Ipogei di Loiano – Gallese (VT)

Queste cavità rappresentano uno dei posti più suggestivi e misteriosi dell’intero agro falisco.

 

Cenni Storici

Poste poco fuori il centro abitato di Gallese, le tre cavità ipogee di Loiano debbono il loro appellativo alla località in cui si trovano.
Per arrivare al suddetto sito bisogna percorrere la strada provinciale 34 per poi svoltare a sinistra, poco prima della Chiesa di San Famiano, e percorrere una breve salita.
Dopo circa 200 m vi è un incrocio e dopo avere svoltato a destra si prosegue per circa 300 m attraversando una piccola “tagliata” di origine falisca.
Davanti ad un cancello di una proprietà privata si apre, sulla sinistra, una stradina che discende per qualche metro; in fondo ad essa, sulla sinistra, si apre, tra la fitta vegetazione, un piccolo sentiero che giunge in uno spiazzo tra la boscaglia, proprio dove si affacciano le entrate alle tre cavità.
La prima cavità ad essere realizzata, all’estremità occidentale del banco, presenta due piccoli incavi sulla parete esterna e cinque croci graffite.
Appena entrati nel vasto ambiente, con soffitto più alto rispetto a quelli degli altri si vede il settore più antico, di grandi dimensioni, con una fila di nicchie nelle pareti laterali; sulla destra, un’apertura consente l’accesso alla cavità vicina.
Dopo un passaggio di raccordo, ove le esistenti nicchie sono state demolitesi giunge nel fondo della cavità, dove sono visibili altre tredici nicchie, otto a ovest e cinque a est; al centro si nota una nicchia incompiuta.
La seconda cavità, posta subito a destra, si trova al centro dei tre ambienti.
All’esterno si nota una muratura in tufo, che definì, all’interno, un vano utilizzato fino ad epoca recente da allevatori o agricoltori. Piccoli canali solcati nella parete orientale, alimentati da un primitivo sistema idraulico realizzato con condotte fittili, resti delle quali ancora riconoscibili, permettevano di raccogliere acqua per gli animali ivi ricoverati.
Alcuni numerali sulle pareti laterali, cifre arabe segnate a biacca, testimoniano il riuso degli ambienti per il ricovero di caprini, equini o bovini, variante che ha poi determinato le profonde alterazioni delle strutture.
Sul lato est si aprono una dozzina di nicchie simili a quelle del vano adiacente, con un’apertura davanti “a serratura“, utile per chiudere il passaggio con un portello di legno o di ferro.
Sulla parete di fondo, altri tre arcosoli, con tre croci su quello centrale, molto evanescenti e dipinte con biacca bianca.
Ciò sembra provare un riuso della struttura legato alla tradizione monastica, vista anche la presenza nei pressi di un convento e di alcune strutture ecclesiastiche rurali.
Uno stretto pertugio, a destra, permette di accedere all’ultimo ambiente, posto all’estremità orientale della parete in tufo.
La terza cavità fu forse scavata per ultima, ed è stata adibita a stalla per il ricovero di animali, come testimonia ancora una mangiatoia in muratura costruita sul lato sinistro.
Davanti a questa, il pavimento è coperto di cemento.
All’interno non si notano cavità alle pareti come negli altri spazi e ciò potrebbe far ipotizzare una diversa destinazione, come sembrerebbero confermare le due rozze finestre che si aprono sulla parete d’ingresso, unite ai resti di un’antica copertura.
La presenza di solchi di scolo e della mangiatoia testimoniano un uso dell’ambiente destinato a ricovero per animali.
 

