Complesso monumentale dell’Anfiteatro – Spoleto (PG)

 

Cenni Storici

Il complesso monumentale dell’Anfiteatro è situato sulla sponda sinistra del torrente Tessino, occupa un’area di circa 17.000 m², circa il 10% del centro storico cittadino, quasi una città nella città: comprende i resti di un anfiteatro romano, tre grandi chiostri, giardini, cortili e due ex monasteri con le rispettive chiese: la chiesa dei Santi Stefano e Tommaso e la chiesa di San Gregorio Minore o de griptis.
Oggi è in larga parte inagibile e in condizioni di estremo degrado, sono stati recuperati solo alcuni locali tra cui la ex chiesa dei Santi Stefano e Tommaso adibita ad auditorium.
 
 
 

Anfiteatro

È stato edificato al di fuori della cinta muraria edificazione fra il I e il II secolo d.C., durante il regno degli Antonini.
Era a forma di ellisse, di rilevanti dimensioni, l’asse maggiore misurava 115 metri, il minore 84; aveva una capienza di circa 30.000 spettatori.
La struttura muraria era in opus vittatum, muro a secco, probabilmente rivestito da un paramento in pietra, con due ordini sovrapposti terminanti forse con un attico e circondato da ambulacri con 64 arcate.
Fu utilizzato per la realizzazione di spettacoli circensi, con gladiatori e cacce; secondo la tradizione anche per il martirio dei primi cristiani, tra cui il santo patrono di Spoleto, Ponziano, ivi decapitato.
Probabilmente abbandonato dopo la soppressione dei giochi decretata dell’imperatore Onorio nel 404 e a seguito delle prime invasioni barbariche, durante la guerra gotica, nel 545, fu trasformato in fortilizio da Totila con la chiusura di alcuni ambulacri verso il torrente e degli accessi all’arena e alla cavea verso la città.
Non si hanno testimonianze attendibili dell’uso che ne fecero i Longobardi dopo che Spoleto divenne la capitale di un loro potente ducato; alcuni studiosi ipotizzano che sia stato utilizzato come base dalla cavalleria longobarda, in quanto ne consentiva l’alloggiamento e l’addestramento.
Nel XII secolo le arcate dell’ambulacro furono adibite a botteghe di commercianti, poi sopra la cavea e l’arena furono costruiti il Monastero del Palazzo e la chiesa di San Gregorio Minore.
L’intero complesso fu quindi inglobato all’interno della nuova cinta muraria eretta dopo il 1297.
L’anfiteatro divenne poi una cava di pietre a beneficio per la costruzione di altri edifici cittadini, ma probabilmente non fu utilizzato per l’erezione della Rocca Albornoziana come sostenuto da molti, è invece credibile che sia stato in larga parte smantellato già per l’erezione della nuova cinta urbica, realizzata a partire dal 1297.
Se ne perse per lungo tempo la memoria, tramandata solo dal nome della via cittadina che lo fiancheggiava, via delle Grotte, l’odierna via dell’Anfiteatro.
Fu riscoperto all’interno della Caserma Minervio nei primissimi anni del novecento dall’archeologo Giuseppe Sordini.
Attualmente dell’anfiteatro rimangono visibili all’esterno, nella zona nord, un tratto dell’ambulacro comprende 17 arcate, con buona parte di un piano e avanzi di un piano superiore, uno dei due corridoi d’ingresso largo m 3,80 e un altro piccolo corridoio d’accesso alle gradinate, largo 2,30 metri.
La parte in migliore stato di conservazione la si può però ammirare in ambienti ipogei siti nella zona sud, oggi di proprietà privata, sopra cui fu costruito il Monastero del Palazzo.
 
 
 

