Eremo di Santa Maria del Paradiso – Spello (PG)
Cenni Storici
Si tratta di una semplice abitazione che fino alla metà del XIV sec. fu la sede di un bizzocaggio femminile, dedito al culto della Vergine.
Le donne che avevano aderito al movimento beghinale/bizzocale, diffuso in tutta Europa, ebbero, oltralpe l’appellativo di beghine; mentre, nell’Italia centrale, ricorrenti erano i nomi di cellane, incarcerate, bizzoche.
Le beghine conducevano una vita di rinuncia pur senza seguire una delle regole approvate, si dedicavano, in comune o privatamente, a esercizi di pietà e preghiera contemplativa, praticavano opere di carità (assistenza a malati a domicilio, ecc.), si guadagnavano da vivere con lavori manuali, con l’insegnamento e alla cura delle fanciulle, l’assistevano gli infermi, si occupavano alla sepoltura dei cadaveri e talvolta andavano perfino a mendicare.
Nell’ultimo Medioevo i beghinaggi diventarono case di accoglienza per i poveri e, al tempo stesso, servivano come ricoveri di vedove o anche di donne anziane e benestanti.
Le beghine non emettevano voti perpetui perciò potevano tornare nel mondo e anche sposarsi.
Non formavano comunità di vita conventuale, erano senza superiori regolari e sceglievano una responsabile o superiora locale che viveva già nel beghinaggio.
Vivevano da eremite all’interno delle mura urbane o nelle vicinanze praticando la povertà, la castità e l’obbedienza.
Per quanto riguarda Spoleto e la sua Valle, alla fine del secolo XIII si registrano ben ventiquattro bizzocaggi: tredici a Spoleto, quattro a Foligno, altrettanti a Montefalco, due a Bevagna e uno a Spello (quello qui trattato).
Il nostro fu fondato alle falde orientali del Subasio a due miglia dalla città di Spello, allora della diocesi di Spoleto e a un miglio dal monastero clariano di S. Maria di Vallegloria, in località appunto Paradiso.
Il 30 giugno 1296 Francesco, vescovo di Spoleto (da cui Spello dipendeva), riconobbe giuridicamente la comunità fondata e dotata da un certo maestro Simone di Leonardo soprannominato il rosso e costituita da quattro “religiosae mulieres” spellane de “ordine penitentium” (quattro religiose spellane dell’ordine dei penitenti).
Le case furono costruite dallo stesso maestro Simone sulle sue proprietà, cui col tempo si sarebbe dovuta affiancare una chiesa in onore della Vergine Maria; maestro Simone di Leonardo, aveva assunto nel bizzocaggio la funzione di procuratore.
Da parte sua il vescovo richiese un simbolico censo annuo di due libre di cera, in seguito ridotto ad una sola libra da versarsi il giorno dell’Assunta.
Neppure un mese dopo la piccola comunità si era scelta una propria badessa, una certa Elisabetta, una bizzoca anch’essa.
Appena cinque anni dopo la giovane fondazione poteva contare su di una ben più qualificata protezione, quella del card. Napoleone Orsini, allora legato pontificio nel Ducato il quale inviò da Spoleto, il 6 febbraio 1301, un privilegio di indulgenza in pratica l’autorizzazione a questuare a favore del monastero nell’ambito del Ducato.
Le bizzoche, che inizialmente seguivano la regola agostiniana, passarono nel 1325 all’Ordine di Santa Chiara (Il passaggio da una regola ad un ordine, specie quello di S. Chiara di certo in quei tempi non fu un fatto isolato), senza rinunciare alla condizione bizzocale né alla proprietà privata.
Dal registro di entrata e di uscita di S. Maria del paradiso apprendiamo che le religiose, fino alla soppressione, avvenuta nel 1464, cosa che desta meraviglia, continuarono a trattenersi parte del ricavato dei lavori di tessitura di canapa e lino che vendevano nelle fiere e a privati, e ad amministrare il loro patrimonio.
Nel 1344 il capitolo di S. Maria del paradiso risulta costituito da una badessa e diciassette “em>moniales“, mentre, nell’ultimo decennio che precedette la soppressione, il capitolo era costituito da una decina di religiose.
