La Valle del torrente Chiona – Spello (PG)

Un viaggio tra castellieri preistorici, domus e templi romani, curtes longobarde, castelli medievali; un viaggio tra pastori transumanti, viandanti e pellegrini diretti ai luoghi della devozione, mercanti diretti alle fiere della Valle Umbra.
Un viaggio nella storia, dalla preistoria ai nostri giorni.

 

Cenni Storici

Per parlare della Valle del Chiona come tutte la vallate in generale occorre partire dalla preistoria quando l’uomo nomade e cacciatore che inseguiva la selvaggina faceva lunghi spostamenti stagionali evitando percorsi impervi e seguendo in particolare il corso dei fiumi, i quali avendo modellato il territorio con lo scorrere delle loro acque rendevano i fondovalle aree facilmente transitabili e comode sia per gli uomini che per gli animali.
I fiumi da sempre hanno scavato pendii impervi e creato vaste aree pianeggianti che sono state ampiamente sfruttate poi dall’uomo.
Anche la Valle del Chiona, alle pendici del monte Subasio, non sfugge a questo destino e anch’essa è stata sfruttata dall’uomo, dapprima come direttrice per gli spostamenti, poi in seguito vi ha stabilito insediamenti per il controllo proprio di questa viabilità, che andava difesa in quanto favoriva anche l’arrivo di situazioni ostili che andavano controllate e soprattutto prevenute.
Ecco quindi che lungo questo percorso che a mano a mano si faceva sempre più utilizzato ed importante fu necessario posizionare insediamenti d’altura che mettevano al sicuro uomini ed animali.
Questi insediamenti hanno preso il nome di Castellieri; si trattava talvolta di recinti adatti a contenere uomini ed animali e difenderli da attacchi di bande di predoni o di animali predatori che avrebbero messo a rischio il bestiame che l’uomo allevava per il suo fabbisogno e la sua sopravvivenza.
Tali recinti, chiamati “valli“, ebbero anch’essi un’evoluzione, infatti i primi allevatori intanto sceglievano un’altura da dove meglio si poteva controllare una vasta area di territorio, poi dapprima fecero recinzioni con frascame e pali di legno quasi sempre di forma circolare, poi perfezionarono tale struttura consolidando la parte difensiva scavando un fossato che avrebbe reso ancor più difficile l’accesso (castellieri a terrapieno).
La loro forma era quasi sempre circolare, talvolta ellittica, che seguiva la rotondità della cima del pendio su cui si ergeva, che di per se era già una difesa, ma soprattutto non presentava spigoli o angoli che avrebbero reso la struttura più debole.
Da questa forma primitiva di fortificazione l’uomo passò ad una struttura ben più resistente e più sicura costruendo recinti con pietrame ammassato con cumuli che in certi casi superavano i due metri di altezza, rinforzati poi da fossati esterni; spesso il pietrame non era solo ammassato, ma venivano fatti dei veri e propri muraglioni.
Lungo questa valle, facendo uno studio dell’orografia si è visto che di insediamenti cosiddetti castellieri ne esistono diversi e per essere un tratto abbastanza breve fa pensare che qualcuno di essi non fosse solo un recinto di difesa, ma un luogo dedito a scopo religioso dove si saliva verso l’alto per venerare qualche divinità.
In Umbria si trovano diversi esempi di Santuari d’altura dove talvolta venivano sacrificati animali alla divinità oppure venivano offerti bronzetti della forma più svariata a seconda del beneficio che veniva richiesto; se era per la protezione degli armenti allora i bronzetti erano a forma di animale, se era per una protezione fisica per sé stessi o per qualcun altro erano a forma umana.
Tanto per fare un esempio vicino a noi un santuario preistorico d’altura si trova proprio sul monte Subasio in località Colle San Rufino.
Quindi tornando nella nostra valle occorre capire quali erano i castellieri a scopo di ricovero e difensivo e quali oltre a questo avevano scopo religioso; questo è difficile dirlo e forse non lo sapremo mai, però qualche ipotesi possiamo farla seguendo delle linee logiche di ragionamento e da un’analisi del territorio.
Di fatto i castellieri del Chiona sono troppi e troppo ravvicinati e questo tratto di territorio non necessitava di certo di una presenza così massiccia di fortificazioni; allora perché ci sono?
La risposta va trovata intanto facendo un salto indietro di millenni avendo presente la conformazione del territorio e della valle qualche millennio fa e non come appare oggi ai nostri occhi.
Intanto va premesso che la Valle Umbra non era così ma era un gigantesco lago formato da un’ansa del Tevere che andava fino alle porte di Spoleto, questo lago definito lacus Umber, a sua volta si spezzò i due tronconi, il Lacus Clitorius ed il Lacus Umber; i due tronconi sopravvissero fino ai tempi dei romani i quali furono quelli che riuscirono in parte a prosciugare ed a bonificare la pianura che rimase comunque in larga parte paludosa e impraticabile; lo stesso Annibale provenendo dal Trasimeno dopo la famosa battaglia si diresse in direzione Spoleto attraversando i crinali di Bettona nella parte sud della pianura proprio per evitare le zone acquitrinose e paludose (oltreché evitare città romane come Perugia, Assisi e Spello), lui che per attraversare le paludi toscane aveva perso un occhio.
E’ facile quindi supporre che lo spostamento di persone ed animali avvenisse proprio nella Valle del Chiona e quindi la necessità di controllare questo percorso era vitale.
Questo sistema arrivò fino ai tempi dei romani i quali non tralasciarono di occupare anch’essi questo territorio ricco anche di sorgenti e di acqua e lo antropizzarono sfruttando a pieno le sue potenzialità e sicuramente sfruttarono alcuni castellieri per convertirli a qualcos’altro.
Di sicuro oltre a domus romane erano presenti anche luoghi di culto sicuramente legati a percorsi di purificazione vista la presenza dell’acqua ed i passaggi dentro i guadi, nonché fonti di acque terapeutiche.
L’acqua, secondo gli antichi, era dotata di caratteri e virtù eccezionali: i pozzi sacri, architetture religiose e simboliche dedicate al culto e all’adorazione dell’acqua sorgiva, essenziale per la vita, erano mete di pellegrinaggio.
Le sorgenti, i fiumi e i laghi erano considerati sacri e diretta emanazione della Dea Madre, portatrice di potenza e di fertilità.
L’acqua aveva un ruolo fondamentale nel percorso d’iniziazione ai diversi culti, pensiamo al battesimo cristiano. Nel culto dedicato alla divinità pagana Mitra, così come presso tanti altri culti paleocristiani, l’acqua sorgiva era indispensabile e qui di certo non manca.
Oltre a ciò ci troviamo di fronte ad un territorio ed una vallata famosa ancor oggi per il passaggio degli uccelli migratori e questo fatto non può essere passato inosservato ad un popolo che nel volo degli uccelli affidava i propri comportamenti e le proprie scelte importanti, ma di questo parleremo più avanti.
La forma di sfruttamento delle acque da parte dei romani, è rimasta fino ai giorni nostri; infatti facendo tesoro della copiosa sorgente di Fonte Canale sotto Collepino realizzarono l’imponente opera dell’acquedotto che per millenni ha alimentato l’Urbe di Spello come in parte lo fa ancora oggi attraverso una conduttura moderna.
Proprio partendo da queste considerazioni andiamo a vedere di concreto sul territorio che cosa troviamo di romano oltre l’acquedotto: intanto Scisciano, ultima propaggine della valle prima della chiesa della Madonna di Colpernieri.