Ex monastero della Stella

L’ex monastero della Stella, per molti anni residenza del più gaudente ed esclusivo ordine monastico spoletino nasce al fine di assistere i malati.
Già in un diploma del 1178 si attesta l’esistenza di un Hospitale vetus Sancti Gregori, inserito fra le donazioni fatte dal vescovo di Spoleto, Transarico, al priore e ai canonici di san Gregorio Maggiore.
Nel 1227 fu fondato il secondo ospedale di Spoleto, quello di San Matteo condotto dai fretres de penitentia.
La fondazione del terzo ospedale è legata a una leggenda.
Si che, intorno al 1254, gli abitanti di Spoleto per parecchie notti videro una stella luminosissima nella zona del prato di San Gregorio, sopra di un pozzo.
Alcuni uomini coraggiosi si calarono nel pozzo e lo trovarono pieno di ossa e di corpi di bambini; in seguito a tale scoperta, il vescovo Bartolomeo Accoramboni decise di fondare in quel luogo un’istituzione.
La realtà è più prosaica: nel febbraio del 1254 il vescovo Bartolomeo Accoramboni si recò in visita pastorale all’ospedale di San Gregorio, lo trovò decadente e in pessime condizioni, per ovviare a tale situazione obbligò il priore di San Gregorio Maggiore, Giacomo, a cedere la zona del prato di San Gregorio per edificarvi un nuovo ospedale e il 22 marzo 1254 vi posò la prima pietra.
Il vescovo Bartolomeo chiamò a gestire la nuova struttura le suore dimoranti nel monastero di San Tommaso, impose loro la regola agostiniana e le mise a servizio dell’ospedale nuovo della Stella.
Poiché alcune monache di San Tommaso si erano rifiutate di obbedire, il vescovo ricorse all’inquisitore fra Andrea da Todi, che vietò loro di tornare nel vecchio monastero e papa Alessandro IV, nel 1259, ratificò il tutto.
Il vescovo Accoramboni oltre a confermare la regola agostiniana e la clausura, dettò alcune norme per il servizio e la gestione dell’ospedale, le suore dovevano avere il capo e il volto coperti e non attardarsi nei locali dell’ospedale, ma ritornare velocemente in monastero.
Nell’ospedale erano presenti due gruppi di persone: uno femminile, con a capo la magistra, uno maschile con a capo il praeceptor.
La magistra era a capo dell’ospedale e aveva autorità sulle suore pur non agendo mai di sua iniziativa, ma sempre con il consenso del capitolo dell’ospedale, che era formato dalle sorores, più numerose, e dai fratres; mentre, a motivo della clausura, negli affari riguardanti l’ospedale era rappresentata da un procuratore, che agiva sempre a nome della magistra e dei membri del’ospedale: suore e oblati.
La nuova istituzione fu dotata di numerosi beni, la cui rendita ne garantiva il funzionamento case, oliveti, vigne, terreni, pascoli, boschi situati al di fuori di Spoleto a nord della città nella zona di San Giacomo, Eggi, Azzano, sul colle San Tommaso e a sud a Ferentillo.
Tutti questi beni, come anche quelli futuri, non potevano essere alienati, inoltre i lasciti testamentari costituirono in breve una cospicua fonte di entrate, sia in denaro, sia in rendita immobiliare.
Nei pressi dell’ospedale fu eretta una chiesa, dedicata a Santo Stefano, era divisa in due parti dalla grata che divideva la chiesa esterna, aperta ai fedeli, da quella interna, riservata alla clausura.
Nel novembre del 1259 Papa Alessandro IV concesse l’indulgenza a tutti coloro che avrebbero visitato l’oratorio di Santo Stefano nel giorno della sua dedicazione e nell’anniversario di essa.
Il 28 aprile 1261 Berardo, rettore e amministratore della chiesa e dell’ospedale di San Giacomo Montis de Vegio, con il consenso degli oblati e dei conversi, nominava loro procuratore il presbitero Tommaso, della chiesa e dell’Ospedale e, il giorno concedevano tutti i loro beni a Roffredo precettore dell’Ospedale Nuovo, il quale ne prese possesso il 30 aprile.
Sui capi di vestiario e sugli oggetti appartenenti all’istituto fu da allora apposta una stella bianca; lo stesso simbolo fu apposto sui mobili e sui muri del chiostro.
Nel 1291 il vescovo Gerardo conferisce alla Stella il possesso di alcune chiese: San Giorgio di Castel Ritaldi, San Vincenzo di Spoleto, di San Martino de Aschito, Sancti Beroti e Sancti Spes de Monteluco.
Nel 1297 la zona fu compresa all’interno delle mura medievali costruite in prossimità dell’antico letto del torrente.
Nel 1318 il vescovo Paolo Trinci unì il lebbrosario de ponte Lapideo de capite Beroyti all’ospedale della Stella.
Nel 1341 fu chiesta al vescovo Bartolomeo l’annessione dell’ospedale di Sant’Angelo de Marmoribus, situato a sud di Spoleto nella zona di Arrone, dove era cessata l’assistenza ai poveri.
La richiesta fu motivata dal fatto che l’ospedale di Santa Maria de Stella non riusciva a far fronte a tutte le sue attività caritative con i soli propri redditi.
Il nuovo nome, hospitale Sancta Maria de Stella, entrò in uso attorno alla metà del secolo XIV.
Nel 1347 il vescovo di Spoleto, fra’ Bartolo, fece una donazione all’ospedale a favore degli indigenti.
