Insediamento rupestre di Montecasoli – Bomarzo (VT)
Cenni Storici
Il pianoro di Montecasoli (anche detto Poggio Lungo), sito circa un chilometro a Nord Ovest da Bomarzo, è costituito una scogliera tufacea che si estende per più di un chilometro e mezzo circa in direzione NE-SO, con altezza variabile tra i 160 e i 180 m s.l.m., è delimitato da due profonde “forre“, la prima situata a nord dove scorre il torrente Vezza e l’altra a sud con il fosso di Monte Casoli o di Sodera, entrambe le forre confluiscono al vertice orientale dell’altura.
Il sito è raggiungibile percorrendo una strada campestre che inizia proprio dal famoso “Parco dei Mostri“.
Superato sulla destra l’ingresso del Parco si continua su questo tragitto, finché dopo alcune centinaia di metri, si presenta un bel panorama dell’altopiano di Monte Casoli costellato dalle numerose grotte scavate dall’uomo.
Percorsi pochi chilometri si giunge in prossimità di un ponte che supera il torrente Vezza; senza oltrepassare il ponte, lasciato a destra, si dovrà proseguire per circa 400 metri fino ad arrivare a uno spiazzo in prossimità della chiesa di Santa Maria di Monte Casoli, posta in alto rispetto alla strada.
Il pianoro, già difeso naturalmente su tre lati, è ulteriormente protetto in epoca etrusca (IV-III sec. a.C.) con un sistema di tre fossati fortificati che corrono in parallelo in direzione N-S.
Sembra che il fossato più antico e importante sia quello posto a occidente, che passa per il punto mediano del pianoro, in corrispondenza della chiesa di Santa Maria di Montecasoli e del castello medievale, in parte costruito con blocchi di tufo appartenenti alle fortificazioni etrusche.
Questa tagliata coincide con un percorso viario utilizzato ancora in età romana e medievale, che collega la Selva di Malano (a S dell’estremità occidentale del pianoro) con l’insediamento rupestre di Corviano, di cui la chiesa rupestre sarebbe il perno.
A Monte Casoli sono evidenti, quindi, le tracce di diversi insediamenti fortificati, i più remoti dei quali risalgono all’epoca etrusca.
Si può ipotizzare che verso la fine del IV – inizio del III sec. a.C. i suoi abitanti realizzarono delle opere difensive in prospettiva della minaccia romana; è in questo periodo, infatti, che le mire espansionistiche di Roma si spinsero al controllo delle valli del Tevere e del Nera, ed è probabile che oltre alle mura difensive siano stati realizzati anche i fossati.
Questo sistema difensivo, tuttavia, fu adottato anche nel corso del medioevo, per cui permane l’incertezza sull’originario periodo di realizzazione.
Il territorio di Bomarzo, Polimartium in fonti tarde, entrò nell’orbita di Roma dal 283 a. C. e fu ascritto alla tribù Arnensis.
Le fonti documentarie ed archeologiche relative a questo periodo sono estremamente scarse; l’ormai consolidata “pax romana” che aveva reso superfluo l’arroccamento della popolazione in siti fortificati e di difficile accesso.
È plausibile, quindi, che l’altopiano di Monte Casoli durante la lunga fase del dominio di Roma non fosse più stabilmente abitato, bensì solo frequentato da pastori con le loro greggi (come avviene ancora oggi), oppure sfruttato per il taglio del legname.
Durante il periodo imperiale questo territorio fu interessato da un radicale cambiamento sociale ed economico, dovuto alle numerose fabbriche e fornaci che producevano grandi quantità di materiale edilizio (tegole, mattoni, ecc.) destinato all’enorme mercato di Roma e al traffico commerciale che sfruttava la vicinanza del Tevere per il trasporto del materiale; la maggior parte degli insediamenti, pertanto, era situato in pianura ed in prossimità delle vie di comunicazione.
Dopo la caduta dell’impero e le successive devastanti ondate di popoli invasori anche questa zona conobbe una profonda crisi seguita da un vistoso calo demografico dovuto alle guerre, ai saccheggi alle pestilenze; l’insediamento sparso di pianura fu progressivamente sostituito da abitati arroccati su alture difese da mura, fossati e torri; ed è probabile che in questo travagliato momento storico sia avvenuta la nuova occupazione di Monte Casoli in funzione di insediamento fortificato.
Della storia dell’insediamento medievale, che in parte riutilizza gli ambienti della necropoli etrusca lungo le pareti del pianoro, si sa relativamente poco.
Nel 607 la linea di confine tra Tuscia longobarda e Tuscia romana correva proprio sul torrente Vezza; Bomarzo e il suo territorio rientravano nel Ducato romano.