Scisciano, termine che di per se è un prediale Romano, tanto che in quel territorio sono state trovati resti di una domus romana in località Campo Tronno (mai approfondita l’indagine archeologica) molto probabilmente appartenuta ad un personaggio di spicco ma di cui ignoriamo qualsiasi dettaglio, però sappiamo che stando ai racconti dei contadini che un tempo vi lavoravano, nelle terre accanto a quella che oggi è una dimora signorile, sono stati trovati resti di ceramiche, anfore pietrame vario e tegole che sono state disperse e sono scomparse, inoltre durante gli scavi per un impianto di un uliveto sono venute alla luce dei dolia e un busto in marmo (andato perduto ma qui riportiamo una riproduzione fedele).
Ma non finisce qui perché murata alla base della scalinata esterna che porta all’interno della casa c’è murata una pietra squadrata che altro non è che la base di un altare e di sicuro per essere posizionata li deve essere stata trovata poco lontano visto il peso della stessa; una pressochè identica è messa sotto l’altare della chiesa di Colpernieri.
E chi ci dice che anche qui oltre alla domus non esistesse anche un tempio legato al culto delle acque visto che proprio in questo posto esiste un sorgente terapeutica chiamata l'”Acqua cottoia” adatta, oltre che a cuocere legumi particolarmente duri, anche a curare infiammazioni intestinali e soprattutto calcolosi?
Di certo queste qualità dell’acqua non devono essere sfuggite ai romani, esperti quali erano nel campo delle acque curative e la presenza della casa in quel posto è emblematica.
La domus tra l’altro risulta in una piantina citata in un libro di ricerca presso l’Accademia Romanistica Costantiniana.
La chiesa della Madonna di Colpernieri anch’essa posizionata isolata sulla sommità di un colle alla fine della Valle del Chiona ha restituito tracce di frequentazione antica, anche questa classificata come castelliere, ma come detto la pietra alla base dell’altare arriva da qualcosa di precedente e non certo un luogo di culto cristiano che non c’era, ma da qualcosa di pagano; la chiesa fino a qualche decennio fa era il luogo dove veniva fatta la festa del cacciatore e dove si radunava un gran numero di persone.
Perché la festa del cacciatore proprio li? Perchè quel territorio è per eccellenza un luogo di caccia, un luogo di passo degli uccelli e ancora oggi poco lontano c’è un altro castelliere che viene denominato “La caccia della palombe” dove si pratica questo tipo di attività venatoria.
Il passo degli uccelli era un luogo fondamentale per gli auguri romani per predire il futuro, in quanto dal volo degli uccelli veniva predetto il futuro degli uomini, la buona o la cattiva sorte.
I romani che erano molto superstiziosi si affidavano ciecamente agli auguri soprattutto quando dovevano prendere importanti decisioni e gli indovini godevano di rispetto e prestigio nella società romana, figuriamoci se in quel posto così importante per osservare il volo degli uccelli non sia stato presente un tempio dove un augure stanziava a disposizione della collettività, da qui forse la pietra d’altare e le tracce dell’antica frequentazione a scopo divinatorio.
Analizzando i luoghi di culto ancora presenti e significativi, vediamo che lungo il corso del Chiona si trova oramai abbandonata la chiesa di Sant’Angelo anch’essa sulla punta del cono del cucuzzolo; anche qui la carte archeologiche confermano che l’edificio religioso è stato costruito su un castelliere.
Infatti la carta archeologica dell’Umbria così lo definisce: “La chiesa abbandonata di S. Angelo, nei pressi del confine comunale tra Spello e Foligno, sorge su un colle che per la posizione e le caratteristiche morfologiche può essere identificato come centro fortificato o di controllo della viabilità sottostante. In rapporto a esso sembra essere anche il colle dove sorge la chiesa di S. Fortunato, costruita anch’essa con materiali di reimpiego“.
Ma Sant’Angelo altri non è che San Michele Arcangelo patrono dei pastori e della transumanza la cui festa cade due volte l’anno a settembre e a maggio, i due mesi in cui cominciava la transumanza e quando i pastori tornavano a casa, quindi quel santuario di certo fu costruito in un luogo di culto preesistente molto più antico legato alle greggi e al passaggio dei pastori che poi durante la cristianità si è trasferito su San Michele come spesso è successo che i riti pagani sono stati assorbiti e trasformati dal cristianesimo.
Questa presenza religiosa ci conferma il passaggio a valle delle mandrie transumanti che in passato dovevano essere consistenti.
Tirando un po’ le somme del ragionamento possiamo quindi dire che i castellieri erano si tanti, ma altrettanti erano i luoghi di culto legati alle forme pagane della purificazione, vaticinio e della transumanza e notevole doveva essere stato il transito di persone e bestiame che si è protratto sino al basso medioevo; quindi quelli che genericamente vengono definiti castellieri lo sono stati per un breve periodo dopodiché qualcuno di essi è stato convertito per riti pagani prima e almeno un paio di essi a riti cristiani dopo.
Questo percorso che oggi è completamente abbandonato dovrebbe aver avuto nel corso dei secoli un’importanza notevole, infatti se vediamo l’orografia della valle la possiamo definire una vera e propria autostrada che partendo dalla valle di Prato alle porte di Spello, saliva il torrente Chiona in forma pressoché diritta e senza salite sfiancanti fino alla Madonna di Colpernieri, dove li si apriva un trivio: una strada portava ad aggirare il Subasio e andare verso Nocera e Gualdo o sui prati sommitali del monte; un’altra che scendeva sulla valle del fosso dell’Anna e sbucava a Valtopina, e un’altra ancora che, sempre scendendo nella valle del Topino, passava per Cupacci e sbucava a Ponte Centesimo, entrambi poi erano comode per andare verso Capodacqua e da qui a Plestia e verso l’Adriatico.
Perché scegliere questa via e non passare per Foligno e prendere la Flaminia? Semplice, si allungava il tragitto.
Il fatto che Spello sia stato meta dei pastori transumanti settembrini che dai Sibillini scendevano in massa non verso le maremme meta usuale, ma verso la pianura umbra, fenomeno durato fin quasi ai nostri giorni è documentato nei graffiti della chiesa di San Claudio dove un garzone, un certo Giovan Girolamo da Castelluccio di Norcia al seguito di qualche gregge o mandria di bestiame lasciò la sua scritta attraverso un graffito su un affresco della chiesa il 2 ottobre 1559.
Il passaggio di bestiame è durato fino ai primi del 1900 quando i mercanti di animali provenienti dalle Marche o dagli altopiani Plestini si recavano alle fiere che si svolgevano a Spello che erano piuttosto famose e richiamavano numerose persone.
Questi mercanti utilizzavano tale percorso soprattutto per due motivi: primo perché era una scorciatoia per passare nella Valle Umbra senza passare per Foligno; secondo perché tale percorso consentiva agli animali di poter mangiare nell’attraversamento dei boschi e soprattutto di bere avendo a disposizione il fiume Chiona che scorreva a fianco della strada.
Questo permetteva di portare ai mercati animali ben nutriti e abbeverati che facevano la loro bella figura rispetto ad animali sfiancati dal viaggio e spesso deperiti per i giorni di cammino.
