Monastero di San Cassiano – Fratta Todina (PG)
Cenni Storici
L’abitato di San Cassiano sorge su un insediamento di origine romana, infatti in questo posto nel XVIII secolo, venne ritrovato un cippo funerario della famiglia romana degli Aponi; si trattava dunque di un piccolo complesso abitativo probabilmente sopravvissuto per secoli alla sua stessa origine di villa romana perla posizione rilevata rispetto al corso del Tevere in una zona fertile per l’abbondanza delle acque.
È probabile che, nel Duecento vi si siano raccolti i lavoratori delle terre benedettine dell’omonimo monastero.
Le prime notizie si hanno durante il 200 quando Todi decise di effettuare un censimento per dare ordine all’amministrazione del suo territorio e in quell’occasione nel plebato di San Lorenzo di Vibiata compare il piccolo insediamento di San Cassiano con 7 famiglie.
Nel XIII secolo fu sede di priorato alle dipendenze dell’abbazia benedettina di San Pietro di Perugia, come attesterebbe il pagamento di un canone annuo di due robbia di grano a favore della sede perugina contenuto in un atto del 1299, e come membro del monastero cassianese di San Pietro rimase fino agli inizi dell’Ottocento.
Il priorato fu retto dal clero secolare fino al 1327 quando il cardinale Giovanni Cuciano Orsini legato apostolico della Romagna, Marca, Toscana e Umbria decretò che dopo la morte dell’attuale priore la chiesa di San Cassiano fosse retta da un monaco nominato dall’abate di San Pietro.
Si sospetta che il luogo, prima di tale data, debba essere collegato ai Sardoli, signori di gran parte delle terre della zona e di un fortilizio, detto appunto Torre Sardoli, poco distante da San Cassiano.
L’ipotesi è confortata da una iniziativa di Manne di Sardolo, uno dei maggiori esponenti della famiglia, che nel 1289 stanziò la bella somma di 190 libbre di denari cortonesi per affrescare la cappella di San Cassiano di cui i Sardoli erano iuspatroni, nel tempio di San Fortunato di Todi.
Il nucleo abitativo nel 1290 si era intanto trasformato in castello (o quantomeno in luogo fortificato) come risulta da un testamento di Salvatello Robbe Pacioli da Montione del 1471.
Di esso fu per alcuni anni padrona la famiglia Baglioni di Perugia che lo rivendette il 3 febbraio 1501 allo stesso abate di San Pietro con atto di Gian Paolo Baglioni che seguiva le raccomandazioni fattegli in punto di morte da Rodolfo suo padre.
Da qui si evincono i tentativi della famiglia Baglioni per affermare la propria signoria su Fratta Todina.
Il castello dovette subire gravose tassazioni da parte dell’Abbazia di San Pietro, prima Ugolino II aveva imposto un tributo per sanare il debito di 5310 fiorini d’oro che aveva contratto per la sua nomina nella sede perugina, seguì poi nel 1437 papa Eugenio IV che tassò i castelli per l’unione della Congregazione dei monaci dell’Osservanza di Santa Giustina di Padova (che divenne poi Congregazione di Montecassino con i monasteri di Montecassino, San Paolo di Roma, Cava dei Tirreni, San Pietro di Modena, San Pietro di Perugia, San Pietro di Assisi, Santa Maria del Monte a Cesena, San Nicolò a Catania, San martino a Palermo, Farfa e San Giacomo di Pontida) e San Cassiano in quell’occasione fu tassato per 120 fiorini.
La pressione fiscale era così alta che nel 1597 dovette intervenire il Vescovo di Todi il quale sequestrò ai monaci la somma di 100 scudi prelevati indebitamente nelle terre del castello.
Talvolta il capitolo di San Pietro, per alleggerire la situazione debitoria, concedeva in affitto parte delle sue terre, e ciò successe anche a San Cassiano, e da un contratto del 1789 risulta che l’appezzamento di terreno di quest’ultimo fu aggiudicato dai Baldini.
L’appartenenza delle terre all’Abbazia di San Pietro è confermata dai visitatori delegati dall’abate per la ricognizione del Patrimonio i quali nel 1763 confermarono che San Cassiano era sottomesso al monastero da oltre 500 anni.
I contrasti tra gli abati e i vescovi di Todi comunque erano marcati, tanto che gli stessi visitatori apostolici, Camaiani prima (1574) e Cesi dopo ( 1579) evidenziarono nelle loro relazioni i contrasti tra le due autorità religiose.
Nel 1808 Pio VII, informato dalla procura generale dell’Ordine della disastrosa situazione debitoria (ammontanti a ben 30.000 scudi al tasso del 2,5 per cento), nominò una commissione per analizzare la possibilità di vendere beni immobili appartenenti alle abbazie di Farfa, Sassovivo e S. Pietro.
Nel 1809 gli interessi corrisposti avevano fatto scendere la somma a 26.000 scudi che si offrì di riscattare il conte di Gravina, Filippo Bernualdo Orsini il quale sborsò per la sola tenuta di San Cassiamo 3112 scudi.
Da allora questa terra ha cambiato molti proprietari, di uno degli ultimi, Luigi Bruschetti; resta all’interno della chiesa una iscrizione del 1927 che ne ricorda i restauri.
Oggi la tenuta di San Cassiano è divisa in poderi con diversi proprietari.
La Chiesa
La piccola chiesa è inglobata nell’abitato con la facciata esposta nel piazzale. Il portale squadrato, è spostato sulla parete destra ed è affiancato da una lunetta triangolare in pietra e un oculo asimmetrico sulla sinistra, in asse risulta invece una piccola finestra rettangolare che però serve per accedere ad un altro locale.
Il tetto è a capanna e al cuspide un telaio in ferro sorregge la piccola campana.
Interno
L’interno è ad aula unica con un soffitto squadrato in travi di legno e pianelle, probabilmente nella parte superiore della chiesa è stato ricavato un sottotetto ad uso civile.
La mensa dell’altare è sorretta da una parete di fondo e 7 colonnine tortili; è sovrastato da un tavola pensile con sopra raffigurato lo Spirito Santo a forma di colomba.
Nella controfacciata una lapide ricorda l’opera di ristrutturazione compiuta da Aloisio Bruschetti nel 1927.
In occasioni particolari la piccola chiesa è ancora utilizzata per il culto.
Attualmente la piccola chiesa essendo di proprietà privata non è aperta al pubblico.
Fonti documentative
G. Comez – Vicende Storiche di Fratta Todina – 1990
Nota di ringraziamento
Si ringrazia la Diocesi di Orvieto – Todi per la disponibilità e per aver concesso le autorizzazioni alla pubblicazione.