Eremo di Sant’Onofrio e i Briganti – Campodimele (LT)
Cenni Storici
Campodimele è il paese più piccolo della provincia di Latina per numero di abitanti (560). Situato alla saldatura dei monti Ausoni con gli Aurunci, in cima a un colle (m 675) di natura carsica circondato da colline boscose e montagne brulle, è al confine con la provincia di Frosinone ma guarda la costa tirrenica, in particolare quella del comune di Fondi.
Secondo alcuni il paese avrebbe origini remotissime; sembra che sia sorto sulle rovine di Apiolae, città distrutta nel VI secolo a. C. dal quinto re di Roma Tarquinio Prisco nelle guerre per la supremazia nel Lazio.
Il toponimo moderno (Campus mellis) indicherebbe l’industria del miele sorta in epoca romana o la coltivazione di appiolo, una particolare varietà di melo.
Le prime notizie certe di Campodimele si hanno con l’arrivo dei Longobardi (VI secolo d.C.).
Nel VII secolo probabilmente fu possesso del monastero di Montecassino e nel IX fu coinvolta dalle incursioni saracene che nell’883 distrussero la celebre abbazia.
Dal 916 fu contesa tra il ducato di Gaeta, che dall’876 aveva incorporato i feudi di Fondi e Traetto (Minturno), e Montecassino che infine nel 1072 la ricevette dai conti di Fondi.
Nel 1158 è citata in una bolla di Adriano IV tra i paesi destinati a “rimanere in perpetuo” alla diocesi di Gaeta.
Dal XIV al XVII secolo fu possesso di varie famiglie nobili (Caetani, Colonna, Carafa) quindi, caduto il Regno borbonico e realizzata l’Unità nazionale, fece parte del mandamento di Fondi, circondario di Gaeta e provincia di Terra di Lavoro, il cui capoluogo fu prima Capua e poi Caserta.
Nel 1927 entrò nella provincia di Roma sino all’istituzione di quella di Latina (1934).
Campodimele, completamente ristrutturato negli anni ’90, è uno dei “Borghi più belli d’Italia” per il suo caratteristico centro storico di epoca tardo-medievale, di forma circolare omogenea e compatta, dominato dal campanile della parrocchiale; in esso si circola solo a piedi.
Le abitazioni si assestano intorno alla viabilità interna degradando verso il basso a forma di cono, alla cui base è interamente circondato dalla bella cinta muraria difensiva con 12 torri semicircolari; l’antico camminamento esterno alle mura è divenuto ora una bella passeggiata.
Le mura furono innalzate nel sec. XI a difesa anche della sottostante strada Civita Farnese (la statale 82 della Valle del Liri), che si ricollegava con la via Appia a Itri e con la quale le truppe borboniche raggiungevano Isoletta frazione di Arce, confine con lo Stato Pontificio.
Il piccolo centro, celebre per la longevità dei suoi abitanti, oggi è anche una meta turistica del Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci, dotato di 25 km di sentieri nel bosco e di un centro di allevamento di cervi, daini e caprioli allo stato brado per la conservazione della specie.
Al paese si accede con una strada che si stacca proprio dalla statale 82.
Un’altra strada asfaltata diretta al monastero di S. Onofrio parte dalla statale in località Taverna; presso il “Ponte delle Streghe” una sua diramazione sale al paese.
In piazza Capocastello, al culmine e al centro del nucleo storico, sorge la parrocchiale di San Michele Arcangelo, costruita nell’XI secolo forse sulle rovine di un tempio pagano.
Danneggiata da un terremoto, fu restaurata nel 1939; conserva i resti di un pregevole tabernacolo marmoreo della scuola di Tommaso Malvito (attivo a Napoli a fine XV-inizi XVI secolo) e un dipinto di Gabriele da Feltre del 1578.
Girando per il borgo si incontra il Monumento al pastore dello scultore catanese Salvatore Incorpora, il mosaico Campodimele, la lapide del miracolo compiuto nel 1758 da San Paolo della Croce a favore di Rosa D’Alena, le lapidi commemorative delle missioni dei Passionisti e, all’ingresso del palazzo comunale, il bassorilievo dedicato nel 2006 “Alle donne dei monti Aurunci, Ausoni e Lepini vittime del Corpo di spedizione francese 1944“.
