Isola di Ponza: i suoi martiri e le grotte di Pilato – Ponza (LT)

Un’isola ricca di storia nonché di meravigliosi angoli per trascorrere una vacanza da sogno.

 

Isola di Ponza

E’ la più vasta e importante isola dell’arcipelago Ponziano, 33 km al largo di Capo Circeo.
Lunga quasi 8 km, larga fino a 1800 metri, superficie poco più 7 kmq, alta fino a m 283 (monte “La Guardia“).
Fa parte del Parco Nazionale del Circeo.
Le coste, alte e frastagliate, sono molto suggestive e fanno dell’isola una meta di villeggiatura (sport nautici, pesca e caccia subacquea), interessante l’interno.
Abitata come tutto l’arcipelago in età neo-eneolitica, fu poi terra di Ausoni e Volsci; i Romani la colonizzarono nel 313 a. C., vi costruirono ville, mura, un piccolo anfiteatro, grotte-piscine (grotte di Pilato) infine ne fecero un luogo di deportazione per esiliati.
A Ponza giunsero anche i cristiani perseguitati e molti subirono il martirio.
Pressoché abbandonata per le incursioni saracene quando dipendeva dai duchi di Gaeta (sec. IX), dalla Chiesa e dagli Aragonesi (1435), divenne possesso dei duchi di Parma (1588) e poi dei Borbone di Napoli, ai quali rimase anche dopo l’occupazione francese (1815).
Furono i Borboni, nel 1771, a volere il ripopolamento dell’arcipelago con coloni e pescatori provenienti dal Napoletano, che aspiravano a una vita migliore.
Arrivarono soprattutto da Ischia (20 barche) e da Torre del Greco (50 barche per la pesca del corallo, tradizione che impiantarono a Ponza); e ancora oggi si conservano cognomi ischitani (Scotto, Migliaccio, Mazzella…) e l’ibrido dialetto di intonazione napoletana.
Ferdinando IV fece poi costruire le fortificazioni dal suo ministro anglo-napoletano Antonio Winspeare e dall’architetto Francesco Carpi; e soprattutto fece costruire il delizioso porto di Ponza, con le case colorate schierate ad anfiteatro.
Il regolamento era uguale per tutti i coloni ai quali, “dovendo rendere abitabili ed in stato di coltura le isole deserte e incolte, venivano concessi in enfiteusi i terreni assegnati“.
A chi non aveva mezzi si concedeva di pagarsi la costruzione della casa con rate annuali.
Ai coloni spettava una parte delle rendite ricavate dallo sfruttamento dei terreni sull’isola, e, tra i benefici, la presenza di un medico condotto obbligato a curarli gratis.
Il porto peschereccio e turistico di Ponza è collegato con Formia (39 miglia), Anzio, Terracina.
Specialità locali: pomodorini, fave, lenticchie, fagioli; vino bianco e moscato; frutti di mare, aragoste, cernie.
 

Ponza porto

Conta (2000 abitanti) ed è il capoluogo del comune omonimo (3800 ab.) comprendente l’intera isola e la frazione di Le Forna (2000 ab, con l’altra parrocchia dell’Assunta); comprende pure le isole disabitate di Palmarola e di Zannone e l’isolotto di Gavi: questo è la prosecuzione nord-orientale dell’isola, separata dalla Punta dell’Incenso da un canale di 120 metri e culmina a 105 metri; vi si accede in barca da Ponza per gli sport nautici lungo le coste e la caccia subacquea.
L’abitato di Ponza è sulla sponda orientale dell’isola, ad anfiteatro sulla baia, chiusa a Est dalla Punta della Madonna.
Ha una parrocchiale moderna (chiesa della SS. Trinità, parrocchia dei SS. Silverio e Domitilla) che alla base della sua cupola ha raffigurati i santi Venanzio, Anastasia, Montano, Candida (patrona di Ventotene), Clitennestra, Teodora, Nereo, Achille.
Tra le altre la scritta: Cistercium Mater Nostra Benedictus que Pater (in ricordo dei monasteri benedettini e poi cistercensi dello Spirito Santo a Zannone e di S. Maria a Ponza, distrutti dai pirati musulmani).
A questa bella isola del Tirreno sono legate storie o leggende di tanti cristiani, connesse con due sistemi di grotte presenti nei pressi del porto: quelle di Flavia Domitilla e degli altri martiri ponzesi e quelle di Ponzio Pilato dall’altra.
Quest’ultimo avrebbe preso il suo nome (Ponzio) proprio dall’isola dove era stato inviato dal Senato romano per sedare una rivolta, prima di essere destinato a Gerusalemme dove entrò nella vicenda di Gesù.
 

