Dogana Granducale di Petriolo – Cortona (AR)
Cenni storici
L’edificio sorge ai confini meridionali della Toscana, su un percorso che univa l’Alto Tevere con Cortona e Castiglion Fiorentino, una strada le cui origini risalgono ad epoca Etrusca prima e Romana poi, infatti per lunghi tratti ricalca un “Basolato” romano che a tratti è ancora conservato e visibile.
Ai piedi della montagna che porta a Cortona si ergono Petriolo e Petrella che hanno dato il nome ad un ramo della famiglia che preferì rimanere nella sua terra d’origine anziché tentare nuove esperienze di vita lontano da qui; subito dopo la dogana, la strada inizia a salire e si snoda su per la montagna per poi ridiscendere nella piana Cortonese.
Una strada quindi che in passato ha favorito un intenso transito di persone e di merci che passavano da una Regione all’altra e una volta che si sono definiti i confini territoriali e politici dell’area, si è sentita la necessità di regolamentare il passaggio rendendolo fonte di guadagno in quanto, istituito il punto di controllo, si applicavano anche tasse proporzionate alla quantità di merci che transitavano; bastava quindi passare per pagare il pedaggio.
Verso il 1500 si cominciarono a costruire degli edifici sui confini dello Stato Pontificio con gli Stati vicini che erano al servizio doganale della Chiesa che era la beneficiaria degli introiti.
Anche il Granducato di Toscana, però pensò bene di regolamentare i traffico commerciale con lo Stato della chiesa istituendo i suoi punti doganali e questa ne è la riprova.
L’Umbria, dal canto suo, che era quasi per intero soggetta allo Stato Pontificio fu tappezzata di edifici doganali per quasi l’interezza dei suoi confini, edifici che ancora si conservano e che spesso hanno caratterizzati i territori lasciando i toponimi conseguenti.
Infatti si trovano a Borghetto di Tuoro; sulla strada tra San Giustino e Sansepolcro (Cospaia), su quella tra Valfabbrica e Gubbio, a Civita di Cascia, sul Niccone (La dogana), a Pecorone di Castelgiorgio, a Salto del Cieco (Polino), a Castiglione del Lago e nelle frazioni di Vaiano, Passo della Quercia, Beccatiquello e Petrignano; ma anche sulle porte urbiche, come si chiama ancora Porta S. Florido a Città di Castello.
A Civita di Cascia c’è una bella palazzina della dogana con sulle pietre conce i segni di nutrire sparatorie.
Furono luoghi dove si pagavano le gabelle, ma assai più spesso punti di contrabbando.
Di contrabbando profittavano e vivevano un po’ tutti; attivi gli spalloni, che, nottetempo, trafugavano sulle spalle sacchi di caffè, cacao, zucchero, grano e, a Cospaia, il tabacco.
Le località erano ricche di bettole e locande, ricovero di contrabbandieri; i pochi vigili finanzieri, o tenevano mano ai contrabbandieri o acciuffavano piccoli pesci, mentre i grossi sfuggivano sempre.
Alcuni Stati, come il Granducato di Toscana, ignoravano il fenomeno, per il sistema doganale vantaggioso.
Le dogane, secondo l’importanza, erano di I o II grado; quella di Cospaia era di I grado, staccava bollettari per sdaziare i generi coloniali, provenienti da Livorno e diretti in Umbria e nelle Marche.
Il contrabbando sempre combattuto, mai fiaccato, cessò con la fine delle dogane, nel 1860, infatti è a questa data che tutti questi punti di pagamento e di controllo vennero eliminati.
La dogana di Petriolo segnava i confini del Granducato con il Marchesato di Petrella che ne riscuoteva i pedaggi, ma che a sua volta era stato assorbito dallo Stato Pontificio, che gli faceva godere antiche immunità ed esenzioni; così lo stato della Chiesa riuscì a far entrare sotto la sua tutela anche il ramo della famiglia che da sempre aveva vantato una solida tradizione ghibellina.
Anche questo edificio perse la sua funzione con l’Unità d’Italia ed essendo in buono stato di conservazione è stato venduto ed è passato a proprietà privata per diventare una struttura abitativa a tutti gli effetti.
Aspetto esterno
L’edificio costruito proprio a ridosso della strada si presenta imponente e massiccio distribuito su due piani e un consistente sottotetto.
La facciata, nel piano basso è rivestita con massicce pietre arenarie bugnate, così come la stessa decorazione architettonica è ripetuta negli angoli della casa.
Sicuramente era provvisto anche di un locale adibito a cella, ma essendo chiuso e di proprietà privata non è stato possibile fare una attenta ispezione interna, comunque dall’aspetto esterno si presenta come un edificio ben rifinito ed in perfetto stato di conservazione.
Nell’angolo in basso a destra della facciata, nella grossa pietra bugnata angolare compare un grosso foro e non è d escludere che servisse al posizionamento di una sbarra che chiudeva il passaggio della stratta strada, per consentire un migliore controllo delle persone e merci che vi transitavano.
Fonti documentative
Mario Tabarrini – Dizionario: l’Umbria si racconta – 1982
Cecilia Mori Bourbon di Petrella – Storia di un Feudo Imperiale I marchesi del Monte tra la Toscana e l’Umbria (sec. X-XIX) – 2017
https://www502.regione.toscana.it/cartografia_storica_regionale_gi/cartografia_storica_regionale_smartviewer.html?img=5728&title=Pianta%2520geometrica%2520del%2520territorio%2520adiacente%2520alla%2520dogana%2520di%2520Petriolo