Eremo di Santa Croce in Val d’Aquila – Trevi (PG)

L’Eremo si raggiunge solo a piedi percorrendo il sentiero 376 del CAI partendo dal paese di Coste San Paolo; il luogo è stato riscoperto solo pochi anni or sono, nonostante la sua straordinaria storia, si era perso completamente sia come struttura sia come memoria tanto che nessun abitante del posto ne conosceva più l’ubicazione.

 

Cenni Storici

Gli eremi oggi restano luoghi nascosti agli occhi indiscreti o indifferenti, si raggiungono a fatica, attraverso vie non più battute, in luoghi a volte difficilmente accessibili, lontani dal rumore, oggi come allora nel medioevo.
L’eremo così come lo troviamo oggi potrebbe sembrare una cosa impossibile da vivere, ma bisogna vedere con occhi diversi la montagna molti secoli fa, dove fervevano attività svariate: da quelle dei taglialegna, a quelle dei carbonai quelle dei fornaciai, a quelle dei pastori, a quelle dei coltivatori e dei cacciatori.
L’eremo di Santa Croce della Val d’Aquila è forse uno degli eremi più antichi della montagna trevana, così considerato in quanto è l’unico di cui esiste un documento che ne attesta una data, ma questo può trarre in inganno in quanto gli eremi di per sé non avevano archivi e non produssero mai documenti per cui l’esistenza degli altri seppur più antica non è documentata.
Il documento che ne attesta l’esistenza è del 1177 dove in un privilegio, papa Alessandro III, assicurò la sua protezione al monastero di San Pietro di Bovara, cui riconobbe una vasta giurisdizione su un centinaio di chiese curate e sui quattro priorati di S. Donato di Buiano, S. Croce in Valle dell’Aquila, S. Arcangelo e S. Maria di Pigge.
E continuava ad apparire anche nelle successive conferme ripetitive dei papi Celestino III, Innocenzo III, fino a quella di Onorio III del 1217, la sola ancora oggi conservata.
Le carte dell’archivio dell’Abbazia di San Pietro di Bovara conservano anche gli atti delle consegne ai monaci che abitavano l’eremo, relativamente agli anni 1258, 1264 e 1281, sempre con “la condizione che non si rinunciasse che ad esso monastero“.
Nel 1258 e negli anni a seguire, dimoravano nell’eremo un priore benedettino, due canonici e due prebendati secolari.
La particolare composizione coabitativa ci fa capire che la struttura religiosa, in questo caso, tende a fondere eremo e cenobio che appaiono uniti, integrati, in maniera tale che quasi si compenetrano.
Il potere vescovile però non poteva rimanere indifferente per cui anche gli insediamenti eremitici e cenobitici, forme di monachesimo molto persistenti in Umbria fino al XIV sec., apparentemente legati ad istanze di isolamento, vanno ad inserirsi lungo importanti assi di attraversamento della montagna.
Tutto venne assorbito nei possedimenti Vescovili di Spoleto, che dopo il dissolvimento dell’impero carolingio, ebbe un rafforzamento territoriale, che in pochi anni metterà nelle mani del Vescovo di Spoleto, una estesa quantità di terre e di rendite.
Questo si deduce dalla registrazione sistematica delle Rationes Decimarum di Santa Croce che paga le decime 18 libbre, 5 soldi, 6 denari.
Nel 1384, beneficiava di alcuni lasciti testamentari; fra questi ricordiamo il testamento di: “Benedicta f. q. lacobuti uxor Angelilli Poncelli de Trevio[ … ]. ltem reliquit dicta causa conventis S. Marci, sancte Crucis Vallis Aquile de districtu Trevi i C (cinquanta) sol. den pro quolibet loco, pro eius anima… 1384“;
ed il testamento di: “Andreolus Petrachie de villa Pleb is S. Martini distr. Trevii [.. .]. ltem rei. pro subsidio vestimentorum, pro heremitis locorum S. Marchi et S. Crucis Vallis Aquile, XL sol. pro quolibet loco. ltem reliquit, dicta causa, heremitis S. Antonii Corvaglioso XL sol. den., pro eius anima 1384“.
Nel 1382 sotto la chiesa di S. Croce della Valle dell’Aquila erano presenti 18 famiglie mentre nel 1450 ve ne erano 15.
Nel 1393, era censito tra le chiese della diocesi, per un imponibile di 130 lire.
Mentre l’abbazia di Bovara era in pieno disfacimento materiale, il papa, nel 1469, cedette chiesa e beni di Santa Croce alla istituita collegiata di S. Emiliano con l’obbligo, però, di garantirvi una messa al mese e di mantenervi un eremita.
Quando, il 10 dicembre 1571, il vescovo di Gaeta monsignor de Lunel visitò la chiesa, ne diede questa descrizione:
posta in luogo molto remoto ed ombroso … che abita fra Deodato calabrese, terziario a quanto afferma egli stesso dell’ordine di S. Domenico; il quale vi sta da molti anni, vestendo un abito piuttosto «silvano», senza alcun documento scritto, che il visitatore ordinò si ottenesse“.
Ordinò ancora: “che l’immagine del Crocifisso, rotta, si accomodasse, oppure venisse bruciata e le sue ceneri messe nel sacrario“.
Per fortuna si scelse la prima soluzione, per cui oggi tale cimelio è ancora conservato e si trova esposto nella chiesa di S. Emiliano in Trevi.
La visita del Vescovo Lascaris, del 1713, risulta preziosa per le notizie che riporta: “questa [chiesa] è antichissima, e di ignota origine … Di certo si sa che nel 1265 con i suoi proventi fu istituita collegiata rurale con un proprio priore e due canonici“.
Quello che però è più importante è la descrizione strutturale che il Visitatore accerta:
Ha struttura antichissima con due porte, un unico altare con l’immagine del Ss. Salvatore dipinta nel muro, del tutto spoglio. Del monastero antico ora restano le vestigia di certe stanze annesse, ad uso dell’eremita“.
 

