Frascaro – Norcia (PG)

Il paese è stato terribilmente colpito e messo in ginocchio nelle sue attività dal terremoto del 2016.

 

Cenni storici

Il paese di Frascaro è costituito da case modeste riattate dopo il 1979 ma il terremoto del 2016 lo ha quasi raso al suolo.
Il suo passato romano è testimoniato da grossi pietroni romani che nonostante il terremoto si notano ancora disposti lungo la strada principale, altri reimpiegati come stipiti, soglie, architravi, fioriere; lungo la strada c’è un sedile in pietra chiamato “Sassu straccu” ricavato con pietre romane di recupero.
Un cippo del I sec. d.C. menzionante la tribù Quirina, propria di Nursia, fu trovato nei dintorni e trasferito nel palazzo Colizzi di Norcia già nel ‘600.
Un’altra epigrafe era nota in S. Maria del Tevere (Madonna della Cona).
La villa (m. 751) si è sviluppata lungo l’antica direttrice Norcia-S. Scolastica-Nottoria-Valle del Tronto-Salaria, in una fascia periferica del “campo nursino” centuriata diversamente rispetto alle zone limitrofe dei lati nord ed ovest.
Frascaro deriva il suo nome da “frasca“, termine latino medievale tuttora in uso indicante “ramo verdeggiante“.
Un blasone popolare definisce Frascaro il “paese dei briganti“.
Si racconta che una banda di malviventi terrorizzasse gli abitanti che, alla fine, decisero di reagire uccidendone nove.
Un blasone popolare definisce Frascaro il “paese dei briganti”, poiché si racconta che una banda di malviventi terrorizzasse gli abitanti che, alla fine, decisero di reagire uccidendone nove.
Il blasone vuole alludere al fatto che per uccidere un così gran numero di briganti, bisogna esserlo più di loro.
Questo è uno degli episodi più restii ad assumere sicuri connotati storici.
Sta di fatto che in loro suffragio veniva celebrata una messa il 9 aprile fino a qualche anno fa.
Un cronista del ‘600 afferma che gli abitanti “si mostrarono valorosi nel passaggio che fecero a questa villa i banditi di Marco, Sciarra, Catena et altri capi, quali tenevano atterrito il mondo, nel 1592 a di 9 d’aprile difendendosi francamente al rispetto del gran numero di essi, i quali con disonore grande e danno si partirono da questa villa” (Ciucci).
Altri riportano il fatto all’epoca della dominazione francese nell’Ottocento, periodo in cui non mancarono capi-briganti locali come Domenico Brugnoli e Ferdinando Patrizi sui quali furono apposte due taglie dal prefetto del Dipartimento del Trasimeno Roederer nel 1813.
Altro brigante frascarano di sentimenti antifrancesi fu Lorenzo Patrizi, ferito a Piediripa dalla Guardia Nazionale e trasferito alla Rocca di Spoleto nello stesso anno.
Ma il più pittoresco si chiamò fra Liberato, un cappuccino di S. Pellegrino, che con un altro frate zoccolante, Luigi Guerra, e Domenico Adduci, mulinalo di Accumuli, guidò gl’insorgenti della montagna contro i Francesi nel 1799 e osò scrivere una letteraccia al vescovo di Spoleto Loccatelli perché, portatosi a Norcia, voleva trattare resa della città rivoltatasi contro la Repubblica giacobina.
Fra Liberato andava in giro con l’abito di S. Francesco portando sciabola, pistole ed un cappello bianco in testa infettucciato di rosso.
Frascaro esisteva già nel secolo XIV, quando Norcia gli concesse la sua parte di prati in montagna, ma è dubbio che sia anteriore al secolo XI poiché un terreno presso la fonte di Messano (disseppellita di recente, romana nella struttura), situato oggi a pochi passi dal paese, viene citato come pertinenza di Valcaldara in un passo del “Chronicon Farfense“.
Gli abitanti di Frascaro fino ad inizio secolo erano soliti sfruttare i pascoli alti della Piana di Castelluccio portandovi gli animali ma più spesso le alte erbe dell’Altopiano venivano falciate a primavera (come avviene tuttora con mezzi meccanici) da gruppi di mietitori che con falci in spalla partivano la mattina dal paese e tornavano la sera.
Quando l’erba era pronta altre persone tra cui bambini, partivano con asini e muli e andavano a prelevare il fieno per portarlo nei fienili a valle per alimentare gli animali d’inverno.
Stando ai racconti di un vecchio abitante del posto, partivano la mattina all’alba e attraverso mulattiere risalivano la montagna un po’ a piedi e un po’ a cavallo delle bestie e dopo tre ore arrivavano sui campi, caricavano l’erba sulla schiena degli asini con una tecnica particolare (fissavano dei bastoni con delle reti lateralmente alla schiena delle bestie e poi procedevano al carico verso l’alto) e lo trasportavano a valle e questo avveniva tutti i giorni nella primavera.
Nella memoria popolare si tramanda la tradizione di un castello chiamato Fiorenzuola sparito non si sa quando né come, da cui provennero e gli abitanti di Nottoria e quelli di Frascaro, allo stesso modo pare sia sparito un fiume inabissandosi (di fatto però si suppone ciò sia avvenuto in seguito ad un forte terremoto).
A conferma di ciò nell’area di Messano scorre una grossa vena sotterranea il cui frastuono era percepibile affacciandosi alla bocca di un pozzo (ancor più se vi si lascia cadere una pietra) che era aperto fino ad inizio secolo ed ora interrato.
Il fiume che attraversava la vallata fino ai Piani di Santa Scolastica, aveva una consistente portata ne è testimonianza l’affossamento di qualche metro della chiesa della Cona dovuta alle frequenti piene e straripamenti dello stesso.
Il corso d’acqua scendeva dalla valle di Nottoria, si incuneava nella valle di Frascaro, si allungava fino ai Piani di Norcia per alimentare il Fiume Sordo.
 
