Eremo di San Cataldo – Cottanello (RI)
Cenni storici
L’eremo è dedicato a San Cataldo, Vescovo di Rochau, che durante un pellegrinaggio in Terra Santa morì a Taranto, dove fu sepolto nella cattedrale.
La leggenda vuole che il Santo si sia rifugiato nell’eremo per sfuggire alla persecuzione ariana, ma nessun riscontro storico ha mai avvalorato tale ipotesi, è più probabile invece che la sua venerazione abbia origini più tarde.
Il piccolo oratorio è scavato nella roccia alle pendici di una montagna, poco fuori dal paese di Cottanello.
Non esistono fonti certe in merito all’epoca cui risale l’insediamento del primo romitorio, alcuni storici sostengono che sia antecedente al X secolo, altri lo fanno risalire al XI e lo descrivono come rifugio e luogo di eremitaggio dei frati benedettini residenti nell’abbazia di Farfa.
Almeno a partire dal 1580 la messa era recitata da un canonico assegnatario di un beneficio semplice legato al titolo Cappellania S. Cataldi, cui era assicurata la rendita di un terreno.
La prima descrizione la si trova redatta in occasione della visita pastorale del cardinale Gabriele Paleotti avvenuta nel 1594, mentre non se ne fa cenno alcuno nelle note di una visita precedente, quella del cardinale Ispano avvenuta nel 1343.
Dal 1615 dipendeva da un Canonicato, cui fu successivamente annesso quello di S. Maria dei Casal, nel 1759 da quello di San Michele arcangelo in Magliano Sabina.
Il cardinale Andrea Corsini visitò l’eremo nel 1781 e descrisse un ambiente sontuoso, frequentato assiduamente dai fedeli di tutto il territorio; un insieme di edifici articolati, una campana di bronzo, numerose tabelle votive, una pala d’altare raffigurante San Cataldo; all’esterno una stradina in pessime condizioni, quasi impraticabile, e due scalinate d’accesso, forse usate nei giorni di maggior afflusso in modo alternativo, una per salire, l’altra per scendere.
Per secoli il santuario fu gestito dalla compagnia dei Santi Andrea e Cataldo, che grazie a cospicue rendite assicurava la manutenzione e le regolari celebrazioni eucaristiche; le attività cessarono quasi del tutto all’inizio dell’Ottocento; l’eremo fu lasciato poi nel più assoluto degrado.
Nel XVII secolo l’antica decorazione a fresco fu coperta da altri dipinti in stile barocco.
Sulla parete di sinistra era affrescata una veduta di Cottanello.
Durante la ritirata del 1944 una mina fatta esplodere dai tedeschi sulla sottostante strada provinciale, mandò in frantumi i tre strati sovrapposti di intonaco dipinto realizzati in secoli diversi, portando alla luce gli affreschi più vecchi.
Aspetto esterno
Si presenta incastonato in un alveo naturale del monte a diversi metri d’altezza a strapiombo sulla strada provinciale SP 45, che a sua volta affaccia su un ripido pendio il cui terreno sprofonda fino al torrente Aia.
Il fronte su strada è semplice, privo di apparati decorativi, solo alcune piccole feritoie.
Il prospetto, inserito in una cavità rocciosa, presenta un profilo piano con la tessitura muraria a vista ed è ornato da un campanile a vela.
L’eremo presenta un basamento di tre grandi arcate a tutto sesto con una ripida scalinata in pietra, realizzata nel 1888, che conduce a una porta in legno, sormontata da una lunetta e preceduta da tre gradini, che immette allo spazio sacro.
L’intero complesso è sovrastato da una smisurata roccia che fa da copertura, circondata da un bosco, ulivi e piante selvatiche.
È probabile che la costruzione nel 1888 dell’attuale strada provinciale abbia comportato tagli sulla roccia e quindi l’annullamento di antiche mulattiere utilizzate anche da San Francesco per giungere fin qui da Greccio, parte del così detto Cammino di Francesco.
Al piano superiore, parzialmente crollato e attualmente non agibile, rimangono solo un piccolo campanile a vela a un solo fornice, con campana in bronzo e un vano scoperto che affaccia sull’oratorio, protetto da una ringhiera; un muro curvilineo interrotto da due finestre, ne delimita il lato a sud-est.
La campana nella faccia interna reca incise le parole Jesus e Maria, dettaglio già riportato dal cardinale Corsini in occasione della sua visita.