A tale proposito va considerato che i percorsi che scendevano da Colpernieri erano due, uno a destra del fiume ed era la viabilità comune, mentre per il bestiame c’era la deviazione nei pressi di Scisciano che spostava il percorso a sinistra che si inoltrava nell’alveo e permetteva la pastura e l’abbeveraggio, visto che il percorso a destra era più in alto.
Questo percorso è anche documentato come “strada dei mercanti Marchigiani” dallo stesso don Mario Sensi che attraverso i documenti ci racconta gli spostamenti di questi commercianti che talvolta venivano rapinati lungo la strada a monte di Cupacci.
Ancora oggi esiste il toponimo “Sentiero della morte” dove la mulattiera passa sull’orlo di un precipizio in una stratta gola e spesso questo era il punto in cui si verificavano gli agguati ai mercanti che tornavano dalle fiere con i soldi delle vendite del bestiame.
Si racconta che un mercante vendette a due persone di malaffare degli animali e durante il ritorno in questo punto fu assalito dagli stessi acquirenti che gli stapparono i soldi e lo fecero cadere nel burrone uccidendolo; da qui il toponimo.
La strada che passava dalla parte opposta della gola comunque non era da meno in fatto di pericolosità, infatti attraversava una pietraia franosa e anche li si racconta che un contadino passando con un asino scivolò, lui si salvò ma l’animale fu trovato morto in fondo al torrente; questo percorso è conosciuto ancora oggi come “Ripa di Nottolina“.
Superato questo tratto impervio del torrente si incontravano (oggi abbandonati) gli orti che erano coltivati da poveri contadini; si trattava di piccole porzioni di terra a ridosso del fiume e ricavate da piccole radure ottenute da miseri disboscamenti; si trattava di concessioni della famiglia Cristiani proprietaria di tutta l’area che concedeva ai contadini di coltivare quei piccoli appezzamenti.
Ancora oggi nel tratto più stretto della valle dove il torrente è stretto fra due pareti rocciose uniformi, si notano dei fori scolpiti nella roccia dove venivano conficcati pali orizzontali che permettevano la realizzazione di sbarramenti che innalzavano il livello delle acque in modo da consentire l’irrigazione degli orti.
Il percorso del Chiona era anche comodo per i pellegrini che si recavano al Santuario di Loreto o che dalle Marche attraverso Colfiorito si recavano alla Porziuncola, infatti la scorciatoia da Valtopina per Spello era un’alternativa che li favoriva.
La via Lauretana che attraversava Spello si caratterizzava per la presenza di aperture verso la Valle Altolina e concedeva ai viandanti due percorsi evitando Foligno: il primo, uscendo da Spello, risaliva la parte collinare bassa verso il convento di Santa Caterina, scendeva a Treggio, andava a San Giovanni Profiamma per proseguire verso Vescia, poi da Belfiore risaliva l’Altolina e proseguiva verso la Valle del Menotre; il secondo percorso era per coloro che volevano evitare il giro lungo attraverso la Valle del Menotre; i pellegrini risalivano la Valle del Chiona fino alla Madonna di Colpernieri, scendevano per Cupacci fino a Ponte Centesimo e da qui risalivano da Capodacqua per il fosso del Rio fino ai piani Plestini.
Un secondo percorso passava dalla Madonna di Colpernieri, ed essendo un trivio, i pellegrini potevano anche scegliere di scendere per il Fosso dell’Anna, arrivare a Valtopina, andare verso Nocera e poco prima di questa città deviare per Case Basse e da qui avevano due alternative facili per arrivare ai Piani Plestini: o deviare per Stravignano e salire a Collecroce e Annifo, oppure andare fino a Bagnara e da qui deviare per Collecroce e Annifo.
Il percorso lauretano che attraversava Spello per i vinadanti provenienti dalla Porziuncola, è contraddistinto da due edicole mariane importanti, la prima è alla Fonte del Mastro per chi attraversava il centro storico e la seconda è una tavola con la Madonna di Loreto inserita in una nicchia di un muro pericolante accanto la Fonte di Viale poeta per coloro che tagliavano la costa evitando il paese; entrambe posizionate vicino a fonti di acqua dove si rifornivano e si dissetavano i viandanti.
Uscendo nella parte alta del paese si incamminavano verso la Chiona attraversando la valle dove si incontrano ben due chiese a poca distanza l’una dall’altra, la prima è San Pietro in paterno e la seconda Santa Maria in paterno che costituivano l’ultimo punto di preghiera e devozione prima di imboccare la via per la Marca.
In conclusione si tratta di un percorso che ha fatto la storia della nostra Città nei secoli ma che con la bonifica della Valle Umbra e con la costruzione delle consolari romane e i loro diverticoli, in particolare quello che si stacca da Foligno e attraversa la pianura in direzione di Perugia e la Toscana, ha perso definitivamente la sua identità, ma ha lasciato sul terreno quelle misere tracce che comunque fanno ancora capire quanto la sua presenza sia stata determinante allo sviluppo di tutto il territorio e della nostra cultura.
Ai nostri giorni non resta più quasi nulla di questo percorso, ma la storia va letta in particolar modo su quel poco che si può leggere nella deduzione e dalla conformazione del terreno, poiché nulla è rimasto come traccia evidente.
Stando però ad una carta altomedievale, pubblicata in uno scritto di Don Mario Sensi, questa strada è ben definita e offriva varie possibilità una volta giunti al trivio di Colpernieri.
Essendo rappresentata pressoché lineare, la possiamo immaginare una strada a piano inclinato quindi priva di salite evidenti e che la maggior parte del suo tracciato sia stato alla destra del torrente Chiona, infatti alla sinistra esistono pendii scoscesi che avrebbero necessitato di curve per superare i dislivelli, mentre da questo versante del monte il pendio è più dolce e adatto a contenere una strada con poca pendenza a salire.
D’altronde ancora oggi è leggibile sul terreno una mulattiera che si snoda a mezza costa sotto Collepino e va verso Scisciano; da li in poi non esistono più dislivelli di rilievo.
Ora la nuova viabilità segue un percorso diverso inerpicandosi con dei tornanti alla sinistra del torrente.
Però tracce dell’antico percorso devono essere sopravvissute fino all’inizio del secolo, infatti è ancora viva nella memoria di qualche vecchio l’antica strada che da Spello portava a Colpernieri saltando il torrente quando a sinistra quando a destra e seguendo il fondovalle e che saliva fino al trivio sommitale.
Che la strada antica sia stata alla destra del fiume lo si deduca anche dagli insediamenti abitativi, infatti quelli più importanti presenti, compresi gli eremi erano e sono ancora in questo versante.
Da non trascurare poi la presenza longobarda che ha lasciato sul territorio toponimi derivati proprio dalla loro lingua “Gualdo” per esempio derivato da “Wald” che significa bosco e così molti altri che più avanti andremo ad analizzare.
Questa Valle quindi ha visto l’uomo preistorico, i romani, i longobardi, i pellegrini lauretani e ognuno di loro ha lasciato un segno tangibile sul territorio e ora tocca a noi moderni leggere ed interpretare quei segni che parlano solo attraverso i loro silenzi e occorre saper leggere questo libro aperto senza nessuna scrittura.
In questo post si andrà ad identificare elementi storici, manufatti caratteristici e toponimi che ancora determinano l’identità di questo pezzo importante del territorio spellano; partiremo dalla valle spellana per risalire tutta la valle fino alla Madonna di Colpernieri, trivio di valico.
 