Grotte di S. Flavia Domitilla e altri martiri

le grotte stanno a livello dell’acqua sotto la piazzetta della chiesa della Trinità a Ponza Porto, a pochi passi dai resti del porticciolo romano dell’isola.
In esse tre fogli dattiloscritti narrano la storia (o la leggenda) dei martiri di Ponza e di S. Flavia Domitilla, imparentata con l’imperatore Domiziano, che la esiliò a Ponza perché cristiana; fu martirizzata a Terracina nel 101.
Scrive Eusebio vescovo di Cesarea (c. 313) nella sua Storia Ecclesiastica: “Tramandano che nell’anno XV di Domiziano (95 d. C.) Flavia Domitilla, nipote per parte della sorella di Flavio Clemente, che era allora uno dei consoli di Roma, insieme con numerose altre persone fu deportata nell’isola di Ponza per aver confessato Cristo“.
San Girolamo racconta invece che nel 385 S. Paola con il figlio Eustochio e un gruppo di ancelle, partita da Ostia per la Terra Santa, con la sua nave “raggiunse l’isola di Ponza, un tempo nobilitata dall’esilio di Flavia Domitilla, che tra le donne vissute sotto il principato di Domiziano fu quella di più illustre memoria, giacché aveva testimoniato il nome di Cristo; e scorgendo le celle in cui Flavia aveva durato un lungo martirio, come se avesse le ali Paola desiderava di scorgere Gerusalemme e i luoghi santi. Pigri le sembravano i venti, lenta ogni velocità“.
La vicenda di Flavia Domitilla è sempre unita ai suoi servi Nereo e Achilleo, che però storicamente sono vissuti in un’epoca diversa da quella di Domitilla.
Del martirio di Nereo e Achilleo avvenuto probabilmente sotto Diocleziano all’inizio del IV secolo è testimone papa Damaso (366-384), che raccolse i corpi dei santi in una cripta e vi scrisse questa epigrafe:
I martiri Nereo e Achilleo erano militari che esercitavano un ufficio crudele, in adempimento degli ordini del tiranno, pronti a perpetrare atti di violenza. Ma ecco un evento provvidenziale e straordinario: improvvisamente placati, fuggono, disertando dagli empi alloggiamenti del loro comandante; gettarono gli scudi, le insegne, i dardi sanguinosi; avendo confessato la loro fede cristiana sono lieti di esser partecipi dei trionfi di Cristo e di subire il martirio. Credete, da quanto vi dice Damaso, nella potenza della gloria di Cristo!“.
Una leggendaria Passione del V secolo racconta invece che Nereo e Achilleo, fratelli eunuchi, erano i servi di Flavia Domitilla, figlia di Plautilla, cugina del console Flavio Clemente e zia dell’imperatore Domiziano; furono loro a indurre Domitilla a convertirsi al cristianesimo.
Di questa ragazza bellissima s’invaghì Aureliano, giovane patrizio romano che chiese di sposarla e Domitilla accettò la proposta.
Un giorno che si preparava a incontrare il suo promesso sposo, i suoi servi le spiegarono il merito della purità verginale e la gioia dell’anima di avere per sposo Gesù Cristo.
Domitilla mostrò dapprima fastidio, poi molto interesse a quei discorsi ed esclamò:
Disponete soltanto che io possa essere gradita a Gesù e possa diventare sua sposa“.
I due servi raccontarono le sue intenzioni a papa Clemente, suo cugino, davanti al quale essa fece voto di perpetua castità e da lui ricevette il santo velo, com’era costume a quel tempo.
Quando Aureliano seppe dell’accaduto s’infuriò; prima cercò di riportare a sé Domitilla con la dolcezza e le lusinghe poi, visti inutili i suoi tentativi, informò Domiziano, che disse:
Nessuna pietà per i cristiani, anche se si trattasse di congiunti“.
Così Domitilla fu arrestata per infedeltà agli dei, all’imperatore e ad Aureliano e deportata nell’isola di Ponza insieme ai servi Nereo e Achilleo e al messo Auspicio; era l’anno 93.