 
 

Chiesa di Sant’Antonio abate

Al centro del paese sorgeva la trecentesca chiesa di Sant’Antonio Abate del XV- XVII sec con un portale rinascimentale opera di un egregio scalpellino lombardo, forse lo stesso che nel 1544 scolpì il tabernacolo del Sacramento all’interno.
La struttura è crollata per la scossa del 30 ottobre 2016.
La chiesa, a navata unica in tre campate, presentava volte a costoloni chi possono considerarsi uno dei migliori interni di stile gotico di questo territorio e fortemente somiglianti a quelli della basilica di San Francesco di Assisi.
Il pavimento in pietra era del XVI secolo mentre le tracce di affresco sui pilastri sono del XV secolo. Interessanti erano gli altari laterali barocchi.
La chiesa conservava una statua cinquecentesca della Madonna con in braccio il Bambino, una tela risalente al XVII sec. e una statua di San Rocco, che dopo il sisma sono state recuperate dagli uomini dell’Esercito per conto del Ministero dei Beni culturali e dai Carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale di Perugia e trasportate al deposito di Santo Chiodo di Spoleto.
Per avere un’idea precisa del bene che è andato perduto voglio riportare integralmente la descrizione che ha fatto Romano Cordella nella sua Guida di Norcia del 1995.

