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Cenni Storici
L’eremo, ora elevato a Santuario, si trova immerso nel verde dei boschi e accanto ad una rigogliosa sorgente di acqua limpida, in un luogo isolato sulle colline di Montelovesco.
In una grotta che si apre a strapiombo sulla forra, Cecilia condusse una vita solitaria fino alla morte, avvenuta intorno al 1235-37.
Cecilia impressionò gli abitanti delle zone circonvicine per la sua vita di penitenza e per l’efficacia della sua preghiera di intercessione, specie in favore dei bambini e delle partorienti, raccogliendo una chiara fama di santità; nonostante che non sia mai stata canonizzata né beatificata dalla Chiesa, molto forte fu l’attaccamento e la devozione della popolazione locale.
Non ci sono dati certi sulla sua nascita, ma, secondo lo storico Angelini, vissuto nel XVII secolo, pare sia stata sorella del Beato Sperandeo, vissuto nel monastero di Camporeggiano.
Cecilia proveniva probabilmente da una famiglia originaria dei dintorni di Camporeggiano e forse, per mancanza di un monastero femminile, decise di ritirarsi in una grotta li nelle vicinanze per condurvi vita eremitica, scelta che non era assolutamente inconsueta per l’epoca.
Questo suo esempio fu seguito da altre giovani ed il luogo divenne fervente centro di spiritualità femminile.
Nel 1234 il vescovo Villano O.S.B (1206-1237), prendendo atto della numerosa presenza di religiose ritirate in quei luoghi sperduti, impose alle seguaci di Cecilia il passaggio dall’eremitismo isolato a quello cenobitico, cioè di vita comunitaria, pertanto si adoperò affinché nelle vicinanze fosse eretto un monastero femminile, Sant’ Angelo di Cuti, come romitorio notturno.
La chiesa venne costruita, insieme al convento di Sant’Angelo, intorno al 1237 dal vescovo di Gubbio, pochi anni dopo la morte di Cecilia; la localizzazione del convento pare sia stata nella spianata proprio sopra la chiesa, ma ad oggi se ne sono perse completamente le tracce.
Questo convento era una piccola costruzione, con preesistente chiesuola, intitolata a Sant’Angelo dove le eremite potevano trovare un rifugio protetto per la notte, potevano avere momenti di preghiera comunitaria e, durante il giorno, invece, isolarsi nella contemplazione eremitica.
Chi materialmente si adoperò per la costruzione del cenobio fu un tale Transerigo, padre di Odolina, succeduta a Cecilia come capo delle penitenti; questo si evince da una lettera con la quale il vescovo conferma, in data 2 novembre 1237, una donazione di enfiteusi fatta proprio ad Odolina.
Tuttavia, la presenza delle eremite a Sant’Angelo in Cutis non dovette essere lunga, infatti nel 1257, un preciso ordine di Papa Alessandro IV impose la soppressione di tutti i conventi femminili extraurbani, “per evidenti motivi di sicurezza“, e queste monache furono trasferite in strutture prossime alla città.
La famiglia religiosa facente capo a suor Agatella seguace di Cecilia, proseguì le sue orme e dai documenti la ritroviamo in una casa prossima alle mura che il vescovo, aveva elevato al rango di “monastero” e dedicato appunto a Santa Cecilia.
Una volta soppresso anche questo convento, la comunità prima di Sant’Angelo in Cutis, detta poi di Santa Cecilia, passò al monastero del Paradiso e quindi nel 1382, col permesso di Sisto IV in quello di Santo Spirito in città, dove furono traslati i corpi delle due Beate, Cecilia e Agatella che aveva seguito alla lettera le sue orme.
I resti della Beata Agatella sono oggi riposti in un’urna barocca, nei locali della Curia Vescovile; di quelli di Cecilia al momento si sono, purtroppo, perse le tracce.
Nelle memorie conservate nell’archivio storico diocesano, a Cecilia viene attribuito il titolo di beata ed eremita, ma mai santa.
La particolare confusione che evidentemente si ingenerò tra le masse popolari è messa bene in evidenza dal fatto che, quando in epoca moderna si volle commissionare un quadro da esporre nella chiesa, il pittore riprodusse sulla tela la figura di Santa Cecilia, la martire romana protettrice della musica.
Numerose lettere da parte dei presuli invitarono a togliere dal dipinto la palma del martirio e gli strumenti musicali, causa di ulteriore confusione nei fedeli, fino a che il quadro, troppo logoro, venne tolto definitivamente dalla chiesa.
Cecilia veniva e viene invocata, per il buon andamento della gravidanza, del puerperio e della salute dei bambini malati di poliomelite, specialmente di “infantioli” (una forma convulsiva) come attesta la Visita Pastorale del 1842.