Interno
La piccola chiesa, che un tempo faceva parte di un edificio composto da più stanze, è lunga 6 m. e larga 3,35; ha forma irregolare, condizionata dalla roccia naturale; si compone di due vani separati da un arco a tutto sesto.
Il primo è un piccolo vestibolo a cielo aperto, poiché nel corso dei secoli il solaio che lo ricopriva e che faceva da pavimento alle stanze superiori, è crollato.
Le pareti erano ornate da affreschi, ma anch’essi sono andati in gran parte distrutti.
Sul lato destro tramite una scala interna scavata nella roccia, di orientamento opposto a quella moderna, si raggiungeva il secondo piano, ora non agibile in sicurezza.
Il secondo vano è una cappellina absidata, scavata nella roccia, protetta da una vetrata che recentemente ha sostituito una precedente cancellata in ferro battuto.
Il pavimento è rialzato rispetto a quello del primo ambiente.
La volta a crociera che lo ricopre è divisa in quattro vele all’interno delle quali sono raffigurati episodi della Genesi.
Sulla sinistra un grande affresco del XII secolo occupa tutta la parete, riproduce il Redentore benedicente.
Al centro si trova un piccolo altare con sopra un blocco irregolare in marmo rosso di Cottanello.
Lo spazio è illuminato da due finestrelle, l’ambiente di fondo ospitante l’altare, sovrastato da una crociera, doveva essere affiancato in origine da uno spazio provvisto dello stesso sistema di copertura, poiché a destra dell’arcone d’ingresso che divide le due campate si sono conservati i resti dell’attacco della volta ad andamento concavo; le due crociere erano precedute da un’imbotte, come attesta un tratto di partito murario dal profilo arcuato conservatosi lungo la parete a destra dell’entrata.
Sul pilastro di sinistra all’ingresso è raffigurato Sant’Agostino.
In basso a sinistra un affresco quattrocentesco è rimasto in situ nonostante la detonazione, rappresenta la Madonna col Bambino.
L’affresco dovrebbe risalire all’inizio del XV secolo, il Bambino ha le sembianze di San Francesco e indossa in saio dell’ordine.
In alto, sulla fascia bianca della cornice, s’intravede una scritta in corsivo: “A di(….) dexbre [–] Vedere li sta( … ) san Cat[aldo]”; sulla fascia scura sottostante è graffita la data 1582, evidentemente riferita alla visita di un pellegrino.
È invece andata persa, frantumata, un’immagine dipinta di Cottanello vista dall’eremo, documentata da foto precedenti il 1944.
L’intera parete di sinistra è quasi interamente occupata da un affresco risalente al XII secolo: al centro del registro superiore vi è raffigurato il Redentore, seduto su un alto trono senza dorsale, che con la mano destra regge una croce astile dorata arricchita sui bordi di perle e con l’altra, aperta a mostrare il foro del chiodo, benedice alla maniera greca gli apostoli, disposti intorno a lui, sei per lato.
Indossa una tunica bianca, scesa a scoprire il petto e la piaga sul costato; la spalla destra è ammantata di un pallio aureo annodato sul ventre ed elegantemente panneggiato ai lati delle ginocchia; i piedi feriti calzano sandali con stringhe sottili.
Sul ginocchio destro del Redentore è dipinto il Tau, segno biblico di salvezza, eseguito a tempera, probabilmente in epoca successiva.
I sei apostoli in primo piano esibiscono ciascuno il proprio specifico attributo, generalmente lo strumento del martirio: a sinistra San Tommaso la lancia con cui fu trafitto, San Bartolomeo il coltello con cui fu scuoiato e San Paolo, raffigurato come d’uso in luogo del traditore Giuda, mostra la spada con cui fu decollato.
Dal lato opposto, Pietro, ritratto accanto al Cristo, oltre la croce regge anche le chiavi, è seguito da Giacomo maggiore con la bisaccia (secondo altre interpretazioni è San Giovanni con il calderone) e Sant’Andrea con la croce.
Al registro inferiore rimane scoperta solo parte degli affreschi più antichi: una porta, sormontata da due felini affrontati che sfoderano lunghi artigli e tendono una zampa, pronta ad aggredire; subito a lato un uomo dall’aspetto adulto, vestito di una lunga tunica verde e di un mantello bianco manicato, solleva verso l’alto le palme delle mani aperte.
La scena, di difficile interpretazione, raffigura forse un uomo, forse il committente che ha varcato la soglia dell’aldilà, sorvegliata dai due leoni.
