Monastero di Sant’Uberto di Montiano (o di Pugliano) – Bettona (PG)

Nonostante siano passati mille anni dalla sua costruzione, la struttura è ancora leggibile e rimangono ancora in piedi importanti porzioni di muratura.

 

Cenni Storici

I ruderi del monastero e chiesa di Sant’Uberto (per qualcuno San Roberto) si stagliano nella selva alla destra del fosso della Romita non lontano dalla sua sorgente, nella parte montuosa più remota del Comune di Bettona quasi al confine con il Comune di Deruta.
Nelle sue denominazioni antiche troviamo Sancti Huberti de Monte Jano (1220) e Sancti Uberti de Manciano de Bitonio (Bettona) nelle Rationes Decimarum del 1333; nelle denominazioni moderne viene citato come Sant’Uberto (o Roberto) di Montiano o meglio ancora Sant’Uberto di Pugliano; forse quest’ultima definizione è quella che più si avvicina concretamente alla sua precisa ubicazione in quanto la località Montiano dista dal cenobio svariati chilometri trovandosi in prossimità del Comune di Cannara mentre il monastero e la località Pugliano sono nelle vicinanze di Deruta.
Si sa che nell’Alto Medioevo, nel territorio di Bettona insistevano diversi insediamenti benedettini, fra cui l’abbazia di S. Quirico, di San Crispolto ed il monastero di S. Uberto o Roberto a Pugliano.
Quasi nulla si sa circa la storia di questo monastero, di sicura antichissima fondazione benedettina ma precocemente abbandonato dai monaci; di sicuro era comunque un punto di riferimento importante in quel territorio, in quanto fornito addirittura di Fonte Battesimale, quindi si può tranquillamente ritenere che la zona, ora completamente spopolata, un tempo era piena di vita con comunità di pastori, boscaioli, contadini che avevano come punto di riferimento spirituale proprio la pieve di Sant’Uberto.
Il fonte battesimale per fortuna si è conservato ed oggi è diventato un’acquasantiera della chiesa di Sant’Antonio (abbandonata anch’essa).
Il cenobio comunque subì un precoce abbandono poiché i monaci furono trasferiti presso il Convento di Sant’Antonio alle porte della città di Bettona per motivi di sicurezza, infatti la distanza dalle mura della città e la posizione a rischio su quei luoghi impervi metteva a repentaglio la vita stessa dei monaci.
Il luogo abbandonato divenne luogo di ritiro di eremiti che su quelle montagne cercavano la solitudine e la pace interiore.
Nel 1220, dopo un lungo conflitto, i monaci di Sant’Uberto furono ricondotti da papa Onorio III sotto la giurisdizione del vescovo di Assisi Guido II.
Negli anni 1333-1334, il priore di Sant’Uberto di Montiano pagava regolarmente le decime pontificie; infatti troviamo che un certo “Francisco priore prioratus heremite” paga XVIII libbre e X soldi cortonesi e questo accade anche per la rata successiva mentre per la terza rata si presenta un certo “fratre Matheo priore heremite S. Uberti de Manciano de Bitonio” che paga stavolta XVI libbre cortonesi.
Nella prima metà del secolo XIV, il monastero attraversava una grave crisi economica.
Per riformarlo, i monaci chiesero a Ugolino II Vibi, abate di San Pietro di Perugia di nominare come loro priore il monaco Baglioncello di Ermanno di Castiglione Ugolino.
Il 5 gennaio 1340 l’abate di San Pietro acconsentì alla richiesta.
L’anno successivo, il 18 agosto 1341, il vescovo di Assisi, il francescano Niccolò Fucci, nominò come priore di Sant’Uberto di Montiano Pietro di Ribaldello Vincioli, anch’egli monaco di San Pietro di Perugia, all’epoca rettore della chiesa di San Donato di Monte Frondoso (Corciano).
Pietro Ribaldelli prese possesso del monastero di Sant’Uberto di Montiano il 26 agosto, alla presenza di Coppola di Nuccia di Monte Vibiano, abate di San Michele Arcangelo al Lago Trasimeno di Paolo, abate di San Crispolto di Bettona e del monaco Stefano di Guglielmo da Todi, procuratore di San Pietro di Perugia.
Non è specificato quali e quanti fossero i monaci del cenobio; nel 1274, insieme all’abate Francesco, figurano due monaci e due oblati.
In quel periodo, il monastero di Sant’Uberto di Montiano era stato danneggiato dai conflitti locali e spogliato di gran parte dei suoi beni.
I monaci, riuniti in Capitolo nella chiesa dipendente di Sant’Ilario presso Rosciano (Torgiano), affidarono al nuovo priore l’incarico di rivendicare i beni ingiustamente usurpati.
Nella seconda metà del trecento vi si ritira in eremitaggio il beato Pietro Negles (o Hegles), eremita portoghese morto intorno all’anno 1405, compatrono di Bettona; le sue spoglie sono conservate nella chiesa della Confraternita di Sant’Andrea a Bettona.
 