Nell’isola i deportati scavarono delle celle nel bianco tufo della collina vicino al porto e vi si riunivano in preghiera e in penitenza; presso le celle edificarono anche una chiesa dedicata al Salvatore, attorniata da varie stanze.
Arrivando altri cristiani a Ponza il complesso si ingrandì e fu chiamato “Martyria“.
Nell’anno 98 Aureliano tornò a Ponza per rivedere le intenzioni di Domitilla sul loro matrimonio; trovandola più che mai determinata nella sua scelta, preso dall’ira, si scagliò contro Nereo e Achilleo che riteneva responsabili della conversione di Domitilla, li fece flagellare e poi li inviò a Terracina dal giudice provinciale Minuzio Rufo, che li sottopose a terribili torture con aculei e lame di ferro infuocate ai fianchi e il 12 maggio del 98 li fece decapitare.
Alla loro partenza Domitilla li aveva salutati dicendo: “Ci rivedremo in Cielo“, mentre Auspicio raccolse le loro salme e le seppellì a Roma nel campo di Flavia Domitilla, sull’Ardeatina.
Dopo tre anni Aureliano tornò a Ponza e riprese a tormentare Domitilla, che lo respinse di nuovo.
Aureliano allora passò alle minacce: convinse due ragazze di Ponza, Teodora ed Eufrosina, ad avvicinare Domitilla e a suscitare in lei voglie amorose.
Le due fanciulle magnificarono a Domitilla le virtù e le convenienze del matrimonio e la bellezza e la ricchezza del suo promesso sposo Aureliano, disprezzando invece il celibato, la verginità e la vita casta.
Domitilla rispose alle loro lusinghe con tanta dolcezza e forza da convincerle della felicità di un amore più grande e puro come quello per Gesù.
Teodora ed Eufrosina, impressionate da quelle parole, finirono per convertirsi esse stesse a Cristo; fecero voto di castità, indossarono l’abito di penitenza e giurarono di restare per sempre nella “Martyria” accanto a Domitilla.
Aureliano allora decise di sposare Domitilla con la forza.
Organizzò le nozze a Ponza e invitò i suoi amici di Roma e i notabili dell’isola; fece venire un’orchestrina per rallegrare la cerimonia e diede inizio alla festa.
Dopo il pranzo lo sposo, contento per le avvenute nozze, cominciò a ballare; Domitilla invece triste e afflitta in una stanza adiacente pregava e invocava Dio perché la liberasse da Aureliano e conservasse la sua purezza:
Ora, o Signore, è il tempo in cui mi dovete assistere nel massimo pericolo nel quale mi trovo affinché non interrompa la fedeltà che vi ho giurato“.
E mentre Domitilla pregava, Aureliano che danzava all’improvviso crollò per un colpo apoplettico; Domitilla fuggì, raggiunse le sue compagne e insieme ringraziarono Dio per averla liberata, mentre e gli amici e gli invitati, compreso il terribile castigo divino, si convertirono tutti al Cristianesimo!
Quando la notizia della morte di Aureliano giunse a Roma, suo fratello Lussorio accusò Domitilla di averlo ucciso con delle fatture e chiese all’imperatore Traiano di arrestare e processare Domitilla con le sue ancelle Eufrosina e Teodora; così le tre vergini furono trasportate a Terracina e giudicate dal magistrato.
Lussorio invitò Domitilla e compagne ad abbandonare il Cristianesimo e a sacrificare agli dei pagani, ma vedendo che tutto era inutile decise di ucciderle incendiando il palazzo dove erano rinchiuse.
Era il 7 maggio del 101.
Il giorno seguente il loro maestro, il diacono Cesario, si recò nel luogo dell’incendio e trovò le sante a terra in posizione di oranti.
Il fuoco le aveva uccise ma i loro corpi non furono sfiorati dalle fiamme, nemmeno un capello rimase bruciato.
Cesario seppellì cristianamente quei corpi, ma quell’atto di pietà gli costò la vita perché fu chiuso in un sacco e gettato in mare.
 

