La Certosa di Trisulti – Collepardo (FR)

La Certosa di Trisulti è gestita dalla Regione Lazio ed è aperta gratuitamente alle visite.

 

Cenni Storici

Da Collepardo (m 585) una strada provinciale asfaltata alla metà del ‘900 ha sostituito l’antica mulattiera (oggi sentiero CAI 8b) chiamata via Marsicana, che saliva verso i monti Ernici per superare uno dei tre valichi montani (Tres Saltus) che danno il nome a Trisulti e arrivare a Morino in Valle Roveto (Abruzzo Marsicano).
Dopo circa 8 km la provinciale giunge a Trisulti in località Cappellette (m. 831), due edicole sacre che fanno da ingresso all’area monastica della Certosa.
Da qui continuando a piedi per la strada asfaltata (oppure appena a monte di essa con il sentiero-natura che collega le Cappellette al monastero di San Domenico), subito si entra nell’ombra di un magnifico bosco demaniale, chiamato Selva d’Ecio.
Sono75 ettari di foresta concessa nel 1995 dal Ministero delle Finanze al Corpo Forestale dello Stato per consentire un’adeguata azione di recupero e di salvaguardia ambientale; è perciò sottoposta a numerosi vincoli ambientali, paesaggistici e storico-archeologici.
La Selva è situata tutt’intorno all’antica certosa di Trisulti, i cui monaci cistercensi oltre alla preghiera e al lavoro manuale gestivano anche una farmacia naturale aperta al pubblico.
E’ un bosco di montagna situato in una zona impervia a scarsissima densità abitativa, caratterizzato da querce caducifoglie di età media di circa 150 anni, dove la specie maggiormente rappresentata è il cerro (Quercus cerris) al quale si associano altre querce nonché carpini, faggi, aceri e sorbi.
Sono presenti anche aree rimboschite dalla fine degli anni Sessanta con Pino nero (Pinus nigra), abete bianco (Abies alba) e abete rosso (Picea excelsa).
Questa remota area ciociara dal 1400 circa al 1870 fu zona di confine tra lo Stato Pontificio e il Regno borbonico di Napoli.
L’ampio territorio ha un notevole interesse storico anche per le testimonianze connesse con il brigantaggio comune e reazionario contro i Savoia.
Oltre alla presenza di un confine facilmente valicabile che consentiva di passare da una parte all’altra secondo le necessità, ciò che fece di questa zona l’area preferita come rifugio per i briganti fu anche la vastità e la durezza del territorio montano degli Ernici e la vicinanza dei monasteri.
Un rifugio prescelto anche da uno dei più celebri banditi dell’Italia meridionale, il brigante Luigi Alonzi detto Chiavone, nativo di Sora, ma che non gli bastò, perché fu catturato e fucilato dai soldati italiani in un bosco nei pressi della Certosa di Trisulti il 28 giugno 1862, a soli 37 anni di età.
Dopo una camminata di appena 15-20 minuti in questo magnifico bosco, si esce allo scoperto in un piazzale segnato da una croce: è l’arrivo alla maestosa, bianca (nel verde!) Certosa di Trisulti (m. 825), grande complesso di edifici fondato nel XIII secolo ma più volte trasformato; quelli attuali risalgono in gran parte alla sistemazione del XVII-XVIII secolo.
I monaci certosini vi rimasero fino al 1947, poi per carenza di vocazioni dovettero lasciare quel luogo dove si erano stabiliti da più di 700 anni.
Come bene immobile del demanio culturale dello Stato italiano, la Certosa fu allora data in concessione dal Ministero dei Beni Culturali ai monaci Cistercensi della Congregazione di Casamari (Veroli, FR), che visono rimasti fino al mese di dicembre 2019.
Gli ultimi religiosi a lasciare la Certosa sono stati Don Ignazio Rossi, ultimo priore della casa monastica, e fra Domenico Palombi, monaco cistercense della Congregazione di Casamari a lungo vissuto nella comunità di Trisulti (è morto nell’ospedale di Frosinone, all’età di 86 anni, il 15 giugno 2021).
Fra Domenico era conosciuto come il frate erborista, e la sua scienza l’aveva “coltivata” proprio nei boschi di Trisulti e Collepardo, scrivendo anche alcuni libri sulle piante medicinali del Lazio e dintorni.
Sempre gioviale e disponibile, pronto ad accogliere tutti sul grande portone di Trisulti, fra Domenico è stato l’ultimo erede della grande tradizione dei monaci erboristi di Trisulti, che con le preziose erbe raccolte intorno alla Certosa preparava rimedi farmacologici ed essenze nutritive con le quali amava deliziare anche i suoi ospiti, insaporendo minestroni e risotti.
Oggi la Certosa di Trisulti è gestita dalla Regione Lazio e aperta gratuitamente alle visite.
Papa Innocenzo III (Lotario di Segni), nato a Gavignano nel 1160-61, fu uno dei grandi personaggi del Medio Evo; tra le molteplici opere e imprese realizzate per la Chiesa in 18 anni e mezzo di pontificato (1198-1216), promosse anche la costruzione della Certosa di Trisulti.
Narra la leggenda locale che la sua famiglia aveva un palazzo dalle parti di Trisulti e quando Lotario vi si ritirava da Cardinale (1190-1198), amava far visita a un eremita della Grotta delle Cese (a un paio di chilometri dalla Certosa).
Un giorno lo trovò in estasi per una visione e seppe che lui aveva visto salire al cielo un vescovo, un priore certosino e una vedova.
La cosa risultò vera perché realmente durante la visione quelle tre persone erano morte, e in odore di santità.
Allora il cardinale si ripromise di fondare una Certosa in quel luogo santo e quando qualche anno dopo divenne Papa mantenne la promessa.
Nel 1204 dette inizio ai lavori nei pressi dell’antico monastero di San Bartolomeo; sostituì però quei benedettini, per la loro scarsa osservanza della Regola, con i monaci certosini, e a questi affidò la costruzione.
Nel settembre 1208 giunsero finalmente a Trisulti 18 monaci professi, 12 inservienti e 4 fratelli conversi (con 18 cavalcature) provenienti dalla certosa piemontese di Casotto (Garessio CN).
La nuova chiesa, sempre dedicata a san Bartolomeo apostolo oltre che all’Assunta e a San Giovanni Battista, fu consacrata personalmente da papa Innocenzo III il 17 luglio 1211.
 