Gli atti di alcune di queste antiche visite pastorali (per es. quella del 1635 e del 1878) riportano di una precisa ritualità, oggi abbandonata, per impetrare le grazie della Santa: i piccoli, cioè, venivano portati nella chiesa costruita nei pressi della Grotta di Santa Cecilia e qui adagiati per qualche tempo in una specie di fossa quadrangolare, al centro del pavimento della chiesa stessa; una ritualità il proseguimento di antichi riti pagani, di “incubatio” tipica dei templi dedicati a Esculapio, divinità protettrice dei malati.
Altra interpretazione del rito potrebbe essere che il corpo della Santa (scomparso) possa essere stato seppellito proprio in questa chiesa prospicente il monastero e la piccola fossa dove venivano adagiati i neonati non fosse altro che il luogo dove sia sepolta Cecilia e che i bimbi venivano qui posti quasi per avere un “contatto” che non era più possibile avere con le venerate spoglie stesse.
In una parete rocciosa del torrente Mussino si trova una nicchia dove ci sono due piccole cavità da cui sgorga l’acqua (le cosiddette “tazze“); secondo la tradizione sono le impronte lasciate dalle mani delle Santa quando si appoggiava per bere.
Anche l’acqua viene portata a casa per darla ai malati.
La Chiesa
La chiesa si ritiene costruita qualche anno prima dell’attiguo monastero, ma subì numerosi rifacimenti anche sostanziali, come dimostra lo stemma degli Olivetani che campeggia sulla facciata indicante
una ricostruzione dell’edificio fatta nel 1500, quando la chiesa venne loro affidata dopo che furono chiamati nel 1419 a vivere nell’Abbazia di Camporeggiano.
L’antico convento di suore con il tempo venne abbandonato e nel 1630 circa venne costruita l’attuale chiesa.
Nel 1892 subì una prima ristrutturazione e, poiché l’afflusso dei fedeli al santuario andava continuamente aumentando, nel 1924 venne ingrandito tutto il complesso, la chiesa, il piazzale e la strada ad opera di un pio proprietario della zona.
Per il recupero della chiesa si forma nel 2006 il Comitato pro santa Cecilia che si propone l’intento del recupero del bene che stava deteriorando, per di più che la Chiesa non era proprietà della diocesi di Gubbio ma privata, benché aperta al pubblico, per tradizione e per consuetudini ininterrotte.
Originariamente, apparteneva alla famiglia Bebi, poi è passata ai Bartolucci, quindi al professor Ciuffini, infine alla figlia, moglie del sig. Alessio Puletti.
Questi ultimi erano proprietari nel 2006, ma di recente hanno deciso di vendere tutta l’azienda e così si è verificato un ulteriore passaggio di proprietà.
Il Comitato comunque tramite accordi ha fatto i dovuti restauri che sono stati avviati il 26 settembre 2006 che hanno interessato in particolare il tetto, gli interni, la sacrestia, gli infissi, il campanile e tutto il piazzale esterno.
Nel 2010 si è provveduto anche alla sistemazione della strada con l’apporto di 20 camion di
stabilizzato, ed un privato, il sig. Paolo Ercoli ha provveduto a spalmarlo, oltre che a pulire le cunette e rifare i tagli dell’acqua.
Una volta all’anno, il sig. Luca Bei, prima della festa della santa, con un trattore attrezzato in modo idoneo pulisce banchine e scarpate da sterpaglie ed erbacce.
Aspetto
La chiesa si presenta con facciata a capanna, due transetti laterali e un campanile posto tra l’abside e il transetto di sinistra, è a torre quadrata con 4 aperture voltate con archi a tutto sesto dove al loro interno alloggiano le campane.
Una copertura a piramide con coppi di laterizio conclude la parte alta.
Nella facciata sopra la porta compare un’immagine della suora eremita e sopra lo stemma degli olivetani.
Interno
L’interno si presenta a croce latina con presbiterio rialzato di due gradini.
Nella parte absidale in una nicchia c’è la statua della suora eremita mentre nei transetti e nella navata compaiono appesi numerosi ex voto.
Festività
Le feste si celebrano il giorno di Pentecoste, il giorno dopo lunedì e la domenica più vicina al ferragosto.
Ogni 2° sabato del mese si celebra una Santa Messa alle ore 16,00 durante l’ora legale ed alle 15,30 durante l’ora solare.
Alla fine della Santa Messa si svolge la benedizione dei bambini, degli oggetti devozionali che si indossano (catenine, anelli, orologi, fedi) e dell’olio che i fedeli si portano dietro da casa da utilizzare, secondo la tradizione degli “olii sacri“, per ungere i malati.
Fonti documentative
Chiara Coletti, Mario Tosti – Santuari d’Italia -Umbria – 2013
Opuscolo in loco Tratto dal libro – “PROFILI AGIOGRAFICI” di Don Pietro Vispi – Gubbio 2008
Marino Moretti – In ascolto di Dio a Montelovesco con Santa Cecilia eremita
Borgo di Santa Cecilia
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