Grotte di Pilato

Sistema di cinque grotte artificiali probabilmente usate come peschiere in epoca romana; scavate nel tufo e collegate da cunicoli sottomarini, si uniscono a una vasca esterna.
Le grotte sono scavate anche sotto il livello del mare e abbellite con decorazioni intagliate nel tufo; erano impiegate quasi sicuramente per l’allevamento delle murene, pesce considerato sacro dai Romani, perciò sono note anche come l’Antico Murenaio Romano.
La vasca principale ha cinque aperture chiuse da saracinesche, che consentivano il ricambio dell’acqua e il trasferimento dei pesci nelle altre vasche.
Ritrovamenti recenti hanno fatto supporre un uso religioso delle grotte perché nelle nicchie scavate nel murenaio furono poste statue di divinità pagane e sono ancora visibili i resti di lucernai che vi erano accesi.
Al centro della parete di fondo della grotta principale c’era una statua di marmo bianco, probabilmente di Apollo o di Dioniso, recuperata nel 1997, con un altarino di tufo e lucerne di terracotta.
Le grotte erano collegate con un’ampia scala a una sontuosa villa imperiale dell’imperatore Ottaviano Augusto, i cui resti si vedono ancora alla base della collina della Madonna.
Il nome della grotta è legato a quello di Ponzio Pilato, giovane di famiglia nobile romana che (storia o leggenda?) fu inviato a Ponza per sedare una rivolta, o forse per tenerlo lontano dai pericoli della vita della città.
Inaspettatamente Pilato riuscì nel compito assegnatogli e il Senato lo promosse nominandolo Governatore e dandogli l’appellativo di Ponzio (= di Ponza),e infine inviandolo in Palestina a domare gli ebrei.
Da qui il suo coinvolgimento nella condanna di Gesù.
Le Grotte di Pilato si trovano a Sud Est del porto di Ponza, proprio sotto la collina della Madonna e sotto il cimitero dell’isola.
Stanno all’altezza del mare e solo dal mare sono raggiungibili, o a nuoto dal porto di Ponza (con muta ed equipaggiamento da snorkeling, boa compresa) o affittando un gozzo al porto per fare il giro dell’isola e andando in direzione est.
 

Fonti documentative

Luigi Maria Dies – Ponza perla di Roma – (1950)
EPT della Provincia di Latina – Ponza e le Isole Ponziane.
Gino Usai – fogli dattiloscritti presenti nelle grotte.
 

Nota

Il testo è di Stanislao Fioramonti, le foto sono tratte da: Latina News 24; Wikipedia; MareinItalia.it; Ponzaracconta. La visita è stata effettuata il 29 maggio 2018.
 

Mappa

Link alle coordinate: 40.909737 12.955382

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