 
 

Il Chiona

Il protagonista della ricerca è proprio il torrente che sin dalla sua origine ha scavato e modellato questa valle usata prima solo come facile forma di transito e poi come forma di sviluppo agricolo e quindi di sopravvivenza; il fiume, un tempo, ricco di acqua ha rappresentato non solo l’elemento indispensabile per l’agricoltura ma ha anche favorito l’allevamento del bestiame, altro elemento prezioso per la vita delle comunità.
Lungo le sue sponde, soprattutto nei punti in cui l’alveo è stretto tra imponenti rocce, sono ancora visibili tracce di fori scalpellati a mano in cui venivano inserite delle travi trasversali che servivano a creare sbarramenti al fine di ingrossare il fiume a monte per poi deviarlo per uso irriguo in orti e piccoli campi.
Il torrente Chiona nasce da diverse sorgenti a monte di Collepino nella vallata di Scisciano che si incanalano poi e diventano un unico corso d’acqua.
Nel medio evo aveva differenti appellativi a seconda del tratto in questione a monte o a valle grossomodo di Collepino; infatti nel tratto più a monte era detto Maglonis, come risulta nella Bolla di Papa Gregorio IX del 1237, con cui venne smembrato parte del patrimonio del Monastero di S. Silvestro a favore di quello di S. Maria di Vallegloria ed altri Istituti Religiosi, nel brano che definisce i confini della selva indivisa di cui tre parti andavano a Vallegloria e una a S. Silvestro, viene citato come termine i torrenti Maglonis e Laglonis, non essendo che uno il corso d’acqua si ritiene corretto pensare che con Maglonis venisse indicato il primo tratto del torrente e conseguentemente con Laglonis venisse indicato il tratto di Chiona sotto la chiesa della Madonna dell’Illare.
A conferma, da altri documenti del 1236, 1255 e del 1314, risulta che a valle della chiesa dell’Illare o S. M. di Villura (che vedremo più avanti) il torrente aveva l’appellativo Aglone, Agloni, Algone o Anglone.
 
 
 

San Pietro in Paterno e Santa Maria in Paterno

L’edificio religioso dedicato a San Pietro è documentato sin dal 1236 e sorge su un’area precedentemente occupata da un vicus romano con relativa necropoli tant’è che vi sono state trovate delle lapidi che nel sito sono fedelmente riportate.

San Pietro in Paterno

Quest’altro edificio religioso dedicato a Santa Maria sorge a pochi centinaia di metri dalla precedente, ma è molto più antica, infatti compare in un documento del 1178 ma dedicata a San Rufino in Paterno; entrambi gli edifici erano interessati da un percorso alternativo della via Lauretana che passando per la Valle del Chiona o per Santa Caterina si ricongiungeva con la Flaminia dall’altra parte del versante.

Santa Maria in Paterno
 
 
 

Chiesa di Sant’Angelo

Fatta questa importante premessa è venuto il momento di analizzare il territorio in maniera capillare per cercare di trovare delle risposte alle affermazioni sopra esposte; quindi iniziamo a risalire la Valle partendo dalla parte più bassa quindi seguendo la strada che attraversando il ponte risale alla sinistra del Chiona.
Il primo punto che andiamo ad analizzare è la collina di Sant’Angelo, una collina a ridosso della Valle dove c’è una chiesa ora sconsacrata e destinata a civile abitazione; anche questo sito compare come castelliere nella Carta Archeologica dell’Umbria e sicuramente la sua origine identitaria è stata quella però dovrebbe essere durata relativamente poco (o non era castelliere ma luogo di culto), perché la chiesa dedicata a Sant’Angelo ci spiega altro.
Sant’Angelo altri non è che San Michele Arcangelo, santo protettore delle greggi transumanti tanto che nel calendario cristiano, caso unico, è festeggiato per due volte l’anno: una quando i pastori partono per la transumanza e una quando ritornano.
Ricordiamo poi che le chiese dell’Arcangelo sorgono tutte su alture e sono principalmente di origine longobarda in quanto questo popolo convertitosi al cristianesimo venerava in modo particolare questo Angelo guerriero che rispecchiava il loro Dio.
Quindi non è assolutamente da escludere che siano stati proprio i longobardi ad edificare per primi un luogo di culto su questa collina dedicandolo al loro Arcangelo e questa cosa non risulta peregrina perché più avanti vedremo che la Valle del Chiona è stata fortemente antropizzata dai longobardi che tra l’altro vi hanno lasciato il segno affidando al territorio toponimi germanici che sono arrivati fino a noi e penso oltre a questo “il Gualdo“, “Curtem Villeure“, “Gasinlogi ultra Clonam” tanto per fare un esempio.
I longobardi in questa valle erano di casa quindi è impossibile non trovare traccia della loro permanenza durata secoli.

Chiesa di Sant’Angelo
 
 
 

Eremi della Valle

Questa valle fu anche luogo del francescanesimo di seconda generazione, quel movimento che fu persino accusato di eresia e che trovò in questa parte del territorio una loro ragione di vita, Angelo Clareno ne è il rappresentante più famoso.
Numerosi sono i luoghi che sono sopravvissuti da quel periodo e mi riferisco all’eremo di Sant’Onofrio sulle pendici alla destra del Chiona, mentre a sinistra troviamo l’ermo di San Fortunato costruito su un sito precedente di origine romana, le pietre di recupero lo testimoniano, l’eremo di Santa Caterina e quello più famoso fondato e vissuto da Angelo Clareno di San Lorenzo Vecchio.