Rinforzata da una speronatura settecentesca tutt’intorno, la chiesa sorge a metà dell’abitato, con un campanile a vela ed una facciata del 1783, anno In cui fu rimaneggiata anche la finestra e inserito un ovale in mattoni come in S. Lorenzo di Ospedaletto.
È abbellita da un portale in pietra (prima metà del ‘500) formato da un arco a tutto sesto, lesene scanalate e rudentate, plinti con motivi a sportelli, trabeazione con tre stemmi a scudo.
Quello centrale rappresenta il Tau, simbolo del santo titolare.
Il portale è il lavoro egregio di uno scarpellino lombardo operante attorno alla metà del XVI secolo, forse lo stesso che nel 1544 scolpì il tabernacolo del Sacramento all’interno.
La calda tonalità della pietra si sposa bene alla misura rinascimentale dell’insieme.
L’interno mantiene integre le crociere costolonate e i pilastri dell’unica navata a tre campate più abside.
È un esempio minore di architettura gotica influenzata dalle forme della basilica francescana di Assisi.
A destra dell’ingresso, acquasantiera su lungo stelo; a sinistra, fonte battesimale interamente in pietra, con una grossa croce alla sommità e un viso cherubico simile ad un altro scolpito su un architrave a Serravalle (forse dallo stesso maestro lombardo).
Sulla parete accanto, tabernacolo del Sacramento in posizione inusuale.
E’ sormontato da due delfini e datato 1544, stessa epoca del battistero e forse del portale esterno.
Qualche figura strappata allo scialbo ed altre ancora ricoperte indicano che le pareti erano completamente affrescate.
Ve ne sono sul primo pilastro (Crocifisso e santo francescano) e li accanto (Madonna col Bambino e santa con le mani incrociate sul petto, di uno Sparapane attorno al 1520).
Nella prima nicchia a destra, statua lignea di s. Agostino (sec. XVI), tracce di affreschi tardo-ottocenteschi e di un’iscrizione.
Probabilmente spetta a Giacomo di Giovannofrio un Presepio affrescato sempre nella prima campata.
Dalla successiva campata iniziano sedili in pietra, frequenti nelle chiese della zona come i pavimenti in “schiazze“.
Sempre sulla destra, l’altare di s. Antonio abate attualmente ospita una Madonna in trono col Bambino del sec. XV, in legno dorato, già sull’altare maggiore.
All’intorno erano affrescate storie della vita del santo eremita, di cui una sola è visibile (sec. XVI).
Sull’altare della terza campata, tela con la Madonna del Suffragio, ex-voto del 1586 come si apprende dalla scritta (ritratto di bambino a destra in basso).
Anche nell’abside semicircolare si intravedono figure sotto lo scialbo.
Al centro, statua lignea di s. Antonio abate, ridipinta, ma cinquecentesca come la scritta propiziatoria.
La balaustra lignea del presbiterio è anch’essa del ‘500.
Nel terzo altare di sinistra, Madonna del Rosario, dipinto su tela del sacerdote Carlo Patrizi originario del posto (sec. XIX), largamente debitrice nell’architettura dello sfondo, di Antonio Liberi da Faenza.
Alquanto gigionesca la statua lignea di s. Rocco (sec. XVII) posta sul secondo altare di sinistra, settecentesco e ridipinto come il dirimpettaio.
Il santo pellegrino è rappresentato con il cagnolino ai piedi, il bordone, il cappello sulla spalla, la chioma fluente e la piaga mostrata con gesto teatrale:
Ora pro nobis beate Roche“.
Nel primo altare a sinistra, una Crocifissione centinata con paesaggio nordico al centro sembrerebbe opera su tela del frequente Francesco Sparapane (sec. XVI).
Nella chiesa erano conservati i teschi di nove briganti uccisi dai Frascarani
“.
 
 
 

La fonte di Messano o “Messanu”

Riscoperta per caso nel 1991 lungo il sentiero per Valcaldara, manifesta chiaramente la sua origine romana come molte altre del territorio.
l rimaneggiamenti mostrano che venne utilizzata fino a tempi non lontani, ma di essa s’era quasi spenta la memoria essendo stata a poco a poco sommersa dalle macerie.
 

La leggenda del fiume scomparso e Cecco d’Ascoli

La fantasia popolare addebita a Cerco d’Ascoli il sortilegio del fiume che si inabissò per arte magica, infatti narra la leggenda che Cecco transitando per Frascaro provenendo da Ascoli lungo un’antica direttrice, molto frequentata all’epoca e tuttora visibile, che scavalcando la montagna portava a Cascia, dovendo attraversare il fiume che tagliava in due la valle, si presentò al traghettatore che con la barca garantiva questo attraversamento essendo la zona priva di un ponte.
Il traghettatore pretese la parcella che Cecco invece voleva pagare all’arrivo.
All’insistenza del traghettatore che rifiutò di farlo salire Cecco si infuriò e disse: “Allora passerò a piedi!” e di punto in bianco fece sparire l’acqua dal fiume.
 

Fonti documentative

Romano Cordella – Norcia e Territorio guida storico artistica; una mostra un restauro – 1995

http://frascarodinorcia-noprofit.webnode.it/l/chiesa-madonna-della-cona-xvio-secolo/

R. Cordella – Norcia e Territorio, una mostra un restauro – 1995
Cartellonistica locale
 

Da vedere nella zona

Chiesa della Madonna della Cona
 

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