Edicola Sacra di Silvignano – Spoleto

Le edicole sacre sono una delle espressioni della devozione del territorio, spesso messe agli incroci delle strade propiziatorie per i pellegrini affinchè non si lasciano ingannare da dubbi e tentazioni e imbocchino la strada giusta ( del Bene ).

 

Cenni descrittivi

Poste in genere agli incroci viari o in luoghi di particolare significato da un punto di vista civile e religioso, le edicole e le raffigurazioni in esse contenute (fossero quelle della Vergine o di Santi locali e “terapeutici“) garantivano la protezione per chiunque si ponesse in viaggio allontanandosi dalla “rassicurante” protezione delle mura cittadine.
Questa di Silvignano, villa probabilmente sorta per controllare il valico tra le valli della Spina e di Pettino, è appunto collocata lungo un percorso secondario che dalla via della Spina conduceva a Poreta e a Campello.
L’edicola è in muratura con tetto a capanna, sicuramente la più antica del territorio spoletino, è stata adattata alla curva stradale mediante l’abbattimento di una sua parte.
Nella parete di fondo della nicchia è raffigurata la Vergine attorniata dai santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista; nello spessore dell’arco sono rappresentati a sinistra San Giacomo, a destra Sant’Antonio Abate e in alto l’Agnus Dei.
Il dipinto manca di un’ampia porzione inferiore.
Tipica dell’ambiente rurale è la rappresentazione di Antonio, santo protettore per eccellenza degli animali e dei raccolti.
Dapprima attribuito alla cerchia del Maestro di Fossa, anonimo trecentesco assai attivo tra l’Umbria meridionale e l’Abruzzo che trae il nome dal trittico della chiesa di Santa Maria di Fossa in provincia dell’Aquila, l’affresco è stato poi ricondotto all’ambiente del Maestro del Dittico Cini, dall’omonima opera oggi alla Pinacoteca di Brera a Milano.
Realizzata negli anni ’30-’40 del XIV secolo, l’opera è emblematica di quella nota tendenza artistica in cui la tradizione pittorica spoletina mette a frutto le novità non solo giottesche del cantiere di Assisi.
L’edicola è custodita, ma l’affresco versa in pessime condizioni: ha bisogno di essere restaurato e consolidato per la caduta dell’ampia porzione inferiore; il tetto è stato rifatto da privati nel 2000. Testimonianze della sua frequentazione sono numerose scritte, anche ottocentesche, che costellano la superficie del dipinto, i graffiti del trigramma del nome di Cristo e della facciata di una chiesa, vicino al volto della Madonna, sotto al quale in gotico corsivo è scritto «sca maria».
Infine, lungo il bordo dell’aureola di Maria, sono evidenti i fori per l’applicazione di decorazioni.
 

I graffiti medievali

I Graffiti presenti sono il trigramma del nome di Cristo (CRISTOGRAMMA IHS) e della facciata di una chiesa, vicino al volto della Madonna, sotto al quale in gotico corsivo è scritto “Sancta Maria de Farfa“.
L’ignoto che ha inciso il graffito (forse un semplice viandante o un monaco) ha riprodotto le antiche sembianze dell’antica chiesa di Farfa che aveva due torrioni ai lati, su modello del Westwerk carolingio (grande corpo a più piani protetto ai fianchi da due alte torri mascherate da campanili).
La chiesa attuale, di aspetto ed orientamento differenti, fu ricostruita nel 1492 dal cardinale Orsini, proprio sul precedente edificio carolingio.
La chiesa abbaziale altomedievale era dotata di un’unica navata, della quale è stata accertata la larghezza (m. 10), ma non la lunghezza, che si sviluppava in senso ortogonale rispetto al santuario odierno, risalente al sec. 15°, su di un asse nord-ovest sud-est.
Su questa struttura di modeste dimensioni vennero successivamente innestati due corpi architettonici contrapposti: a oriente un coro tripartito, composto da un avancorpo quadrangolare affiancato da due torri campanarie abbinate, di cui una sola conservata, e a occidente un transetto sporgente absidato, con sottostante cripta semianulare, interrotta da un braccio rettilineo.
In un primo momento fu la parte orientale, cioè le due torri affiancate al coro quadrato – interpretato da alcuni (Croquison, 1938; Franciosa, 1964) come uno dei più puri esempi di Westwerk carolingio, a essere riconosciuta come l’originaria struttura voluta dall’abate Sicardo, soprattutto per la sua tipologia architettonica.
Indubbiamente le caratteristiche architettoniche del Westwerk, che comunque ebbe la massima diffusione oltre che in età carolingia anche nella successiva epoca ottoniana, per giungere infine, pur nella progressiva semplificazione strutturale dei suoi elementi costitutivi, fino alla metà del sec. 11° ca. (Heitz, 1991), trovano nel complesso orientale del monastero sabino, almeno dal punto di vista tipologico, un’interpretazione che risponderebbe, anche se solo in parte, a quanto si conosce di queste strutture.
La chiesa presentava una pianta basilicale a tre navate con transetto absidato, sottostante cripta “a sala” e un’originale facciata provvista di due torrioni separati da un atrio aperto verso l’interno che, almeno in questo periodo, non presenta esempi confrontabili in Italia, con l’unica eccezione dell’abbaziale di San Salvatore sul monte Amiata.

La genesi e la diffusione di questa particolare tipologia architettonica vanno ancora una volta ricercate in Europa settentrionale, specificatamente nella regione dell’Alto Reno, dove si presenta in numerosi esempi a partire dalla prima metà del sec. 11° (cattedrali di Strasburgo e Basilea; abbaziale di Limburg an der Haardt), per estendersi successivamente in altre regioni europee, in particolare in Normandia.
Anche in quest’ultimo caso viene confermata quindi la continuità di contatti di F. con i centri culturali transalpini, che rimane una costante delle vicende artistiche dell’abbazia sabina, che subirono comunque un definitivo arresto di lì a qualche anno con la fine dell’autonomia politica.

 

Fonti documentative

http://www.archivi.regioneumbria.eu/

 

Nota di ringraziamento

Si ringrazia il Sig. Pier Paolo Trevisi che ha integrato l’articolo con lo studio dei graffiti presenti
 

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