Eremo di Sant’Onofrio
Eremo di San Fortunato
Eremo di Santa Caterina
Eremo di San Lorenzo Vecchio
 
 
 

Rivigiunti

Detti anche Murigiunti, Muri di Rivigiunti, Muriringiunti.
Era il punto di congiungimento delle acque del Chiona con quelle di Fonte Radicina che scavalcano il torrente dove aveva sede un poderoso muro per rallentare la vorticosità del torrente.
Questo muro oggi chiamato “il Casco” abbastanza deperito non ebbe più tale funzione dai primi decenni del 1900 quando l’acqua di Fonte Radicina venne spostata a monte di circa ml. 250 dal punto originale del canale artificiale “Chionarella” che alimentava le pescare e i molini di Spello.
Taddeo Donnola riporta questo muro:
Ha questa comunità cinque molini da grano quali macinano con l’accolta de l’acqua ch’è in capo la terra, sotto li pozzi del pianello, detta la pescara e per potere condurre l’acqua per servigio de detti molini, anticamente fu fatto un muro nell’alveo del torrente de la chiona vecchia, dal monte che è sopra li cappuccini sino al colle che è ivi incontro, detto di Valcelle, longa più di venti canne et alto più d’altro e tanto, con grandissima spesa, acciò se potessero unire insieme l’acqua del fossato del gualdo che scende da la fonte di radicina e quella di fonte canale; e però quel muro se nomina il de’ rivi giunti et il volgo lo chiama muri raggiunti.
E fecero poi gl’antichi un alveo, detto la chionarella, per la quale se conduce dentro Spello l’acqua de detti rivi e se fa entrare in detta pescara che è un vaso grande, circondato de muri
“.
Il Donnola specifica che per la manutenzione del muro e della peschiera doveva contribuire tutta la comunità.
Un importante intervento di manutenzione fu fatto nel 1567 come scritto nel “libro del sindacato di detto anno e seguente“.
Per garantire il regolare afflusso di acqua veniva stipendiato dalla comunità un affittuario come stabilito nel quarto libro degli statuti al capitolo 20.

Link alle coordinate: 43.005304 12.701343
 
 
 

Fosso di Fonte Radicina

Riportato nel catasto del 1817 ed attuale oggi è stato condottato sotto la strada e si getta nel Chiona dopo il muraglione proprio all’incrocio con via Montepiano.
Era il limite della sezione di Collepino con Prato, questo fosso raccoglie anche le acque del fosso di Macchia Cupa, di quello della Serra Alta e di quello del Colle per convogliarle nel Chiona all’altezza del Muro dei Rivi Giunti attualmente detto il Casco.
Fino ai primi anni del XX secolo queste acque oltrepassavano il succitato muro per ricongiungersi con altre acque prelevate dal Chiona che, condottate nella forma il Chionarella, alimentavano le pescare e i molini di Spello. Anticamente, era chiamato fosso del Gualdo, toponimo di evidente origine longobarda.
 
 
 

Acquedotto Romano di Fonte Canale

Nei documenti del 1360, 1487 sino ad oggi, è riportata come Fontis Canalis.
Identifica la sorgente sotto Collepino alla destra del Chiona e che da sempre ha alimentato l’acquedotto di Spello.
Lo sfruttamento della sorgente ed il relativo acquedotto risale senza dubbio se non anteriormente al periodo romano anche se della struttura romana restano esigue tracce nella zona di Porta Montanara.
La fabbrica dell’acquedotto così chiamata nelle rubriche della spesa del XVI secolo, fu impegno costante dell’amministrazione comunale dal medioevo al 1902 anno d’inaugurazione del nuovo acquedotto.
L’archivio comunale conserva molte carte riferite alla gestione dell’acquedotto con i vari interventi manutentivi e la normativa specifica dell’uso dell’acqua.
Dagli statuti comunali del 1360 risulta evidente l’attenzione per questo bene e la preoccupazione di risolvere il problema idrico con l’individuazione puntuale di altre sorgenti capaci d’integrare l’acqua di Fonte Canale come la fonte Butironis, la fonte di monte che alimentava anche le fonti del pianello, quella dei campi Jacobuzzi, ecc.
La struttura del canale inoltre sosteneva la sede della strada per Collepino la cui manutenzione spettava da sasso posatorio in su, agli uomini della montagna mentre per la restante parte, a quelli della terra cioè agli abitanti entro le mura di Spello.
Quando l’intervento oltrepassava i limiti dell’ordinaria manutenzione una quota parte della spesa veniva ripartita anche tra i monasteri, conventi e chiese.
I romani per primi sfruttarono questa copiosa sorgente e attraverso un’opera idraulica di alto livello portarono queste acque nella città di Spello per alimentare fonti terme e quant’altro fosse necessario alla città.
Ora il percorso del tracciato dell’Acquedotto Romano è sfruttato come percorso pedonale.
 
 
 

Molinaccio alto

Nei pressi di Fonte Canale detta anche del Molinaccio, si trova il toponimo Casa Capretto (detto anche Molinaccio alto).
In documenti del 1424 e nel catasto del 1817 era denominato Valcuprera o Valcuprere, spesso era abbinato con Pescara, Pescara di Val Cuprera, oppure Val Cuprera o Pescara, ora fa parte del vocabolo Molinaccio alto; assunse anche altri toponimi: Solino, Casa Capretto ecc.
Anche quest’area risulta fortemente antropizzato dai romani infatti, durante le aratura, spesso venivano messi alla luce pezzi di tegole e di altra terracotta a dimostrazione di un insediamento di tale epoca.

Link alle coordinate: 43.021491 12.709315
 
 
 

Chiesa della Madonna dell’Illare

Sempre alla destra del Chiona nei pressi dell’area dell’attuale chiesa della Madonna dell’Illare, troviamo che la zona nel corso dei secoli ha modificato ripetutamente il toponimo passando da Villeurae, Villula, Villura, Villure tutto riportato in documenti del 1178, 1236, 1338, 1418, 1620.
Fu detto anche Illare, Madonna dell’Illare, Castello, Pian de’ Santi, Sassi di Villora.
Il toponimo Castelli – Castello persiste in documenti del 1458 e nel catasto del 1684, è l’omonimo di l’Illora o Castello detto Pian de’ Santi; questa zona è interessante poiché nel tempo assume diversi vocaboli che fanno pensare senza dubbio che derivi da un insediamento tardo romano o longobardo.
Se poi analizziamo i toponimi Pian de Santi e Croce viene spontaneo pensare che oltre all’insediamento rurale più o meno fortificato esistesse anche un cimitero.
Chiesa della Madonna dell’Illare
 
 
 

Castello di Collepino

Il castello è a quota 600 metri s.l.m. e sorge su un promontorio, affacciato sul torrente Chiona.
Le vicende di Collepino sono legate al Ducato di Spoleto, all’Abazia di San Silvestro, al Comune di Spello, alle Signorie perugine, allo Stato Pontificio.
Si parla di una prima famiglia, quella degli Acuti, alla quale successero gli Urbani; capostipite di questi ultimi fu un certo Ser Nicolò, creato cavaliere e conte palatino dall’Imperatore Ottone IV nel 1210.
Questo castello ancora oggi è una delle testimonianze più vive della storia medievale di questa valle.
Nel link si può trovare tutta descrizione e la storia.

