La Grotta di Selvascura o Grotta dei Templari (Santuario del Crocifisso) – Bassiano (LT)

Il Santuario custodisce una grotta con affreschi trecenteschi nonchè un bellissimo crocifisso seicentesco in legno scolpito da fra Vincenzo Maria Pietrosanti, un frate francescano nativo di Bassiano (1624-1694); dello stesso scultore si conoscono almeno sette altri crocifissi scolpiti sparsi per il Lazio.

 

Cenni Storici

Bassiano (LT) è un borgo dei monti Lepini di origine volsca, posto a 562 metri fra boschi di querce, lecci e castagni; è circondato da mura castellane medievali i cui camminamenti sono tuttora percorribili.
A Bassiano è nato il celebre stampatore e tipografo Aldo Manuzio (1449-1515), al quale il paese ha intitolato una statua davanti alle mura e il Museo delle Scritture in via Sezze.
Seguendo via fra Vincenzo Pietrosanti, chiamata anche via della Croce, in circa 3 km dal centro del paese si giunge in località Selvascura al Santuario del Crocifisso, incastonato in una valletta circondata dai monti Lepini.
Si trova addossato alla parete del monte, all’interno di una grotta naturale, sormontato da una cupola tondeggiante medievale.
Dal ‘300 al ‘400 fu abitato dai Francescani “Fraticelli” o “Spirituali“, che facevano vita eremitica ed erano dissidenti dall’Ordine per le dispute su come praticare la povertà francescana; papa Celestino V li autorizzò a seguire l’osservanza integrale della Regola del loro fondatore, ma dopo di lui furono avversati dalla Chiesa e infine condannati come eretici.
Attualmente con una doppia scalinata si accede al santuario, che è formato da tre ambienti sovrapposti.
Il primo, sulla destra, è una modesta cappella con un affresco della Madonna col Bambino e un S. Onofrio eremita tutto ricoperto da barba e capelli; quindi attraversando un’anticamera e percorrendo un buio passaggio si giunge al romitorio di Selvascura (Grotta dei Templari), ricavato da una caverna naturale di forma quasi rettangolare, con le pareti tutte affrescate probabilmente nella prima metà del ‘400 dai Fraticelli o dai Cavalieri Templari che, secondo una tradizione non documentabile, si rifugiarono qui dall’abbazia di Valvisciolo dopo la soppressione dell’ordine (1312) decretata dal re di Francia Filippo il Bello con l’appoggio di papa Clemente V, francese.
Nonostante il grave deterioramento dovuto allo stillicidio dell’acqua, si possono ancora distinguere 13 pannelli e una nicchia che risentono fortemente della maniera tardo trecentesca.
Nella parete a destra dell’accesso abbiamo: una Madonna col Bambino, la Maddalena, una Annunciazione di scuola fiorentina, l’Adorazione del Crocifisso, un personaggio su una scala trafitto da una freccia, una Scena di animali, un Cristo benedicente tra quattro Santi.
A sinistra è San Leonardo, San Giacomo, S. Francesco con papa Leone IX, un cinghiale che allatta i suoi cuccioli, Carcerati che si liberano dalle catene, la Madonna della Palma e l’incredulità di Tommaso.
In una nicchia è San Giorgio e il drago; sul pilastro di destra S. Nicola di Bari; su quello di sinistra S. Antonio Abate; sul soffitto un S. Michele ottocentesco.
Salita un’altra breve rampa di scale, da un piccolo portico rettangolare si entra infine nella seicentesca cappella circolare delle Palme, costruita proprio per accogliere il grande Crocifisso scolpito nel 1673 da un frate francescano nativo di Bassiano, fra Vincenzo Maria Pietrosanti (1624-1694).
Egli entrò a 15 anni nei Frati Minori Osservanti della Provincia Romana come fratello laico falegname (non fu mai sacerdote).
Nel 1662 era nel convento romano di Aracoeli, dove aveva l’incarico di custode della salara, il complesso di magazzini dove si conservava il sale, bene allora prezioso.
Dimorò alcuni anni (almeno dal 1669 al 1682) nel convento di Nemi, del quale fu anche guardiano; da una memoria raccolta dal P. Antonio da Cipressa sappiamo che nel 1672 nel Santuario di Nemi si iniziò la costruzione del Coro superiore “ad opera e sotto la direzione di Fra Vincenzo“.