Nel 1367 il capitolo della Stella, alla presenza del vescovo Giovanni, decise di riformare il numero delle monache tenendo conto delle facoltà dell’ospedale e dell’assistenza da prestare e, dopo una stima delle entrate presenti e future, fissò a diciotto il numero massimo delle monache che potevano formare la comunità.
Il 12 gennaio 1369 il vescovo Giovanni unì l’ospedale di Santa Maria della Misericordia, sito in vocabulo Turris Beroytane alla Stella, a patto che vi si continuasse l’assistenza ai malati e pellegrini.
Nel 1392 fu incorporato dalla Stella l’ospedale di San Matteo con il consenso del vescovo e del capitolo della cattedrale.
Il passaggio alla Stella fu quasi un’inevitabile conseguenza di una serie di vicende che misero in difficoltà la comunità dei Penitenti, che fino ad allora ne erano stati gestori.
Il 15 aprile 1410 Bartolomeo Serlotti, canonico di Spoleto e vicario generale della Diocesi, in un periodo in cui la sede episcopale era vacante, unì alla Stella il monastero di Santa Margherita iuxta Spoletum.
L’anno successivo furono uniti alla Stella, sempre dallo stesso vicario Bartolomeo, i monasteri Sancti Concordi e Santa Elisabetta de Corvellone extra et prope Spoletum.
Nel 1412 una bolla di papa Giovanni XXIII confermò l’unione delle rendite di Santa Margherita e di Santa Elisabetta de Corvellone a quella della Stella.
Una bolla papale del 1420 affermava che si prestava aiuto poveri e gli indigenti che, da Spoleto e dalle zone limitrofe, giungevano alla Stella per essere assistiti.
Nel 1420 la badessa di Santa Maria Maddalena di Paterno per sopperire alle necessità dell’ospedale i cui redditi a causa delle guerre erano diminuiti, mentre i poveri da assistere erano aumentati, chiese a Martino V di confermare l’unione con la Stella, già fatta in precedenza da Giacomo de Cerretanis, canonico di Bordeaux, vicario dell’allora vescovo di Spoleto Giacomo.
Il campanile della chiesa non era ancora completato nel 1420, in tale data una signora Angelilla nominò la Stella sua erede universale a patto che facesse ultimare il campanile.
La magistra del monastero della Stella, nel 1424, richiese la conferma dell’unione tra il monastero di San Concordio e la Stella a Martino V che incaricò il priore di San Sabino de Plano di verificare se effettivamente l’unione c’era stata e, in caso di risposta positiva, di confermarla.
Nel 1427, di fronte a un’ennesima richiesta del sussidio caritativo da parte del vescovo la magistra ricorse a papa Martino V, sostenendo che tale richiesta era eccessiva e poteva compromettere l’assistenza dei poveri che bussavano alla Stella.
Il papa ordinò al priore di San Sabino de Plano di fare degli accertamenti.
Tutte le persone che testimoniarono affermarono che le loro famiglie potevano sopravvivere grazie alle elemosine che ogni giorno erano elargite dall’ospedale.
Il 18 luglio 1428 il vescovo Lotto dopo aver constatato che l’unione tra le comunità di San Concordio e la Stella non era stata pienamente accolta e che fra le due comunità c’era una discordia tale da generare scandalo, convocò le due comunità affinché mettessero fine ai loro dissidi.
Nel 1440 le uniche tre monache rimaste al monastero di Santa Maria Maddalena de Colleluce chiesero al vescovo Lotto Sardi di essere unite al monastero della Stella.
Papa Eugenio IV, nel 1443, con la bolla “Ad hospitalium“, accogliendo il desiderio delle religiose della Stella, permise loro di ritirarsi dal servizio ospedaliero: da questo momento per la comunità religiosa inizierà un altro capitolo della sua storia e per l’ospedale la decadenza.
Dopo aver dimesso la cura e l’assistenza degli infermi e degli esposti le monache si concentrarono a ingrandire e arricchire il monastero, che divenne così una spaziosa e aristocratica residenza per religiose di distinta estrazione, fanciulle di famiglie aristocratiche destinate alla vita monastica per non contendere lo scettro agli eredi maschi, ma che nemmeno in convento rinunciavano agli agi e trovavano nel monastero dimora confortevole quanto quella di provenienza.
Dedicavano il loro tempo alle attività musicali, letterarie e di ricamo, godendo di speciali privilegi in totale indipendenza anche dal vescovo.
Gli ampliamenti da loro apportati furono notevoli: le architetture si fecero più grandiose con la realizzazione di porticati e chiostri e di nuovi edifici adibiti a dormitori.
Nello stesso periodo fu ampliata la chiesa di Santo Stefano che nell’occasione fu dedicata ai Santi Stefano e Tommaso.
L’antico emblema della stella, impresso in ogni luogo, nei muri e nei mobili, da simbolo di assistenza a malati e poveri divenne un ricercato blasone appannaggio di una casta eletta.
Nel 1456 le monache della Stella nominano un procuratore che le rappresentasse in tutti gli atti necessari per giungere all’unione con il monastero di San Giovanni Battista super Pusterulam.
Le religiose e gli oblati a seguito dell’unione potevano rimanere nella loro sede e mantenere una certa autonomia di governo e di amministrazione, fino a 150 fiorini.
L’unione fu confermata nel 1463 dal vicario di Spoleto Sanctes di Norcia.
Il monastero di San Giovanni con la chiesa e gli edifici, due case e tutti i beni mobili furono conferiti al monastero di San Ponziano, alla Stella andarono tutti gli altri beni posti dentro e fuori Spoleto per il sostentamento dei poveri.
