando gli impianti della Zecca di Roma e di Bologna un numero cospicuo di piccole officine monetarie da affidare in appalto a privati impenditori.
Sebbene la Zecca di Pio VI vennisse definitivamente smantellata, trascoros un breve periodo di circa 4 mesi, mentre l’edificio rimaneva attivo come mulino, la tradizione orale dedusse dalle due denominazioni “Mulino di Sisto V” e “Zecca di Pio VI” l’originale e non tuttavia non appropriata definizione di Zecca di Sisto V.
Nel 1536 il Mulino è sicuramente in possesso dell’autorità comunale.
A partire dal 24 gennaio dello stesso anno e per la durata di dodici mesi, la Comunità di Montalto delle Marche concede in affitto il Mulino a tale Agostino Berardini di Montelparo.
Infatti nel libro delle entrate e delle spese si legge una “locatio molinini…anno domini 1536 indictione nona tempore Sanctissimi in Christo patris domini nostri Pauli divina Providentia pape tertii…“, contratto di affitto stipulato “pro uno anno” con Agostino Berardini da Montelparo.
Il mulino ebbe la denominazione di Mulino di Sisto V poichè un periodo fu gestito dalla famiglia di Felice Peretti, futuro papa ed in particolare da sua sorella Camilla.
Nell’atto firmato dal notaio Nicola Mazzocchi in data 27 giugno 1567 si legge che i Priori di Montalto “dederunt, tradiderunt, cesserunt et concesserunt ac locaverunt D.ne Camille Perecte…per annos quinque proximos venturos…” le rendite del mulino a scomputo dei 600 fiorini dati in prestito alla Comunità.
A partire dal sec. XIV si andrà sempre più consolidando l’interesse dei governi comunali sull’attività molitoria e sui mulini, molti dei quali da privati diventarono pubblici.
Considerata l’importanza di questa struttura produttiva e redditizia, il mulino fu al centro della politica economica della classe di governo che voleva limitare i poteri signorili e affermare la propria attività.
Per questo i Comuni cercarono di impossessarsi dei mulini privati, stabilirono norme ed entità degli oneri di molitura e soprattutto provvidero alla fortificazione delle strutture principali, poste in posizione strategica.
Nella parete nord-est al di sopra dell’ingresso principale e al di sotto dei beccatelli vi è uno stemma scolpito in pietra arenaria.
Tale stemma presenta due coppie di chiavi decussate e cinque monti sovrastanti da una palma a cinque rami.
La grande rivoluzione nelle armi da fuoco operatasi nel Quattrocento e le necessarie ripercussioni sulle architetture militari in quel periodo, che va sotto il nome di Transizione, non portò nell’Ascolano operazioni innovative, ma più spesso ci si accontentò di aggiornare il vecchio, rifacendo o aggiungendo elementi nuovi.
In questa struttura è visibile tale trasformazione poichè fu irrobustita.
Sul finire del sec. XVI, il mulino, ora al centro di una più vasta proprietà, è sempre patrimonio del Comune.
Nel Catasto del 1596 risulta che la Communitas Montis Alti possedeva “terram sodivam ac fractivam...”, proprietà che si è andata allargando nei decenni successivi.
intero bene – manutenzione – secolo XVI – XVI –
Nel libro dell’Amministrazione del Mulino, invece, vengono annotate alcune spese sostenute per la manutenzione dell’impianto che era alimentato dall’acqua di un canale o vallato proveniente dal fiume Aso
Il terzo piano, con antica destinazione a “cammino di ronda“, fu coperto, forse nel sec. XVII, con un tetto a quattro falde ed utilizzato come piccionaia.

Per approfondimenti maggiori: www.beniculturali.marche.it

 

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