Alla sua mano sono pure attribuiti il monumentale Pulpito con bassorilievi floreali e i sei Confessionali in noce con colonnine tortili sormontate da capitelli corinzi tuttora presenti nella Chiesa di S. Maria del Giglio a Bolsena.
Per il refettorio del convento di S. Francesco a Cori scolpì 34 stalli di grande valore artistico, rappresentando nei capitelli dei pilastri scanalati alcuni episodi della vita di S. Francesco.
Per l’altare maggiore della chiesa di Aracoeli scolpì le statue dei santi Giovanni da Capistrano e Bernardino da Siena e curò la sistemazione a stucchi della parte superiore della navata centrale.
Dal 1683 tornò all’Aracoeli, dove morì il 25 marzo 1694 a 70 anni e fu sepolto il 26 marzo all’ora terza.
P. Samuele Platani da Farnese (+ 1807) nel “Necrologio della Provincia Romana“, al giorno 25 marzo 1694 scrive:
Nel Convento di Aracoeli, F. Vincenzo da Bassiano, con fama di santità. E’ fama costante che questi fu sempre intento alla contemplazione della Passione di Cristo. Essendo alquanto perito nell’arte della scultura, scolpì molte immagini del SS. Crocifisso, conosciutissime per la gloria dei miracoli ed il concorso dei fedeli. Sono particolarmente venerate quelle dei conventi di Nemi e di Farnese: al lavoro delle medesime non attendeva se non nei giorni di venerdì, dopo aver flagellato a sangue il proprio corpo, in ginocchio e digiunando a pane ed acqua, tanto che possono dirsi effetto della pietà più che dell’arte e della tecnica“.
Fra Vincenzo era dunque, come scrive p. Agostino Gemelli, uno di quei “crocefissari” che fiorirono nel ‘600 nei conventi francescani soprattutto dell’Italia centro-meridionale e che si specializzarono nell’arte di suscitare “lacrime purificatrici di penitenza” mediante la scultura nel legno di Gesù in croce.
Il culto di Cristo Crocifisso era peraltro peculiare dei Frati Minori, che lo proponevano in ogni loro chiesa sia in ricordo delle stimmate di Francesco, sia perché in quella devozione riconoscevano una delle principali vie di conversione.
Caposcuola dei “crocefissari” francescani del ‘600, tutti fratelli laici, fu frate Umile Pintorno da Petralia, riformato siciliano, maestro anche di esecuzione artistica: prima di iniziare una scultura si confessava e comunicava, si flagellava e digiunava, si chiudeva in cella a meditare i momenti della Passione, lavorava, pregava, coloriva, piangeva, imprimendo a ogni particolare di Cristo sofferente (la grande corona di spine, le piaghe copiosamente sanguinanti, gli arti feriti o contusi…) un verismo misurato e commovente, mai ripetitivo, con risultati che “trasfondono nell’osservatore la pietà dello scultore“. Seguaci di tale maestro, per i quali quest’arte era tutt’uno con l’apostolato, furono tra gli altri Andrea da Chiusa, Filippo da Palermo, il migliore di tutti Innocenzo da Petralia; Egidio calabrese, il perugino Giovanni da Corciano, il novarese Corrado da Cannobio (m 1731), il siciliano Paolino di Valdinoto, artefice del crocifisso del convento di Sezze; il cosentino Diego da Careri, che intagliò il San Francesco dell’altar maggiore di S. Francesco a Ripa; l’altro siciliano Stefano da Piazza Armerina e il calabrese Angelo da Aprigliano.
Questi due ultimi lavoravano insieme e scolpirono, tra l’altro, il crocifisso per il convento di Vicovaro e quello, con la Maddalena ai piedi della croce, per il convento di Subiaco, nonché un altro Crocifisso e una Addolorata, bellissimi, per il convento di Carpineto; frate Angelo eseguì pure il Crocifisso miracoloso del convento di S. Giovanni Battista a Piglio (1686).