Dopo il 1500 scomparve la figura del precettore e il monastero della Stella, insieme a quello di San Matteo fu posto alle dipendenze dell’abate e dei canonici lateranensi di San Giuliano e di Sant’Ansano cui papa Alessandro VI con breve del 5 settembre 1502 aveva affidato le due chiese; in tale occasione le monache della Stella assunsero la regola e l’abito dei canonici regolari.
Nel 1517 alcune suore della Stella che non si volevano sottoporre alle decisioni della curia romana incorsero nella scomunica e furono cacciate.
Il 25 maggio 1543 un commissario papale, riaffermando la giurisdizione dei canonici regolari sui monasteri di San Matteo e della Stella, ordinava che le monache, non potendo né dovendo uscire di clausura, eleggessero il primo settembre di ogni anno sette uomini con il compito di dirigere l’ospedale.
Limitava a sessanta il numero delle religiose velate e a quindici quello delle converse.
Nella visita pastorale del vescovo Fulvio Orsini in data 17 agosto 1563 si legge che in quel giorno un solo malato si trovava ricoverato nell’ospedale e che tre malati forestieri erano usciti al mattino, a fronte di 117 persone tra monache, donne ospitaliere e inservienti che vivevano con le rendite dell’ospedale e del monastero.
Nel corso del XVII secolo le condizioni economiche dell’ospedale della Stella peggiorarono; dalla città e dai poveri si levavano proteste contro le monache della Stella ed erano incominciati i tentativi per scorporare l’ospedale dal monastero per affidarlo al Comune.
Il 6 maggio 1639 le monache della Stella, dopo la visita apostolica di don Ascanio Cassiani e la decisione della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari di separare l’ospedale dal monastero, si riunirono e accettarono di lasciare l’ospedale.
Il notaio Pierpaolo Cappuccini rogò l’atto con il quale le religiose si obbligavano a versare ogni anno 300 scudi, 24 coppe di grano, 24 salme di vino, a consegnare tutti i mobili e gli utensili nonché una casa.
Il 29 gennaio 1715 il vescovo Carlo Giacinto Lascaris gettò le basi per la costituzione di un nuovo ospedale fondando la Congregazione dell’Ospedale composta da dodici membri tra sacerdoti e cittadini.
Ordinò che, oltre ai legati del Cardinale Marcello Durazzo e dell’abate Ludovico Montioni, quattro membri della Congregazione unendosi ad altrettante pie donne spoletine, raccogliessero nuovi fondi per la fondazione dell’ospedale degli infermi.
Per tale fine il barone Andrea Ancaiani donò una casa.
Dalla metà dei XVIII secolo l’antica corsia dei pellegrini dell’Ospedale della Stella fu utilizzata come stalla per i cavalli della posta pontificia.
Nel 1785-1792 il monastero e la chiesa dei Santi Tommaso e Stefano furono interessati da lavori di ristrutturazione, su progetto redatto da Giovanbattista Dotti.
Con l’Unità d’Italia, dopo il decreto di soppressione emanato dal regio Commissario Gioacchino Napoleone Pepoli le Canonichesse lateranensi della Stella, nel settembre 1863 ricevettero l’ordine di sgombro e nel mese di ottobre abbandonarono definitivamente il monastero.
Le monache della Stella furono destinate, insieme a quelle di Sant’Agata al monastero della Passione.
Mentre il piano terra ha conservato elementi cinquecenteschi, ai piani superiori si verificarono importanti rimaneggiamenti al tempo in cui gli ambienti furono adattati a caserma.
A destra della chiesa si trova un pregevole ambiente cinquecentesco con volte lunettate: era adibito a parlatorio e vi si trovava la tipica ruota.
Da qui si accede al primo chiostro, il più piccolo e antico; il lato a destra di chi entra risale al XIV secolo, presenta una serie di archi a sesto ribassato, divisi da pilastri in cotto poggianti su un basso muretto, con semplici ed eleganti centine di mattoni a vista.
L’ordine superiore è diviso dall’inferiore da una cornice ad archi trilobati e ha come l’inferiore archi ribassati, ma di più ampia luce.
Gli altri due lati sono cinquecenteschi e presentano archi a tutto sesto divisi da pilastri in cotto di forma ottagonale con capitelli in pietra, dove è presente il simbolo della stella a sei punte.
Su una parete al primo piano si legge la data 1562.
Su alcune delle porte che dal chiostro conducono ai vari ambienti sono incisi motti che indicano la funzione del locale cui si sta accedendo.
Per comprenderne al meglio il senso, occorre ricordare che si è nel monastero di lusso di Spoleto, ove erano monache provenienti dalla più ricche famiglie della città, gaudenti e restie a qualsiasi privazione.
Su una delle porte si legge:
DEUS CUSTODIAT INTROITUM ET EXITUM TUUM MCCCCCVI
Dio custodisca la tua entrata e la tua uscita 1506.
L’invocazione è tratta da Salmi, 120; il motto è interpretabile alla lettera come un augurio a chi entra e esce dal convento, ma può essere anche letto come Dio custodisca i tuoi introiti e la tue uscite, garantendo un ricco bilancio, trattandosi dell’accesso alla tesoreria del più ricco ordine monastico spoletino.