Castello di Collepino
 
 
 

Abbazia di San Silvestro di Collepino

Anche se questa non si affaccia propriamente e direttamente sulla Valle del Chiona, merita comunque un capitolo in quanto è stata una delle Abbazie più potenti della storia di Spello tanto che nel 1178 (stando ad una lettera del papa Alessandro III) aveva sotto la sua giurisdizione ben 44 chiese tra cui quelle più importanti della città di Spello, una serie smisurata di terreni coltivati, pascoli, bosco che abbracciavano quasi tutta la fascia pedemontana del Subasio rivolta verso la valle del Chiona e che costituivano un patrimonio davvero notevole.
Da evidenziare inoltre che alcuni edifici religiosi ad uso di oratori presenti nella fascia pedemontana del Subasio furono edificati proprio da questi monaci al fine di favorire la preghiera ai contadini che lontani da casa per loro lavoravano.
Il suo smembramento portò la fine dell’Abbazia a favore del monastero francescano di Santa Maria di Vallegloria.
Di seguito il link con la sua storia:

Abbazia di San Silvestro
 
 
 

La Capretta

Il sito che sorge alla sinistra del Chiona è censito nella Carta Archeologica dell’Umbria come castelliere, quindi come insediamento; dal catasto del 1951 e in quello del 1817 circa, era detto Battifoglia o Casa Battifoglia in quanto sulla cima del castelliere preistorico è stata costruita un’abitazione che dava ospitalità a due famiglie che hanno dato origine al toponimo.
Data la sua posizione dominante sulla valle del fiume è chiamato anche “La Castellina” che poi è a poca distanza e a vista con l’altro castelliere preistorico dirimpettaio dell’Alvano.
Link alle coordinate: 43.013997 12.712708
 
 
 

Alvano

Anche questo sito è alla sinistra del fiume e censito nella Carta Archeologica dell’Umbria come castelliere quindi come insediamento preistorico.
E’ a vista dell’altro insediamento preistorico suddetto denominato “Capretta” e quello che colpisce ancora oggi di questo posto è la perfetta circolarità dell’antico insediamento che è posizionato proprio sul cucuzzolo della collina.
Ancora oggi vedendo il sito dall’alto su un qualsiasi motore di ricerca notiamo la cinta (o Vallo) che ancora si distingue poiché ha lasciato una traccia circolare ora utilizzata come strada percorribile con mezzi a motore.

Link alle coordinate: 43.008009 12.713995
 

Gualdo o Noro

Vasta area di pendio alla sinistra del Chiona.
Area denominata come Gualdi, Gualdo, Valdi in documenti che vanno dal 1236, 1338, fino al catasto del 1684, si indicava ultra clonam, a volte si trova indicato Gualdo o Noro e doveva comprendere un’ampia zona che andava dall’attuale fosso di fonte Radicina già detto del Gualdo fino alle pertinenze di Noro.
Comprendeva anche dei sottotoponimi Gualdo, Gualdus, Gualdum, che derivano dal germanico “Wald” che significa bosco, selva; in effetti la zona è per la maggior parte coperta da boschi ed il toponimo ci rende chiara l’antropizzazione dell’area da parte delle popolazioni longobarde.
 
 
 

Li Cuturuni

Questo sito è direttamente nell’alveo del fiume Chiona nel tratto tra Fonte canale e Cailino e compare in documenti del 1338 con l’appellativo “Fossatum Boteronis“, da cui la storpiatura dialettale che lo ha trasformato in “Cuturuni” che comunemente significa Ruzzoloni, capriole o cascatoni e visto il sentiero ripido che bisogna fare per arrivarci, assume un significato consono.
Negli Statuti Comunali del 1360 si indica la vena della Fonte Butiroru e si stabilisce di canalizzare la sua acqua; questa sorgente che sgorga nell’alveo del Chiona ai piedi di una roccia posta sul lato sinistro dell’alveo stesso, a circa sessanta metri più a valle del punto in cui il fosso di Scisciano si immette nel Chiona.
La gente locale chiama questo luogo “I Cutoroni” appunto, ciò fa supporre che il Chiona nei primi tratti assumeva nomi diversi come il caso che si ha per il primo tratto chiamato fosso della Granarella.
Altra ipotesi può essere quella che l’attuale fosso di Scisciano nel XIV sec. era detto dei Boteroni come nel catasto del 1817 era detto di Cailino e dai locali oggi è detto del Cerqueto.
Ulteriore ipotesi è quella che il fosso Butironi fosse quello posto sulla destra del Chiona e che nel primo tratto è parallelo alla parte mediana del fosso delle Fontanelle e verso il termine ripiega a nord sboccando quasi di fronte alla sorgente.
Ciò può essere avvalorato dal fatto che nei documenti del 1338 si nomina il fossato in merito ad un terreno posto nei vocaboli Bolglariis et Canale, il che fa supporre che i due toponimi erano adiacenti e contenevano il fossato in questione.
Questa ultima ipotesi risponde anche cartograficamente e concorda con il vocabolo Borgariorum presso la strada per Scisciano indicato nel 1407 dal notaio Matteo Pucciarelli.
Lo spostamento della sorgente dalla sponda destra a quella sinistra dell’alveo del Chiona, potrebbe essere dovuto ai sedimenti che il torrente medesimo ha depositato nel corso degli anni.
Questa sorgente fu oggetto di studio da parte del Dott. Muziarelli e dell’Ing. Urbani per utilizzare l’acqua per la produzione di energia elettrica ma l’esiguità della portata e i periodi di secca sconsigliarono l’opera.