Aspetto

Dell’antico monastero di Sant’Uberto restano i ruderi di un ampio edificio di forma rettangolare, completamente immersi nel bosco.
Il perimetro della chiesa è ancora ben definito, anche se il portale è completamente crollato andando a colmare il cumulo di macerie dell’interno insieme a tutte quelle della copertura e parte delle mura.
La chiesa aveva un orientamento Ovest-Est, ma vista l’esiguità dello spazio ad est posto a scosceso sulla ripida costa della montagna, i costruttori si sono visti limitare gli spazi proprio dalla conformazione del terreno, per cui, siccome la superficie per la navata era ridotto, hanno deciso comunque di fare l’abside ad est scavando la parete della montagna, ma non potendo allungare la navata, hanno deciso di sviluppare la chiesa nella parte laterale, che risulta quasi il doppio della navata stessa per cui la forma è a rettangolo dove però l’abside e il portale sono frontali nella parete lunga.
I lati corti del rettangolo sono provvisti entrambi di una finestra che garantiva la luce dell’altare; ora però non sappiamo se anche sopra il portale era presente un’apertura per l’illuminazione.
Oltre a questo ambiente, si notano altri ruderi adiacenti la chiesa e probabilmente erano destinati alla vita dei monaci; si notano ancora degli archi seminterrati di cui si ignora l’utilizzo.
Un altro ambiente ad uso monastico si nota nella parte opposta della strada a strapiombo sul fosso di cui però restano solo due brandelli di una parete, uno provvisto ancora di una piccola finestrella.
L’approvvigionamento idrico del cenobio era garantito dal fosso della Romita che in quel tempo doveva essere con una portata considerevole e proprio sotto al monastero l’acqua faceva un salto di diversi metri formando all’epoca una bella cascata.
Il materiale con cui è stato edificato il complesso è costituito da blocchi compatti di arenaria facilmente reperibili in loco, tanto che nell’immediato sottosuolo esistono strati di pietre che spesso si staccano in blocchi già naturalmente squadrati.
E’ ovvio comunque che l’abilità costruttiva dei monaci ha fatto si che la struttura abbia resistito pe più di un millennio mantenendo ancora in piedi porzioni importanti di muri.
Nelle sue Memorie di Bettona degli inizi dell’Ottocento, Pietro Onofri scrive che il fonte battesimale
della chiesa monastica fu trasportato nella chiesa del convento francescano di Sant’Antonio Abate di Bettona, dove era usato come acquasantiera; proviene da Sant’Uberto anche la campana posta sul Palazzo comunale di Bettona.
 

Storia di Pietro Negles

Nato a Lisbona da nobile stirpe, a circa 15 anni parte in pellegrinaggio per Roma, dove giunge dopo 58 giorni di viaggio.
Vi si trattiene tre anni visitando gli ospedali della città e le tombe dei martiri.
Decide però di lasciare la città per sfuggire alla fama di santità che sul suo conto si sta diffondendo tra il popolo; si dirige così a Loreto, ma dopo breve tempo si trasferisce a Perugia, dove cura gli infermi e predica alla gente.
Nuovamente, tuttavia, la fama di santità lo raggiunge, e così, messosi nuovamente in viaggio, arriva a Bettona, dove per un anno vive nel castello per poi trasferirsi alla Romita.
Quando giunge tra i ruderi dell’antica abbazia ha 24 anni e vi trascorre il resto della vita, fino alla morte che lo coglie a 57 anni di età.
Dopo la morte, il corpo del beato Pietro rimane per tre anni sepolto presso la Romita, fino a che i Perugini, ricordatisi della fama di santità da lui acquisita anche presso di loro, tentano di rubarne il corpo, ma vengono bloccati dalla nebbia.
Quanto rimane delle spoglie del beato Pietro, e cioè le ossa e il cuore intatto, viene allora collocato per maggior sicurezza entro le mura, nella chiesa della Compagnia di Sant’Andrea.
Il Beato Pietro è quasi sconosciuto al di fuori di Bettona ed anche qui rimane una figura quasi dimenticata, resta comunque il compatrono della città.
 

Nota di ringraziamento

Ringrazio Danilo Gianfortuna per le preziose indicazioni territoriali che mi hanno consentito di ritrovare i ruderi dell’antico monastero.
Ringrazio Marcello Tomassetti che si è molto adoperato nell’aiutarmi nella ricerca.
 

Fonti documentative

Giustino Farnedi O.S.B. Nadia Togni – Monasteri Benedettini in Umbria, Alle radici del paesaggio umbro – Volume II Regione Umbria Centro Storico Benedettino Italiano 2023
Pietro Sella – Rationes Decimarum Italiae nei Sec. XIII e XIV Umbria – 1952
Elvio Lunghi – Memorie di Bettona di Pietro Onofri, Vita civile e religiosa di una città dell’Umbria al tempo dell’Impero napoleonico – 2016
Andrea Maiarelli – Conventi e Monasteri a Bettona dal secolo XIII all’Unità d’Italia – Atti Accademia Properziana del Subasio Serie VII n° 8 Assisi 2003
Aspetti di vita benedettina nella storia di Assisi – Atti Accademia Properziana del Subasio Serie VI – n. 5 Assisi 1981 Atti del Convegno 12-13 Settembre 1980
 

Mappa

Link alle coordinate: 42.984268 12.470004