La comunità era retta da una badessa affiancata talvolta da una vicaria e da una cameraria; ma spesso la badessa ricopriva anche l’incarico di cameraria.
Per l’ingresso in religione veniva richiesta una modesta dote, 6 fiorini nel 1402; 10 nel 1454.
Dopo il passaggio all’ordine di S. Chiara (1325) Santa Maria del Paradiso entrò a far parte della custodia di Assisi ed i cappellani furono i frati minori del locale convento di S. Andrea; allo stesso che svolgeva le funzioni di cappellano, spettava una tonaca all’anno del valore di un fiorino.
Ma non sempre i frati di S. Andrea compivano il loro dovere: nel 1385 le religiose lamentarono la mancanza di un cappellano, infatti nell’arco di un anno “a fratibus conventus (S. Andree) non habuerunt nisi tres missas“.
Col tempo le proprietà immobiliari si fecero consistenti, il monastero acquisì nuovi terreni, alcuni condotti dalle religiose stesse, che vi coltivano oltre alle piante arboree (vigneti ed oliveti) ed industriali (canapa e lino), cereali vari (grano, spelta, orzo, miglio, fave e cavoli), altri terreni, invece, furono dati in affitto.
Per capire la vastità dei beni acquisiti con il tempo va ricordato che per la ricognizione dei terreni del monastero nel 1446 ci vollero ben quattro giorni e ser Niccolò di ser Bartolomeo che compilò il catasto ebbe il notevole compenso di 25 libre.
Contravvenendo a qualsiasi regola di povertà dettata dalla regola Clariana spesso erano le stesse bizzoche che in periodi di difficoltà economica del monastero prestavano denaro di loro possesso per sopperire alle necessità previa restituzione in tempi successivi.
La ricchezza del monastero aumentò sia per il fatto che il cattedratico era simbolico trattandosi di appena una libra di cera l’anno da versare al vescovo di Spoleto il giorno dell’Assunta, e per giunta la loro appartenenza all’ordine di S. Chiara, grazie ai privilegi pontifici più volte confermati all’ordine, le esentava da qualunque altra tassa di diritto diocesano e in particolare dal sussidio caritativo; per di più il bizzocaggio vendeva a privati, a mercanti e persino alle fiere di Perugia e di Assisi, verghe di panno di lino e di canapa, tessute dalle religiose.
La sicurezza dei monasteri fuori dalle mura della città con il tempo venne meno, soprattutto per le scorribande dei soldati durante la guerra in corso tra Spello, alleata di Perugia e Assisi per cui dopo i ripetuti assalti fu deciso il trasferimento in città.
Secondo il Donnola, nello stesso periodo in cui le monache del monastero di Vallegloria “Vecchio” abbandonarono il complesso suburbano (dopo il 1320), anche le monache di Santa Maria del Paradiso furono costrette a lasciare la loro dimora originaria, unendosi alle monache del monastero di Santa Margherita e San Giacomo.
Dati d’archivio indicherebbero che le suore si siano trasferite intorno alla metà del XIV sec. nei pressi della città, in località “Prato”, e che nel 1462 la fondazione religiosa venne soppressa.
Il priore di San Lorenzo, Benedetto Urbani, in nome del vescovo di Spoleto, entrò in possesso del monastero che in seguito fu venduto, mentre le suore vennero trasferite nel monastero di Santa Chiara, situato all’interno delle mura di Spello.
Aspetto
Dopo la soppressione e la relativa vendita la struttura è diventata casa colonica e adibita poi a ricovero del bestiame.
Oggi è una qualsiasi casa colonica che si nota tra gli ulivi della costa spellana.
Bibliografia
Atti Accademia Properziana del Subasio Serie VI – n. 7 – Piccoli conventi nella francescana “Custodia Assisiensis” – 1983
Guida di Turistica di Spello-Itinerari fra Storia Arte e Natura testi di Sabina Guiducci Comune di Spello Assessorato al Turismo
Gabriele Tardio – Donne eremite, bizzoche e monache di casa nel Gargano occidentale – 2007
Da vedere nella zona
Abbazia di Santa Maria di Vallegloria “Vecchia”
Convento di San Girolamo – Cimitero di Spello
Castello di Collepino
Parco del Monte Subasio