Sulla porta della cantina, di certo ben rifornita, si legge:
VINUM LETIFICAT COROMNIBUS
Il vino allieta tutti i cuori.
Un’altra porta reca il motto:
VITA CLAUSTRI OPTIMA
È ottima la vita di clausura.
La vita di queste monache era in effetti ottima, non si facevano mancare nulla.
Al piano terra un passaggio conduce al secondo chiostro, di epoca tardo rinascimentale, a due ordini, terminato nel 1596.
Si passa quindi all’oratorio e a un’ala del monastero rinnovata nel Settecento.
Sulla porta dell’antico oratorio, lungo il passaggio al secondo chiostro si legge:
CANTATE EXULTATE ET PSALITE DOMINO
Cantate, danzate e suonate per il signore.
All’ingresso del refettorio, in corrispondenza del secondo chiostro si legge:
VIVITUR EXIGUO MELIUS
Si vive meglio con poco.
Il motto decisamente mal si addice col lusso in cui vivevano le monache.
All’ingresso della cucina si legge:
IN COQUINA PERFICITUR ANIMA
In cucina si perfeziona l’anima.
Le monachelle si trattavano bene anche in cucina…
Ne è una riprova il monumentale camino con un enorme cappa sostenuta da colonne con capitelli, misura quattro metri per lato e da sola occupa un quarto dell’ampia sala.
Al termine del portico su cui affacciano gli ingressi di cucina e refettorio si trova una fontana, vi si legge la scritta:
LAVAMINE MUNDE ESTOTI
Lasciatevi lavare e siate mondi.
Si accede al piano superiore tramite un’imponente scala.
Gli ambienti sono stati completamente stravolti dall’uso militare, rimangono però due interessanti affreschi, il primo, molto danneggiato, sul portico superiore del chiostro nuovo raffigura due sante, è attribuito a Giacomo Santoro, meglio conosciuto come Jacopo Siculo; il secondo è contenuto in una nicchia inquadrata da un altare di pietra in un vasto ambiente in corrispondenza del piano superiore del portico vecchio vi è raffigurata la Madonna col Bambino in trono tra i santi Brizio e Pietro martire, nella lunetta il Padre Eterno benedicente.
Sulle candelabre si legge la data 1530, è opera di un seguace dello Spagna, era in buone condizioni, ma è stato vandalizzato in epoca recente.
Provengono dal Monastero della Stella due importanti opere trecentesche del Maestro di Cesi.
Il Crocifisso, tempera e oro su tavola, realizzato all’incirca nel 1295 – 1300, attualmente è allocato al Museo Nazionale del Ducato di Spoleto.
I dolenti sono ritratti a figura intera nelle tabelle ai fianchi del Cristo, mentre alle estremità delle braccia sono San Tommaso e Santo Stefano, a cui era intitolato l’antico convento di Santa Maria della Stella.
In alto, nella tabella sommitale cuspidata, è la mandorla con l’Eterno in gloria sorretta da due angeli.
Poco sotto le braccia di Cristo, altri due angeli volano in picchiata.
Ai piedi di Cristo, sono inginocchiati i fondatori degli altri due ordini mendicanti, a sinistra San Francesco a destra San Domenico.
Il perizoma di Gesù, quasi trasparente, col panneggio morbido che fascia le gambe, è di aspetto assai moderno, mentre ancora duecentesco è il sangue che sgorga dalle ferite nelle mani, così come i capelli che cadono sulle spalle divisi in tre ciocche, ancor più il Cristo ancora vivo, in sostanziale antitesi con le riforme giottesche e in ritardo almeno sessant’anni rispetto al patiens di Giunta Pisano che era in San Francesco.
L’Assunzione della Vergine tra le braccia di Cristo, tempera e oro su tavola, realizzata circa nel 1295 – 1300, attualmente è al Musèe Marmottan – Monet Parigi.
È probabile che la tavola sia stata commissionata dalle ricche monache agostiniane assieme al crocifisso, appena concluso il cantiere di Assisi, per essere con esso destinata al loro coro.
In tale periodo Bonifacio VIII emanava la costituzione “Periculoso“, che imponeva la clausura stretta e perpetua per tutte le monache viventi in comunità, potrebbe essere questo uno dei motivi che ha spinto le monache ad arricchire con immagini sacre il proprio ambiente.
L’iconografia è insolita e interessate: al centro, in luogo della consueta Madonna col Bambino, è l’Assunzione della Vergine tra le braccia di Cristo, negli sportelli sono raffigurate le Storie della morte della Vergine, tema piuttosto raro, forse ricollegabile alla clausura imposta: la morte alla vita terrena vista come allegoria della clausura stessa.
La cronaca della morte di Maria si legge dall’alto in basso e da sinistra a destra, comprende le seguenti scene: Commissione all’angelo, Annuncio del transito della Madonna, Congedo della Madonna da San Giovanni Evangelista, Commiato degli apostoli dalla Madonna, Agonia della Madonna, Transito della Madonna, Funerali della Madonna, Sepoltura della Madonna.
L’opera risente fortemente dell’influsso giottesco.
Dell’antico ospedale non rimane praticamente nulla, alcuni ambienti ospitano gli uffici del Teatro Lirico Sperimentale, una corsia, già utilizzata per il rimessaggio dei cavalli e come cinematografo, è rimasta incorporata all’interno della farmacia Amici.
Ora libero da servitù militari, ma in grave stato di degrado, il monastero attende il restauro definitivo e la determinazione di una consona destinazione d’uso.
 