Aspetto

La prima cosa che caratterizza la Certosa è la chiesa dedicata a San Bartolomeo; questa è a navata unica e divisa in due ambienti da una parete simil-iconostasi, come spesso si trova nelle chiese dei monasteri ed è ricca di particolarità artistiche (pitture, marmi, coro di legno lavorato, affreschi) soprattutto del 6-700.
Da vedere poi, di fronte alla chiesa, il cosiddetto “Palazzo di Innocenzo III“, oggi sede di una Biblioteca statale da 35.000 volumi.
Nel settore del monastero sorge il refettorio e il grande chiostro porticato, rettangolare, settecentesco e la famosa “farmacia” risalente al sec. XVII, con una raccolta di suppellettili originarie e affreschi di Filippo Balbi.
Questo pittore, nato a Napoli nel 1806 e morto ad Alatri nel 1890, è famoso soprattutto per la “Testa anatomica“, un olio su tavola del 1854 esposto l’anno dopo nei padiglioni dello Stato pontificio dell’Esposizione universale di Parigi, dove fu premiato e colpì per la sua fantasia grottesca e per l’accuratezza anatomica dei corpi umani posti a rappresentare muscoli e ossa della testa di un uomo.
Ma è in particolare con la Certosa di Trisulti che Filippo Balbi divise vita e opere, lavorando soprattutto nella Farmacia seicentesca, nel cui ingresso e nel salotto d’attesa ha rappresentato a figura intera il “monaco Benedetto Ricciardi“, responsabile della spezieria intorno al 1857; ha dipinto poi la Madonna Immacolata all’esterno presso l’ingresso e ancora preziose nature morte, animali, figure caricaturali di popolani raffigurati con vivido realismo e secondo complesse simbologie alchemiche cui alludono numerose iscrizioni.
Resta solo il ricordo, nella grande voliera di fronte alla farmacia, dell’aquila che per tanti anni (negli anni ’60 e ’70 del Novecento) è stata l’attrazione dei visitatori della Certosa, specie dei più piccoli.
E’ da ricordare in ultimo che i prodotti agricoli principali per il sostentamento dei monaci di Trisulti (impossibili da ottenere in un’aspra zona montana come quella della certosa) sono stati per secoli coltivati nella grancia o castello di Tecchiena, località della pianura presso Alatri, a circa 15-20 km dalla certosa stessa.
A questa era stata venduta nel 1349 dalla Chiesa e i monaci vi impiantarono una vera azienda agricola che nella seconda metà del XVIII secolo fu trasformata nell’attuale complesso della grancia (granaio) e che gestirono fino agli inizi del Novecento.
In essa si trasferivano anche i frati, soprattutto i conversi, per i lavori stagionali.
 

Nota

Il testo è di Stanislao Fioramonti mentre le foto sono di Francesco Fioramonti.
 

Fonti documentative

G. Sanità – Collepardo nella sua storia e nelle sue memorie – Roma 1972;
Atanasio Tagliente – La Certosa di Trisulti – 1987, ristampa Edizioni d’arte Marconi, Genova 2002;
 

Mappa

Link alle coordinate: 41.779478 13.397322

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>