Il Brigantaggio
La storia recente del borgo è segnata da gravi fenomeni sociali come il brigantaggio, la guerra e l’emigrazione.
Il primo era favorito dai fitti boschi che permettevano il nascondiglio e la fuga verso la “Terra di nessuno” al confine tra Regno di Napoli e Stato Pontificio.
Tra i fuorilegge che percorsero il territorio si ricordano Antonio Gasbarrone di Sonnino, Alessandro Massaroni di Vallecorsa, Gaetano Mammone di Sora, Angelo Ferro di Sant’Oliva e Michele Pezza “Fra Diavolo” di Itri.
Su questo preesistente fenomeno malavitoso si innestarono, all’indomani della resa di Gaeta ai “Piemontesi“, le formazioni pseudo-politiche: il 13 maggio 1861 un gruppo di briganti nostalgici, capeggiato da Luigi Alonzi di Sora detto “Chiavone“, in nome del lealismo borbonico invase Lenola, Monte San Biagio e Campodimele, dove devastarono il comune, tolsero dalle pareti i ritratti di Vittorio Emanuele II e di Garibaldi per sostituirli con quelli di Francesco II e di Maria Sofia, dichiararono decaduto il nuovo regno unitario e ripristinarono quello borbonico.
Il brigantaggio sui monti Lepini, Ausoni e Aurunci assunse dimensioni talmente gravi che l’esercito italiano non andò tanto per il sottile nella repressione: in un solo semestre del 1861 furono catturati, uccisi in scontri a fuoco o fucilati 278 briganti.
A parte le scorrerie nel territorio di altre bande di briganti legittimisti (ad es. quelle di Giuseppe Antonio di Fondi e di Francesco Piazza “Cuccitto” di Moladi Formia), Campodimele fu spesso rifugio del celebre capo-banda Pietro Garofalo e della sua “druda” (compagna), che insieme a numerosi accoliti usavano vari nascondigli nell’abitato e sulle montagne circostanti.
Sul crinale del monte Fontanino, al confine con il comune di Pico, una profonda caverna si chiama la “tana di Garofalo“, dal nome del brigante.
Il 2 maggio 1868 la Guardia Nazionale, guidata dal sindaco di Campodimele, riuscì ad arrestare un membro della banda, Giuseppe Cutrozzola da Messina; il capo e la sua donna furono catturati dai Carabinieri la notte del 30 marzo 1869, dopo un conflitto a fuoco e una dura colluttazione in una casa del borgo.
Durante la II Guerra Mondiale Campodimele visse la deportazione di centinaia di suoi abitanti, le miserie e i bombardamenti del “fronte di Cassino“, i soprusi dei “marocchini” del Corpo di spedizione francese, che con gli anglo-americani il 18 e 20 maggio 1944 conquistarono m. Faggeto e Campodimele.
Questi episodi offrirono lo spunto per il romanzo “La Ciociara” di Alberto Moravia, sfollato proprio su un monte tra Fondi e Campodimele.
Dopo la guerra molte famiglie prive di tutto furono costrette a emigrare in Inghilterra, in Brasile e soprattutto in Canada.
I residenti continuarono a ridursi anche per la crisi economica, l’abbandono delle terre e la disoccupazione.
Eremo di Sant’Onofrio
Patrono di Campodimele è Sant’Onofrio, anacoreta della Tebaide egiziana; compatroni S. Rocco pellegrino, nel 1319 passato anche a in questo luogo, “che risente tuttora i benefici influssi della sua presenza in loco” (v. lapide in piazza XX Settembre posta nel VI Centenario, 1983) e S. Michele Arcangelo cui è dedicata la chiesa principale del paese.