Per più di due secoli, dal 740 al 962, questa zona passò di mano numerose volte, dai Longobardi ai Franchi e, intorno al X secolo, fu invaso da parte di non precisati “Ungari” che portarono ulteriori devastazioni.
L’insediamento si sviluppa entro il X secolo, come attesta la presenza di una cinta muraria in blocchi di tufo lungo il lato Ovest (databile a quest’epoca dalla tecnica muraria) e alcuni documenti, che attestano la presenza sul territorio di almeno cinque edifici di culto, tra i quali forse anche la chiesa rupestre.
L’abitato si sviluppa ulteriormente nel XII-XIII secolo, con la costruzione di un castello vero e proprio a difesa dell’insediamento rupestre, citato per la prima volta in documenti del 1207.
Intorno al XIII secolo a Monte Casoli è quindi edificato il castello, ampliata la chiesa e definito l’abitato.
Assediato e saccheggiato dagli abitanti di Vitorchiano nel 1280, il castello è venduto alla città di Viterbo nel 1293; nel 1298 è acquisito dal Patrimonio di San Pietro.
Nel 1359 è dato in pegno dotale da Ludovico dei prefetti di Vico a Vannozza Orsini.
Probabilmente tra la fine del XIV secolo e l’inizio successivo l’insediamento è abbandonato, dal momento che in un documento del 1416 è annoverato tra le terre destructe et inhabitate del Patrimonio di San Pietro in Tuscia.
Nel 1445 è citato negli atti relativi ad una lite tra gli Orsini e Percivalle Gatti.
Nel 1502 il territorio è citato come tenuta agricola nel testamento del suo proprietario, Gian Corrado Orsini.
Nel 1520 la tenuta è data in concessione alla camera apostolica per un canone costituito da un cane da caccia, poi sostituito da otto libre di cera.
Fu poi ereditata dagli Orsini di Mugnano e, nel XIX secolo ceduta ai Lante della Rovere.
Il pianoro non fu mai del tutto abbandonato, e l’insediamento rupestre è stato utilizzato fino ai nostri giorni dai pastori.
Oggi è area naturale protetta per le sue valenze ambientali e archeologiche.
Aspetto
L’insediamento, oltre ad essere difeso naturalmente da ripide pareti di tufo, era ulteriormente protetto da diversi fossati scavati dall’uomo; il più imponente tra essi, citato in precedenza, presenta sulla parte interna i resti di fortificazioni etrusche risalenti al IV-III sec. a.C. ed accanto ad esse sono visibili i ruderi di un’opera fortificata di epoca successiva.
La parte superiore di questa struttura è costituita da blocchi di tufo a sezione quadrata legati da malta, mentre nella parte inferiore si notano tre filari di blocchi di diversa misura, disposti di testa e di taglio senza malta, che indicano una riutilizzazione di preesistenti opere difensive.
Il fossato sbocca sul fianco meridionale dell’altura e, attraverso una porta scavata nel tufo, costeggia dei suggestivi e grandi colombari, dirigendosi verso il fosso di Sodera; una fila muraria, inoltre, proteggeva il versante meridionale.
Durante il periodo etrusco, oltre a svolgere una funzione difensiva, non è da escludere che il fossato servisse per incanalare e far defluire, tramite cunicoli sotterranei, l’eccedenza di acque piovane provenienti dall’altopiano; è ben conosciuta l’abilità degli ingegneri etruschi nella realizzazione di grandi opere di idraulica civile.
Il nucleo principale di questo insediamento, immediatamente al disotto del castello e della chiesa, è costituito da un insieme di abitazioni rupestri e colombari posti su diversi livelli.
Un secondo nucleo di insediamento rupestre, molto più modesto e piuttosto distante dal nucleo principale, è stato individuato all’estremità occidentale del pianoro.
La caratteristica più rilevante di Monte Casoli, indubbiamente, è rappresentata dalle numerose cavità scavate nel tufo, nella parte meridionale dell’altopiano, esposti a sud-est, lungo il versante che guarda verso il fosso Sodera, se ne contano circa quaranta, quasi tutte situate su uno stesso livello, per una lunghezza complessiva di diverse centinaia di metri.
Le grotte, hanno una tipologia costruttiva abbastanza simile; sono organizzate su uno o più vani a pianta quadrangolare con soffitto piano e banchine lungo le pareti nelle quali si trovano delle nicchie di forma e dimensioni diverse, usate per riporre oggetti di uso quotidiano.
Sono provviste di piccole finestre ricavate in facciata e di canaletti per lo scolo delle acque piovane.