Ipotesi

La finalità per cui sono stati costruiti gli ambienti ipogei è ignota, così come la data di costruzione e l’identità dei costruttori, sono state al riguardo fatte diverse ipotesi, tutte poco probabili, di seguito se ne elencano alcune.
Secondo alcuni studiosi la struttura era finalizzata all’allevamento o alla conservazione di derrate alimentari, non è probabile, dato che non si comprende la funzione degli originali arcosoli scavati nelle pareti.
È certo invece che la struttura, fino ad epoca relativamente recente è stata utilizzata per il ricovero di animali, ma per renderla funzionale tale uso sono state distrutte le nicchie presenti nel corridoio di passaggio tra il primo e il secondo ambiente della prima cavità.
La monumentalità della costruzione smentisce tale ipotesi.
Altri ritengono che queste cavità siano state destinate alla sepoltura a “colatoio” da parte di monaci provenienti dalle regioni bizantine tra l’VIII e IX secolo.
La particolare forma delle nicchie potrebbe far pensare che al loro interno fossero deposti i monaci defunti in posizione seduta frontale e che i liquidi dei loro corpi in decomposizione confluissero tutti verso l’esterno tramite quei piccoli canali scavati nella pavimentazione.
A sostegno di tale ipotesi mancano però prove, poi di solito le sepolture a colatoio erano poste nelle immediate adiacenze dei conventi ove poi erano inumate le spoglie dei defunti, al termine del processo di decomposizione o mummificazione; mancano, inoltre, le usuali canaline di scolo che sarebbero state essenziali per l’uso ipotizzato: è però probabile che gli ambienti siano stati occasionalmente utilizzati da eremiti, come testimoniato.
Altra e più affascinante ipotesi è avanzata dal prof. Giorgio Felini: “secondo alcune antiche fonti, l’antica città falisca di Fescennium era collocata tra Gallese e Corchiano e quindi molto vicino alla zona in cui si trovano le tre cavità.
In questo caso quindi, le nicchie avrebbero anche potuto ospitare le persone più illustre della popolazione falisca durante le periodiche riunioni destinato al governo delle
< >: nel primo ipogeo, ad esempio, con un po’ di fantasia, è possibile immaginare i <> seduti nelle 12 aperture contrapposte“.
Purtroppo non esistono prove archeologiche a supporto di tale tesi e non si comprende per quale motivo i maggiorenti falischi abbiano scelto per le loro adunate un ambiente ipogeo in condizione di oscurità e mancanza d’aria.
Secondo un’altra teoria gli ipogei sarebbero stati dedicati al culto del dio Mitra, praticato in prevalenza in camere sotterranee ed emerso anche nella Tuscia, con l’esempio del mitreo di Sutri, ricavato interamente nel tufo e trasformato poi in struttura ecclesiastica cristiana (la Madonna del Parto).
Forse era un luogo di culto dei Falisci, in realtà ancora oggi non si hanno prove archeologiche certe riguardo a questo sito, destinato a rimanere uno dei posti più suggestivi e misteriosi dell’intero agro falisco.
 

Fonti documentative

BOTTACCHIARI BARBARA Gli ipogei di Loiano, I Quaderni di Gallese, Museo di Gallese e Centro Culturale “Marco Scacchi”. Comune di Gallese (VT), 2013 BOTTACCHIARI BARBARA Gli ipogei di Loiano in Opera ipogea, Rivista della Società Speleologica Italiana Commissione Nazionale Cavità Artificiali n. 1 / 2015
CIFANI GABRIELE La posizione di Gallese (VT) nel territorio falisco Estratto dai rendiconti della Pontificia Accademia di Archeologia Volume LXXIV 2001 2002
CIFANI GABRIELE Tra Roma e l’Etruria Cultura, identità e territorio dei Falisci
FELINI GIORGIO Il mistero degli “ipogei di Loiano” a Gallese

https://tesorinascostiagrofalisco.wordpress.com/2017/09/12/le-misteriose-cavita-ipogee-di-loiano-gallese-vt/

http://www.amicatuscia.it/public/Gli%20ipogei%20di%20Loiano.pdf

 

Nota

La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
 

Mappa

Link coordinate: 42.364658, 12.405646

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