 
 

Ex chiesa dei Santi Stefano e Tommaso

La chiesa, comunemente chiamata Santa Maria della Stella ma consacrata ai santi Stefano e Tommaso, ristrutturata su disegno di Giovan Battista Dotti tra il 1786 e il 1793, è la più importante testimonianza delle tendenze neoclassiche del tardo Settecento nelle architetture spoletine.
Le strutture architettoniche di tutto il complesso subirono gravi danni in occasione del terremoto del 1895: la guglia del campanile della chiesa, divenuta pericolante, fu demolita.
La facciata, scandita da lesene è mostra un semplice ma elegante portale coronato da un timpano.
In corrispondenza del secondo ordine si apre una grande finestra rettangolare coronata da un timpano.
L’abside all’esterno è poligonale, il campanile è a torre.
All’interno la prospettiva indirizza l’interesse verso il presbiterio e l’abside curvilinea, ornati con raffinate decorazioni in stucco e di singolare effetto scenografico; si compone di una sola grande aula luminosa ripartita da un ordine unico di lesene che scandiscono nicchie rincassate, dove un tempo si trovavano altari rivestiti in marmo.
Sugli altari si trovavano la già ricordata Croce trecentesca, sagomata e dipinta attribuita al Maestro di Cesi e alcune tele settecentesche.
L’Incredulità di san Tommaso, opera di Stefano Parrocel, datata 1758, pittura a olio su tela larga 149 cm. e: alta 195, è un notevole esemplare dell’attività umbra del pittore Provenzale che ha lasciato altre opere a Spoleto.
Appartiene all’ultimo periodo dell’attività dell’artista in cui la sua formula appare sostanzialmente eclettica con un accorto dosaggio di elementi acquisiti nella sua lunga permanenza a Roma.
Entro un tempio absidato e fra tre apostoli, San Tommaso e il Cristo occupano il centro del quadro.
La scena è resa con toni chiari e aciduli che vanno dal bianco della veste del Cristo all’azzurro, al rosso, al giallo e al verde dei manti degli apostoli.
La tela è provvista di cornice di legno intagliato, dorato e verniciato dello spessore di cm. 12.
La chiesa è stata restaurata ed è saltuariamente utilizzata per spettacoli, concerti e manifestazioni culturali.
L’adiacente oratorio intitolato a santo Stefano, di forma ottagonale, annesso all’ospedale, eretto nel 1259, fu poi ristrutturato per farne il sacrario ai caduti della prima guerra mondiale.
Sono ancora visibili all’interno le iscrizioni dedicate alle varie battaglie, gli affreschi agiografici e le liste dei caduti.
Sempre adiacenti alla chiesa vi sono alcuni ambienti settecenteschi, uno di essi è ornato da una volta a schifo affrescata.
 
 
 