La devozione per S. Onofrio, particolarmente radicata nella popolazione campomelana, nasce nel sec. XI quando i Benedettini di Montecassino, per volere dell’Abate Desiderio che affidò la costruzione al priore Gerardo di Pico, edificarono in suo onore un monastero (m 663) su un colle a circa 4 km dal paese, in una zona isolata del monte Santa Croce frequentata da pastori e boscaioli.
Era formato dalla chiesa a navata unica e da camerette-alloggi a servizio dell’eremo.
Nel 1072 i conti di Fondi donarono all’abbazia di Montecassino i loro beni, tra cui “Campo de Melle” e il monastero di S. Onofrio, e nel 1087 l’abate Desiderio, divenuto papa Vittore III, sul portale tuttora esistente della basilica cassinese fece scolpire il nome di “S. Onophrius de Campo de Melle” con quello degli altri possedimenti della “Terra Sancti Benedicti“.
Agli inizi del Novecento la statua lignea del santo succintamente vestito (si raffigura ricoperto solo della sua barba e dei suoi capelli lunghissimi) fu trasferita dal monastero alla parrocchiale del paese.
In parte distrutto durante la II guerra mondiale, l’eremo è stato ricostruito negli anni Ottanta per volere dei campomelani rimasti e degli emigrati ed è meta di pellegrini e visitatori.
Oggi come mille anni fa i fedeli campomelani celebrano il loro Protettore secondo le più antiche tradizioni; il 12 giugno, a Toronto, New York, Australia, Brasile e Inghilterra, processioni e altarini richiamano gli emigrati di questa terra alla preghiera in onore di S. Onofrio.
Il paese lo festeggia in piazza Capocastello anche con il piatto tradizionale, le ciammotte ammuccate (lumache in salsa verde).
Il 30 dello stesso mese un pellegrinaggio a piedi porta i fedeli dal paese alla Piana di Sant’Onofrio per la Messa nella restaurata chiesa dell’eremo, lungo la stradina asfaltata che prima scende e poi risale il fianco della montagna vicina.
Passeggiata dell’Eremo
Attorno all’eremo è possibile percorrere un sentiero (il n. 904 del Parco degli Aurunci) chiamato “Anello della piana di S. Onofrio“, che fa apprezzare il territorio carsico di queste montagne.
E’ un itinerario di facile percorrenza, di bassa quota (minima m. 664, massima 724, quindi circa 100 metri di dislivello), lungo 5,5 km, che si completa in circa 2 ore dopo aver percorso località come la Forcella Luino, i Travettini, i Monticelli e la fertile Piana di S. Onofrio con le sue antiche cisterne in pietra.
Attraversa boschi di cerro, di carpino nero e noccioleti cresciuti su vecchi terrazzamenti abbandonati, dove si praticava un’agricoltura tradizionale.
Il primo tratto del sentiero attraversa un bosco in prevalenza di querce-cerri (Quercus cerris), dove non è difficile osservare nidi di picchi scavati soprattutto negli alberi più grandi e coppie di rapaci, gheppi e poiane in primis.
Proseguendo si passa in un bosco di carpini e più avanti si apre un suggestivo scorcio sulla sottostante Valle del Liri, con il laghetto della Riserva Regionale di San Giovanni Incarico e sullo sfondo i monti Ernici.
Da qui il percorso prosegue sul crinale della collina detta Serra di S. Onofrio, da dove si può vedere la valle sotto Campodimele, racchiusa dai versanti di m. Appiolo (m 901), m. Crispi (m 803) e m. Le Vele (m 956).
Lungo il percorso è facile incontrare le case di pastori di Monte San Biagio che trascorrono l’estate su questi colli (transumanza trasversale) pascendo le greggi e producendo formaggio.
Proseguendo lungo il sentiero bordato da una lunga staccionata, il percorso termina sulla strada asfaltata per il convento di Sant’Onofrio, che da qui dista circa 1 km.
Fonti documentative
A. Lisetti, L. Scuderi – Campodimele. Paese della Longevità – Cipes Latina, 1987.
comune.campodimele.it
Nota
Il testo è di Stanislao Fioramonti, le foto sono di Patrizia Magistri.
Mappa
Link alle coordinate: 41.415435 13.530218