Link alle coordinate: 43.022272 12.710674
 
 
 

Fori di sbarramento

In questo tratto di percorso il torrente fa un’ansa e si incanala fra due strette pareti di roccia molto compatta; gli abitanti, che in tratti a monte coltivavano orti accanto all’alveo ricavati da piccole radure disboscate, hanno praticato dei fori sulla viva roccia per poter conficcare dei pali trasversali al fine di poter realizzare uno sbarramento artificiale con tavole di legno.
Questo permetteva di alzare il livello dell’acqua a monte e poter così innaffiare gli orti.
Quest’opera idraulica non esiste più però ancora oggi si possono vedere i fori nella roccia scavati dai contadini.
Link alle coordinate: 43.024915 12.709147
 
 
 

Sentiero della Morte

Questo percorso era preferito dai mercanti di bestiame che percorrevano la Valle del Chiona per portare gli animali alle fiere di Spello.
Questo tratto che si staccava dalla via principale alla destra del torrente, scendeva nell’alveo e lo percorreva alla sinistra, per poi ricongiungersi con la via principale più a valle.
Questo aveva il vantaggio di poter abbeverare gli animali e farli mangiare nella boscaglia; ciò permetteva di far arrivare alle fiere bestie ben nutrite e abbeverate quindi più facile da vendere.
Questo percorso però comportava dei rischi in quanto a volte i briganti si appostavano in questo tratto per derubare i mercanti pieni di soldi di ritorno dalle fiere, da qui il toponimo che ricorda un agguato finito male.
Link alle coordinate: 43.028003 12.710292
 
 
 

Ripa de Nottulina

Si tratta del versante del monte di fronte al Sentiero della Morte alla destra del Chiona percorso dall’antica strada che saliva verso Colpernieri; strada che oggi non è più praticabile, ma che sia nella Mappa altomedievale che in una più recente ancora è segnata ( come si riporta nella galleria fotografica).
Oggi questa strada è appena visibile sul terreno solo per alcuni tratti in quanto in gran parte coperta dalla vegetazione e cancellata da frane di sassi.
 
 
 

Vasche delle pecore

In questo tratto del Chiona ci sono due vasche naturali che i pastori erano soliti usare per lavare le pecore prima della tosatura e rendere la lana bella bianca e pulita.
Non tutti gli anziani concordano in questa ricostruzione perché pare che alcuni pastori preferissero scendere il Fosso dell’Anna dall’altra parte del versante e lavarle presso il laghetto di raccolta del mulino Buccilli, tuttora funzionante e dove si producono diversi prodotti da forno oltre che dell’ottimo pane.
Quello in cui tutti concordano è invece il fatto che in queste vasche nei giorni più caldi dell’estate erano solite fare il bagno le ragazze della famiglia Cristiani di Scisciano che pare erano più emancipate e più sfrontate delle coetanee figlie di contadini.
Si racconta che queste ragazze andassero a fare il bagno con i mutandoni, ma a dorso nudo e senza reggiseno e ciò attirava l’attenzione dei ragazzi di Collepino che una volta scoperto il fatto si nascondevano dietro i cespugli per guardarle.

Link alle coordinate: 43.027894 12.710122
 
 
 

Fonte di Campo Croce

Così chiamata attualmente dai proprietari; è ai margini di Valle lunga, così detta quel tratto di costa sopra Scisciano con ampi campi coltivati.
Si tratta di una sorgente posizionata all’incrocio con la strada che porta all’abitato di Scisciano ed è provvista di vasche per lavare i panni; le donne dei contadini che vi abitavano andavano li a lavare i panni.
E’ un’altra delle numerose sorgenti che interessavano l’area.
Link alle coordinate: 43.029061 12.711969
 
 
 

Scisciano

Sorge su un piccolo colle a ridosso della sponda sinistra del Chiona; nel corso dei secoli ha assunto varie definizioni del nome infatti compare nei documenti del 1178, 1236, 1237 e 1338 con i nomi di Cisiani, Cissiani o Cisiano e Cisciano, oggi è chiamato Scisciano.
Su questa collina fino al 1817 era presente una chiesa dedicata a San Lorenzo che è già presente e attiva in un documento del 1407.
Il toponimo Cisiano, dovrebbe aver origine dal nome del proprietario dato che, in documenti del XIV secolo, troviamo nella zona ampie proprietà intestate ai figli di Cisiano.
Cisiano un nome di località che si ritrova anche in una Charta donationis del 762, al monastero di Nonantola nel Friuli.
Il toponimo fa pensare ad un prediale romano associato ad un ricco proprietario terriero; la presenza di un tempio annesso è confermata dai reperti archeologici sopra descritti, nonché dai numerosi ritrovamenti che sono venuti fuori durante le arature da parte dei contadini, che sono stati dispersi; addirittura in un campo in prossimità dell’abitazione hanno smesso persino di arare per la presenza di numerose pietre che ostacolavano il lavoro, da considerare che a quei tempi si arava con i buoi e quando l’aratro si incagliava in una grossa pietra o un muro bisognava smettere.
Oggi che ci sono i trattori e mezzi meccanici più potenti i terreni purtroppo sono stati in gran parte abbandonati.
Comunque uno dei reperti ancora presente in loco è la base di un’ara che si è conservata perché fu a suo tempo murata sulla scalinata esterna e tuttora è visibile e che provenga da un tempio è indiscutibile.
La dimostrazione che i templi nella zona erano due, uno in questa zona e l’altro sulla collina a monte dove ora sorge la chiesetta benedettina della Madonna di Colpernieri è evidente.
Probabilmente la presenza del tempio in quest’area può essere legato alla sorgente terapeutica, quindi al culto dell’acqua e alla sua energia, sappiamo per certo che i templi venivano edificati su posti dove erano presenti delle forze energetiche che erano legate spesso alla presenza dell’acqua, i romani queste forze magnetiche le chiamavano “Genius Loci” per dire che solo ed esclusivamente in quel posto si potevano percepire simili energie (oggi le percepiamo solo attraverso strumenti come i rilevatori Geiger).

Link alle coordinate: 43.026115 12.712271
 
 
 

Campo Tronno

Così chiamato dalla popolazione è situato alla sinistra del Chiona e compare con questo termine nel catasto del 1873.
Attualmente rientra nel vocabolo la Macchia poco sopra a Scisciano ed è limitato verso est dal fosso di Scisciano.
In questo luogo, circa 40 anni fa, durante l’aratura con un trattore, vennero alla luce due capitelli di pietra. una stele con rappresentazione di un busto togato, una testa scolpita in pietra e un’ara sempre in pietra.
Dei reperti resta in sito solo l’ara poiché le altre pietre, messe ad ornamento del giardino dai Sigg. Cristiani, furono trafugate.
Appena sopra al campo si trova una piccola sorgente detta “de li Trocchi” mentre sul lato nord, dentro il fosso, si trova un’altra sorgente detta dell’acqua cottora.
In tempi più recenti durante l’impianto di un uliveto sono venuti alla luce frammenti di “dolia” e altro materiale in laterizio, chiara testimonianza di un insediamento perlomeno agricolo da parte dei romani.
In una piantina citata in un libro di ricerca presso l’Accademia Costantiniana del Subasio compare una domus gentilizia romana come tra l’altro i reperti confermano.