Ex monastero del Palazzo

La metà sud dell’anfiteatro è occupata dall’ex monastero del Palazzo.
La storia di questo insediamento e del tutto diversa e indipendente da quella del contiguo monastero della Stella.
Già agli inizi del XIII secolo esisteva a Spoleto un ampio movimento eremitico femminile penitenziale, tra cui una prima comunità “regolare” di recluse, che si insediò sul versante sud occidentale del Colle Ciciano, lungo il Giro dei condotti, oltrepassato il Ponte Sanguineto, in un luogo chiamato Santa Maria inter Angelos, per la sua collocazione tra le ora dirute chiese di Sant’Angelo di Scisciano e Sant’Angelo di Corvellone, ma da sempre conosciuto dagli spoletini come Le Palazze.
Il 27 luglio 1232 Gregorio IX dette a Nicola, vescovo di Spoleto l’ordine di assegnare i possedimenti che l’Abbazia di San Silvestro del Monte Subasio aveva presso Cocoronum, ossia Montefalco, a Santa Maria inter Angelos.
Il 2 agosto 1236 sempre Gregorio IX confermò che il Santa Maria inter Angelos fosse esente dalla giurisdizione del vescovo di Spoleto e vi introdusse la regola da lui stesso redatta in sostituzione di quella benedettina.
In un documento del 1262 il monastero, per il suo aspetto imponente, è detto Palatium, da allora il nome fu assunto anche dalle recluse, dette monache del Palazzo.
Nello stesso documento si attesta la presenza di trenta consorelle nel monastero.
Nel 1263, a seguito dell’emanazione della regola da parte di Urbano IV, le monache furono inquadrate nell’ordine delle Clarisse.
Il 2 agosto 1236 sempre Gregorio IX confermò che il Monastero di Santa Maria inter angulos fosse esente dalla giurisdizione del vescovo di Spoleto e vi introdusse la regola da lui stesso redatta in sostituzione di quella benedettina.
Le clarisse, per motivi di sicurezza, alla fine del XIII secolo, presumibilmente nel 1295 furono trasferite da Bonifacio IX all’interno delle Mura di Spoleto, presso i ruderi dell’anfiteatro romano, in un edificio già forse sede di un ordine religioso maschile, che da allora assunse il nome di Monastero del Palazzo; non tutte le religiose accettarono lo spostamento, alcune preferirono rimanere e continuare la vita religiosa dell’antico monastero, che continua a essere menzionato nella visita del De Lunel del 1571 e del Lascaris del 1713.
Dopo la soppressione delle corporazioni religiose in Umbria (1860-1861), il monastero delle Palazze entrò a far parte del demanio statale e le monache, nel 1864 furono trasferite a San Ponziano, ove rimasero per 14 anni, dopo di che, nel 1878, si trasferirono nel complesso vicino a Sant’Omobono, quindi nel complesso di San Bernardino, a Montefranco, dove sono rimaste fino al 2016, per poi essere accolte in altri Monasteri della regione.
L’ingresso all’ex monastero del Palazzo, sorto sopra l’area dell’anfiteatro, si trova accanto alla facciata della ex chiesa di San Gregorio Minore.
Una serie di archeggiature segue l’andamento curvilineo del sottostante ambulacro dell’anfiteatro e delimita un vasto cortile che occupa circa un quarto della superficie dell’arena e della cavea.
Sotto restano diciassette arcate dell’anfiteatro, murate probabilmente quando il luogo fu trasformato in fortilizio da Totila.
Il fabbricato comprende un bel portico del seicento con cornici e modanature in cotto e un fregio sgraffito. Probabilmente l’edificio del monastero era a tre piani: al piano terra si trovano grandi ambienti e varie sale; gli spazi del secondo forse ospitavano il dormitorio e l’oratorio; l’esistenza del terzo piano si desume dalla presenza di due monofore del XII secolo.
Su tutto l’asse minore dell’anfiteatro è presente un edificio lineare dove al piano superiore sono state individuate 25 cellette tutte uguali.
In asse con questa costruzione si innesta la chiesa di San Gregorio Minore, prima edificazione che sancì il cambiamento d’uso dell’anfiteatro.
Alcuni ambienti di pertinenza dell’antico monastero sono ben conservati all’interno di un’abitazione.
I caratteri stilistici degli ambienti del Monastero del Palazzo risultano fortemente manomessi dalle esigenze della vita di caserma e dalla presenza di svariate attività come botteghe, officine e magazzini.
Alcuni ambienti sono stati ridecorati in stile liberty.
Rimangono però alcuni ambienti di pertinenza dell’antico monastero, resti di affreschi del XIV – XV secolo.
Nel 1947 alcuni ambienti furono utilizzati dall’amministrazione comunale per sistemare gli sfollati.
Nei primi anni cinquanta il monastero fu occupato da famiglie indigenti che abusivamente si insediarono nei locali del convento.
La prolungata presenza dei senza tetto, ancora presenti alla fine del secolo scorso compromise ulteriormentelo stato degli edifici.
Per molto tempo quest’area è stata chiamata “La kasbah“.
Proviene dal monastero un dipinto del 1565 di Francesca Pianciani monaca e pittrice spoletina, che fu fatto distaccare dalla famiglia e collocato nel loro Palazzo.
Suor Francesca vi si è ritratta in atto di pregare la Vergine col bambino che appaiono nell’aria sopra una città, in una falda di nuvola con testine di angeli.
Da un lato del dipinto è san Francesco e dall’altro santa Chiara.
 