Difficile dire se siano delle tombe etrusche in seguito riutilizzate, oppure costruite fin dall’inizio come abitazioni, ipotesi questa più credibile, la continua frequentazione dell’uomo nel corso dei secoli ha cancellato e alterato qualsiasi testimonianza utile.
Le abitazioni avevano, probabilmente, una struttura lignea esterna, appoggiata all’ingresso della grotta, che aumentava la capienza dell’ambiente, rendendo più confortevole la vita quotidiana.
Tornando indietro verso le fortificazioni etrusche, attraverso un arco un tempo chiuso da una porta, si accede a una magnifica serie di grandi colombari, realizzati sui costoni tufacei come depositi di urne funerarie.
Non è credibile che siano nati per l’allevamento dei colombi, anche se in epoca medioevale sono stati con ogni probabilità adibiti a tale uso.
Le nicchie si estendono, infatti, fino a terra.
Le buche realizzate per l’allevamento dei piccioni partono sempre da una certa altezza dal suolo, per due ordini di motivi: i piccioni non nidificano certo vicino al suolo, poi la parte inferiore dell’ambiente era destinata alla raccolta del guano.
Ulteriore riprova dell’origine funeraria è data dall’accuratezza della lavorazione, in particolare del quarto colombaio, le cui buche sono a forma pentagonale.
Cessato l’uso funerario queste strutture, che potevano ospitare migliaia di volatili, sono state impiegate per uso alimentare e per l’utilizzo del guano come fertilizzante.
I colombi hanno ridotte necessità di cura e controllo da parte dell’uomo e, in caso di assedio da parte di forze nemiche, sono in grado di procurarsi il cibo da soli e rientrare nelle loro cellette superando in volo qualsiasi blocco ed ostacolo, pertanto nel medioevo e anche oltre erano una risorsa preziosa.
Chiesa di Santa Maria di Montecasoli
La piccola chiesa di Santa Maria di Montecasoli, le cui attuali forme risalgono al XVI secolo, fu edificata in epoca romanica (XI-XII secolo) su strutture preesistenti.
ESTERNO
La facciata a capanna presenta il tipico aspetto dell’edificio votivo cinquecentesco, con il semplice, ma elegante portale sormontato da in timpano e fiancheggiato dalle solite due finestrelle devozionali, con cornici in peperino.
In alto, in posizione centrale di apre un oculo di non grandi dimensioni, decorato da un viso d’angelo e sormontato da una croce.
Il campanile a vela a un solo fornice, privo di campana, si trova leggermente arretrato rispetto alla facciata e disassato a sinistra.
Della struttura romanica rimane il fianco nord, con due filari di blocchi che poggiano sul banco tufaceo in pendenza, le tre monofore che si aprono su ciascun fianco e la copertura a capriate.
INTERNO
L’interno è a navata unica, con le pareti completamente spoglie.
In fondo alla navata è stato eretto un pannello divisorio, su cui si appoggia un altare in stucco bianco, di epoca barocca.
Al suo interno vi è una raffigurazione della Madonna col Bambino.
Dietro l’altare barocco, in corrispondenza dell’abside, si trova una cavità intonacata seguita da un’apertura rettangolare.
Questa immette, attraverso un breve cunicolo, in un ambiente quadrangolare che è parte di una più antica chiesa rupestre, consta di un’aula di ridottissime dimensioni, di planimetria semicircolare, con presbiterio triabsidato sopraelevato di circa un metro rispetto ad essa; l’area presbiteriale è delimitata da tre aperture, due delle quali, quelle laterali, sono ulteriormente chiuse da una transenna scavata nella roccia.
Si conserva un affresco, molto deteriorato, con due figure di santi in una delle quali è rappresentato San Michele, databile intorno al XIII secolo.
Nota di ringraziamento
Si ringrazia l’amico Pierluigi Capotondi, preziosa guida al sito.
Nota
La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
Fonti documentative
S. Mecchia – Le Chiese rupestri del Lazio Medievale (VI-XV Sec.) – Tesi di Laurea Università degli Studi di Roma Tre, Facoltà di Lettere e Filosofia Anno Accademico 2012-2013
J. Raspi Serra – Insediamenti rupestri religiosi nella Tuscia – in Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, tome 88, n°1. 1976. pp. 27-156
G. Lamoratta – Cenni storici sulla città di Polymartium – Bomarzo, 1989
L. Vittori – Memorie archeologico e storiche sulla città di Polimarzio, oggi Bomarzo – Roma, 1846
Mappa
Link coordinate: 42.49836579047883 12.236477151646248
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