Link alle coordinate: 43.024777 12.714921
 
 
 

Fonte dell’Acqua cottora

Così chiamata attualmente dai proprietari; è nei pressi di Scisciano entro il fosso omonimo ai margini di Vallelunga e campo Tronno.
Le acque di questa sorgente naturale sono considerate terapeutiche e adatte per la cottura di legumi particolarmente coriacei, da qui il nome, cioè acqua che favoriva la cottura.
Ancora oggi diverse persone si recano sul posto a bere questa acqua poiché pare porti beneficio ad infiammazioni intestinali ma soprattutto è benefica per chi soffre di calcolosi.
La presenza di questa sorgente terapeutica fornisce un indizio importante per giustificare la presenza della presunta domus romana e probabilmente la presenza di un luogo sacro dedicato al culto dell’acqua terapeutica; la presenza del tempio anche se non accertata è però testimoniata dalla base d’ara recuperata e murata sulle scale esterne della casa di Scisciano.

Link alle coordinate: 43.025594 12.714204
 
 
 

Caccia delle Palombe

Negli attuali catasti è contraddistinto dal termine “Macchia“.
A picco nei pressi dell’abitato di Scisciano si eleva uno sperone roccioso immerso nei boschi usato dai cacciatori che qui hanno sistemato appostamenti fissi per la caccia di questo volatile di passo.
La cima di questo poggio ha la tipica conformazione conica circolare molto evidente che non appare naturale, ma costruita, per cui andrebbe verificata l’ipotesi della presenza di un castelliere preistorico.
Questo insediamento che non compare in nessuna carta archeologica, necessiterebbe invece di ulteriori approfondimenti archeologici perché a mio avviso potrebbe nascondere delle informazioni preziose.

Link alle coordinate: 43.026584 12.718628
 
 
 

Chiesa della Madonna di Colpernieri

Questo posto rappresenta l’ultimo sito della Valle del Chiona perché è all’apice della Valle e da qui il fiume comincia il suo percorso.
Questa chiesa compare nella Carta archeologica della Regione e viene definito castelliere ed insediamento preistorico vista la sua posizione e conformazione ambientale, infatti nella Carta si riportano testualmente queste parole: “La chiesa altomedievale rappresenta l’ultimo intervento in un sito frequentato dall’uomo probabilmente fin dalla protostoria e durante tutta l’epoca romana“.
Infatti qui i romani erano di casa poiché come precedentemente descritto a Scisciano a pochi centinaia di metri insisteva una o più proprietà terriere appartenenti a qualche loro nobile famiglia, però qui deve esserci stato qualcos’altro perché sul castelliere preistorico qualche altra cosa deve essere stata fatta.
Intanto dobbiamo dire che il luogo è strategico tutt’oggi perché rappresenta un trivio di strade che portano nella valle del Topino e verso la Flaminia da una parte e verso i pascoli montani del Subasio dall’altra, e questo i romani lo sapevano bene, ma soprattutto il luogo bene si prestava ad una costruzione di un tempio, ma non un tempio qualsiasi che certamente sarà stato dedicato a qualche divinità legata alle greggi e alla transumanza, ma un tempio finalizzato all’osservazione del volo degli uccelli il cui scopo principale era quello di predizione del futuro.
Quale posto meglio di questo potevano scegliere se non questa piramide naturale di terra proiettata proprio sulle rotte dei migratori che anche loro hanno da sempre fatto di questa valle un percorso millenario.
Sapendo quanto superstiziosi erano i romani non meraviglia che proprio qui abbiano costruito il loro punto privilegiato per la postazione di un augure che poteva facilmente osservare il volo degli uccelli.
E’ chiaro poi che con l’avvento del cristianesimo il tempio fu riconvertito e vi fu costruito un luogo di culto che ha cancellato le tracce del paganesimo, ma non ha cancellato le pietre che anzi sono state recuperate e utilizzate per il nuovo edificio; i benedettini erano maestri del riutilizzo, infatti nella loro logica, non solo costruivano dove già c’erano luoghi di culto pagani, ma non buttavano nemmeno la più piccola pietra.
E che cosa rimane allora di questo antico tempio?
Due cose in particolare, la prima è che la tradizione che lega il posto al passo dei migratori ha resistito fino quasi alla fine del 900 poiché in questo posto veniva fatta la festa del cacciatore, un modo diverso di considerare gli uccelli, ma una rappresentazione ancestrale di un rito antico; la seconda cosa che rimane è più materiale e per scoprirlo basta entrare in chiesa e accorgersi che la base dell’altare è una base di ara romana, la stessa fattura di quella che è murata nella scalinata di Scisciano, ecco perché affermo che i tempi erano due.
Forse tutto quello che ho affermato può far parte di fantasie, congetture, ipotesi, però il fascino di questa valle è rimasto nella sua integrità e chiunque vuole immergersi nella natura ancora oggi transita a piedi, in bicicletta o a cavallo questo antico percorso che ha visto greggi transumanti, pellegrini e mercanti e ancora suscita un particolare fascino.

Chiesa della Madonna di Colpernieri
 

Nota di ringraziamento

Questo post è stato realizzato grazie alla collaborazione di diverse persone che ognuna per propria parte ha fornito il proprio prezioso contributo; mi preme quindi ringraziare Cerquiglini Giancarlo che grazie alla sua conoscenza dettagliata del territorio e con la sua pazienza mi ha accompagnato a visitare gran parte dei posti sopra descritti; ringrazio Mariangela Quinti per la sua preparazione storica e per aver fornito la riproduzione della stele con il togato romano che era presente a Scisciano fino a pochi anni fa e per aver fornito una mappa catastale della suddetta area.
Ringrazio Giampaolo Moriconi che anche lui pazientemente mi ha accompagnato a vedere posti e particolari che ancora mancavano per completare la descrizione territoriale e ringrazio altresì Feliciano Garofani abitante di Collepino una fra le ultime memorie storiche dei fatti e degli aneddoti che sono stati capillarmente descritti.
 

Fonti documentative

Adriano Tini Brunozzi – Appunti sulla toponomastica spellana in Bollettino storico della Città di Foligno – 1995
Don Venanzo Peppoloni, Tini Brunozzi Adriano – 1360 Statuti di Spello copia del 1540 – 2015
Romano Cordella – I graffiti di San Claudio a Spello in Bollettino Storico della città di Foligno 2012 – 2013
Stanislao Fioramonti, Suor Eliana Pasini – Qui il Signore ci vuole: dall’Abbazia di San Silvestro all’Eremo della Trasfigurazione – 2023
Sampalmieri Padre Virgilio – Notizie sui castelli di Collepino, San Giovanni Armenzano – 1988
AAVV – I cammini Lauretani un progetto di itinerario culturale Europeo – Verdiana Network con la collaborazione del LabAEP febbraio 2010/febbraio 2011
Mario Sensi, Luigi Sensi – Fragmenta Hispellatis Historia Istoria della terra di Spello di Fausto Gentile Donnola – 1985

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