Seguono sei sante, in abito bianco e palla rossa, velate e calzate allineate, in devoto raccoglimento.
Le prime tre portano la palma della mano destra aperta davanti al petto e parlano fra loro; vestono una tunica intima e una stola color oro impreziosite da ricami.
Altre due hanno il braccio piegato e rivolgono il loro sguardo verso l’ultima santa forse la Vergine che, alza le braccia rivolta verso le restanti, forse le cinque Vergini sagge della parabola evangelica, emblema del giudizio finale.
Forse l’intera scena raffigura la Parusia, cioè la seconda venuta di Cristo.
L’opera si pone in riferimento con la scuola spoletina; in particolare il viso del Redentore ricorda il Cristo crocifisso datato 1187 conservato al Duomo di Spoleto, similitudini si riscontrano con alcuni degli affreschi più antichi della chiesa di San Paolo inter vineas, della Basilica di San Gregorio Maggiore, della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo e della chiesa di Sant’Isacco, sempre nella città ducale.
L’intonaco utilizzato per realizzare le pitture più antiche è steso direttamente sulla cortina muraria, si colloca pertanto cronologicamente nella fase di prima decorazione della zona specificatamente dedicata al culto.
Rimangono altre tracce, scarsamente leggibili, della fase più antica della decorazione, residui sporadici di intonaco dipinto ove erano probabilmente affrescati ex voto, probabilmente di poco successivo alla realizzazione delle opere murarie.
Nella volta a crociera della cappellina rimangono ampi brani di una decorazione seicentesca eseguita reimpiegando quale supporto l’intonaco antico opportunamente picconato, vi si scorgono motivi vegetali e alcune scene della storia della Genesi, Eva offre ad Adamo il frutto proibito, Adamo ed Eva nel paradiso terrestre al cospetto di Dio, la Cacciata dal Paradiso, Adamo lavora la terra.
Nella zona d’altare, dopo l’arco sulla parte sinistra della volta è affrescata una Madonna in trono col Bambino, si legge la data 1443, il Bambino indossa il saio francescano, ha la mano destra benedicente e con la sinistra sorregge una rosa.
L’altare, di recente costruzione, mostra al livello superiore un frammento di marmo di Cottanello, dietro si apre una nicchia con una moderna statua di San Cataldo.
A destra dell’altare sono raffigurati due Santi vescovi, il primo è alloggiato in una stanza con pavimento a lastre di marmo quadrate bianche e nere alternate e rivestimenti in broccato, il secondo riempie uno spazio campito di rosso e tramatura di fili bianchi, circoscritto da un telaio color oro.
Tra le due figure una fenestella confessionis mostra l’interno di un piccolo vano, non si sa se si riferisca alla prima fase costruttiva.
Sopra la piccola apertura quadrangolare è incisa un’iscrizionecon su scritto : “qui riposava il capo di S. Cataldo“.
Di seguito si trova una piccola nicchia.
Sul pilastro di destra all’ingresso è raffigurato un santo domenicano, probabilmente San Tommaso d’Aquino.
Nota
Foto di Alberto Monti e Silvio Sorcini, testi di Silvio Sorcini
Fonti documentative
G. Marocco – Monumenti dello Stato pontificio e relazione topografica di ogni paese – 1833, p. 132.
M. Cerafogli – L’eremo di S. Cataldo a Cottanello. Un episodio di vita francescana – in Frate Francesco. Rivista trimestrale di cultura francescana, 1988, pp. 23-32.
C. Fantozzi – Cenni storici su Cottanello e il suo territorio – Roma, 1999
G. Finiti – A Cottanello i più antichi dipinti della Sabina – in Sabina, periodico dell’Ente provinciale per il turismo di Rieti, Rieti, F.lli Faraoni, 1957, pp. 31 e 32.
S. Piazza – Pittura rupestre medievale: Lazio e Campania settentrionale (secoli VI-XIII) – Publications de l’École française de Rome, 2006, pp. 74-77
C. Ranucci (a cura di) – L’eremo di San Cataldo: dalla ricerca alla conservazione – Roma, Miligraf, 2011
C. Ranucci – La decorazione duecentesca dell’eremo di San Cataldo a Cottanello
C. Verani – A Cottanello i più antichi dipinti della Sabina – in Notiziario Turistico dell’EPT, Rieti, 1954, pp. 20-26.
C. Verani – Cottanello e gli affreschi di San Cataldo – in Lazio ieri e oggi, Rieti, 1968, pp. 30-31.
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