Grancia della Brancorsina – Tolentino (MC)
Cenni Storici
L’Abbazia di Chiaravalle di Fiastra ebbe estesi possedimenti terrieri grazie a donazioni e a lasciti di fedeli e di signori feudali che così speravano di ottenere benefici per la salvezza della propria anima. I territori dell’ abbazia furono divisi in fattorie o aziende agrarie chiamate con termine francese grance o rance (dal lat. granica, stanza utilizzata come deposito di grano). Queste furono sei: la Brancorsina, la grancia di Tolentino dove si erge il castello chiamato “della Rancia”, la grancia di S. Maria in Selva, quella di Sarrocciano, quella di Montorso, la più grande e più lontana, ed infine la grancia di Collalto. In questi organismi sociali ed economici la persona di maggior rilievo e responsabilità era il padre cellario (economo) che sovraintendeva a tutte le grance, era il direttore amministrativo di tutti i beni dell’abbazia e aveva alle sua dipendenze i ranciari (fattori) di ogni azienda agraria.
Funzionamento
La grancia era diretta da monaci conversi che coltivavano i terreni ed erano coadiuvati dai salariati, i quali spesso avevano diritto di affitto fino alla terza generazione, dietro pagamento di una somma iniziale e di un modesto canone annuale. I conversi concedevano ai salariati piena libertà personale: essi potevano coltivare la terra ricavandone il necessario per vivere decorosamente e formarsi una famiglia. Oltre a lavorare i campi, i Cistercensi si dedicavano all’allevamento degli ovini per la vendita della lana allo stato grezzo o trasformata in tessuti e per ricavarne i loro semplici abiti grigi o bianchi. In ciascuna fattoria vi erano una piccola chiesa e diversi fabbricati, adibiti a vari usi: le abitazioni del granciere, dei conversi, dei salariati, le stalle per il bestiame, i magazzini per la lavorazione e la conservazione dei prodotti, i locali per gli attrezzi e quelli per le varie attività artigianali. Gli edifici erano disposti intorno ad un ampio cortile, vicini gli uni agli altri. Grazie alle grance l’abbazia riuscì a penetrare in modo vasto e capillare nel tessuto civile e sociale del territorio. I monaci cistercensi furono artefici di un graduale ma profondo cambiamento morale e culturale: dissodando e bonificando le terre incolte e liberando i contadini dalla servitù della gleba, essi valorizzarono la dignità ed il lavoro dell’uomo contribuendo , anche così, al progresso della società del loro tempo.