Aspetto

Quasi nulla resta dell’antica struttura monastica, oramai crollata del tutto e sepolta dalla vegetazione.
La chiesa, di cui si conserva una minima parte della parete sinistra appoggiata al fianco della montagna, doveva avere una lunghezza di almeno 14 metri e larga non meno di 4.
In questo brandello di parete si conservano 6 nicchie larghe 60 cm e profonde 70 cm, con la copertura alla cappuccina che sovrasta un piccolo architrave realizzato con una lastra di pietra, poste ad una distanza di circa un metro l’una dall’altra.
La scarpata del pianoro è protetta da un muraglione a secco, così come è protetto il pianoro superiore davanti alla chiesa ricavato da un taglio della parete rocciosa.
Nelle vicinanze non risultano altri ruderi che facciano pensare ad una più ampia distribuzione delle murature.
Poco distante dalla struttura si nota una grossa buca scavata nella roccia utilizzata come “Calcinaio” cioè luogo dove veniva estratta e cotta la calce per muratura e non è escluso che questo possa risalire addirittura al periodo dell’edificazione dell’eremo stesso.
Poco a monte dei ruderi passa un sentiero (376 CAI) che un tempo doveva essere una viabilità consolidata che attraversando trasversalmente la montagna e che conduceva sia all’eremo di San Marco (forse coevo) che all’eremo Francescano di Campello.
Se ora è perso nella solitudine del bosco, così non doveva essere nel medioevo dove la montagna era densamente popolata, e ricca di copiose sorgenti di acqua; infatti ci viene descritta come popolata da numerose famiglie ricca di fresche sorgenti e coltivata con diverse varietà di frutta, quindi un luogo molto differente da come lo vediamo noi oggi.
 

Fonti documentative

Silvestro Nessi – Dall’eremo al cenobio: insediamenti nel territorio di Trevi – In Spoletium 33 anno XXX dicembre 1988
Stefano Bordoni – Il medioevo di Trevi Breve storia di mille anni – 2013
Durastante Natalucci – Historia Universale dello Stato Temporale ed Ecclesiastico di Trevi – 1745
Luigi Fausti – Le chiese della Diocesi di Spoleto nel XIV secolo secondo un Codice del XVI secolo – 1913
Bruno Toscano – Raccolta d’arte di San Francesco di Trevi – Catalogo Regionale dei Beni Culturali dell’Umbria 2014
Silvestro Nessi Sandro Ceccaroni – Da Spoleto a Trevi lungo la Flaminia – Itinerari Spoletini 5 Spoleto 1979

https://www.protrevi.com/protrevi/SCroceAquil2.asp

 

Nota di ringraziamento

Ringrazio sentitamente Gabriele Finamondi esperto, indiscusso ed ineguagliabile conoscitore e mappatore del territorio che mi ha minuziosamente descritto il percorso che altrimenti da solo non sarei riuscito a trovare.
 

Mappa

Link alle coordinate: 42.866672 12.778541

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