Il metodo di lavoro del maestro fu adottato anche da fra Vincenzo da Bassiano, di cui si conoscono almeno sette crocifissi scolpiti, presenti oggi nei conventi di Caprarola (VT) (23 aprile 1662); di Nemi (RM) (19 maggio 1669); nella chiesa di S. Agata a Ferentino (FR) (1669 c.); nel santuario del Crocifisso presso Bassiano (LT) (1673); nel convento di S. Rocco a Farnese (VT) (22 maggio 1684); nel Sacro Ritiro di S. Francesco presso Bellegra (RM); nella cappella del Crocifisso della chiesa di Aracoeli in Roma; questi ultimi due eseguiti nell’ultimo decennio della vita del religioso. Del Crocifisso di Nemi, uno dei più famosi, la tragicità dell’espressione e le particolarità del volto diedero subito adito alla leggenda che la testa fosse stata fatta in modo miracoloso.
Scrive P. Casimiro da Roma (1744):
Fu questa lavorata dal divoto F. Vincenzo da Bassiano nei soli giorni di Venerdì, nei quali macerava il proprio corpo con pane, ed acqua, e flagellavalo con aspre discipline, pregando istantemente il Signore che questa di lui immagine riuscisse di benefizio alle anime: ed è fama costante ch’egli un dì ritrovasse il di lei volto perfettamente compiuto di mano invisibile“.
Fra Vincenzo fa emergere dalla sua opera il dramma della sofferenza del Crocifisso: Cristo è rappresentato a dimensioni naturali e, secondo i caratteri della scultura barocca, con un’accentuata espressività mirante a coinvolgere lo spettatore (viso emaciato, espressione sofferente, posizione contratta del corpo sparso di sangue ecc.); la corona di spine infissa sul capo, il corpo straziato da evidenti piaghe, vistose quella del costato e quella sulla spalla causata dal peso della croce, le ferite dei chiodi nelle mani e nei piedi fortemente deformati dal peso del corpo che sopportano, il torace inarcato che evidenzia la fatica nel respiro.
Ma, scrive Claudio Mannoni, un momento della passione fra Vincenzo ha saputo mirabilmente esprimere: il Cristo che si rimette alla volontà del Padre mutando un’espressione di dolore in un abbozzo di sorriso; egli riesce a comunicarci la consapevolezza di Cristo morente che nel totale abbandono al progetto di Dio sarà operata la salvezza per l’intera umanità.
L’intento del pio frate nello scolpire un crocifisso a beneficio delle anime appare perfettamente compiuto. Sono caratteri presenti anche nel Crocifisso di Bassiano, scolpito in un unico tronco di pero e donato al suo paese dall’autore, quando era guardiano del convento di Nemi.
Da un atto notarile del 23 settembre 1673 risulta ” … quod R.D. frater Vincentius de Pietrosantis de Bassiano ordinis minorum observantiae S. Francisci, ad praesens guardianus V Conventus de Nemore”, ha scolpito un’immagine del SS. Crocifisso ” … et satisfacendo voluntati totius populi Bassianesis de auctoritate A.R.D. Patris Provincialis sponte … cedit et concedit praefatam V Statuam dictae Comunitati et toti populo Bassiani“.
Già era stata eretta una Cappella per la conservazione del simulacro presso la Chiesa di S. Maria delle Palme, “in agro Bassiani in Contrada nuncupata Selva oscura” e in paese fu istituita anche una Confraternita incaricata di diffondere la devozione al SS. Crocifisso ed il decoro della suddetta Cappella.
La festa liturgica del luogo è quella dell’Esaltazione della Santa Croce, il 17 settembre; a Bassiano è però tradizione celebrare la messa al santuario del Crocifisso il lunedì di Pasquetta.
 

Fonti documentative

Canzoncine popolari e preghiere in onore della Santissima Trinità e del Santissimo Crocifisso venerati a Bassiano (Latina), (a cura del Sac. Angelo Lambiasi), 1942, rist. 1985.
Emanuele Romanelli OFM – Fra Vincenzo e i suoi Crocifissi – su Google;
Colombo Angeletti OFM – Necrologio della Provincia Romana dei SS. Apostoli Pietro e Paolo – Roma 1969, p. 222;
Damiano Neri OFM – Scultori francescani del Settecento in Italia – Pistoia 1952;
 

Nota

Il testo è di Stanislao Fioramonti, le foto sono di Francesco Fioramonti; la visita è stata effettuata il 20 marzo 2024.
 

Mappa

Link alle coordinate: 41.564057 13.009686

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