 
 

La chiesa di San Gregorio minore o de griptis

La chiesa romanica di san Gregorio Minore o de griptis, già esisteva nel 1115, dipendente dall’abbazia di Sant’Eutizio.
È stata costruita sulla cavea dell’anfiteatro; la denominazione de griptis fu adottata a causa della vicinanza dei ruderi dell’anfiteatro, le cui arcate ormai spoglie e smembrate somigliavano a grotte rocciose.
È una delle tre chiese spoletine dedicate al prete martire Gregorio di Spoleto.
La decisione di costruirla in quel punto fu dei cristiani spoletini che volevano ricordare i santi locali secondo la tradizione uccisi proprio in quell’edificio dagli imperatori Massimiano e Diocleziano.
Sotto conservava un ambiente, probabilmente pertinente all’anfiteatro, convertito in cappella e denominato “camposanto“, presumibilmente la pietra indica il luogo preciso del martirio di San Gregorio.
Rifatta nel 1725 in posizione più avanzata rispetto all’edificio romanico precedente, mostra una facciata stretta e alta, scandita da quattro lesene.
Presenta un’unica navata, con finestre sulla volta nicchie ricavate nello spessore dei muri per ospitare cappelle e un presbiterio rettangolare; il tutto è ornato di stucchi.
Attualmente (2024) la chiesa è chiusa e non agibile, il controsoffitto fabbricato in canna è in parte crollato, la facciata è transennata.
Gli abitanti del vicinato denunciano di aver sentito crolli interni in occasione degli ultimi eventi sismici
 
 
 

Caserma Garibaldi

Dopo il decreto Pepoli, in un primo momento gli ambienti del Monastero della Stella e del Palazzo disponendo di ampi spazi e capaci di ospitare almeno 600 persone, situati in prossimità di risorse idriche furono destinati ad accogliere un collegio riservato ai figli dei militari, ma il progetto fu poi accantonato, in quanto troppo dispendioso.
Nel luglio 1866 in seguito alla concessione di un reggimento a Spoleto i locali furono occupati dai militari, divenne quindi sede del Reggimento di Fanteria assegnato stabilmente alla città.
Vi si alternarono ben 14 reggimenti.
Nella nuova caserma trovò poi stanza il 52° Reggimento Fanteria, meglio conosciuto come Cacciatori delle Alpi e che ebbe tra i suoi comandanti pure Giuseppe Garibaldi.
Il corpo era giunto in città nel 1905 e vi è restato fino al 1949.
Fu quindi sede di un magazzino del Genio Militare.
La grande sala di circa 250 m², nata come refettorio, fu attrezzata ed utilizzata come lavanderia.
L’antica cucina fu suddivisa in più stanze per ottenere magazzini e vani per stoccaggio merci; il monumentale camino, ancora presente, occupava un’intera stanza.
Le celle monastiche furono trasformate in abitazioni dei militari.
L’area dapprima chiamata Caserma della Stella, fu poi rinominata Caserma Severo Minervio.
Per aumentare i volumi abitativi, fu costruito un nuovo corpo parallelo alla via della Valle, oggi via dell’Anfiteatro, che sostituì il muro di cinta del monastero, cambiandone completamente il prospetto.
Inoltre per motivi di sicurezza, fu chiusa da un cancello la strada interna (via delle Murelle) delimitata dalla cerchia delle mura medioevali e dallo stesso monastero.
Nel 1910, grazie all’interessamento del Sordini, il Comune deliberò la creazione di un ingresso diretto per l’Anfiteatro, per permetterne la visione a eventuali visitatori.
Nel 1917, in parte dell’edificio, fu allestito un ospedale militare riservato ai prigionieri di guerra feriti.
Negli anni gli edifici furono manomessi in base alle esigenze del reggimento militare; considerevoli ammodernamenti strutturali avvennero nel 1940 e interessarono sia gli spazi interni sia quelli esterni; il piano terra della chiesa dei Santi Stefano e Tommaso fu utilizzato dapprima come magazzino, poi come palestra di circa 360 m²; i piani superiori furono attrezzati a camerate per accogliere il 52º Reggimento fanteria “Alpi“.
La presenza della caserma determinò la chiusura e la separazione dell’intero complesso dalla città, chiusura che è durata fino all’anno 2000 quando il comune acquisì tutta l’area a seguito della definitiva dismissione della Caserma Minervio.
Lo stato di degrado avanzò inesorabile quando tali ambienti furono abbandonati dal distretto militare.
Nell’atrio dell’ingresso principale della caserma, in via Anfiteatro, v’era una targa in bronzo, ora rimossa, che riporta il testo del telegramma datato 4 novembre 1918 inviato dal generale Armando Diaz per annunciare la sconfitta dell’esercito austroungarico e la fine del primo conflitto mondiale.
In quelle che erano le camerate rimangono interessanti testimonianze dell’occupazione da parte dei militari, elenchi dei costi sostenuti sia in termine di vite che di denaro per la prima guerra mondiale, disegni ingenui e scritte, elementi che forse andrebbero preservati da un auspicabile restauro.
 

Nota

La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
 

Nota di ringraziamento

Si ringrazia la gentilissima signora Erica Majocchi che mi ha consentito di far foto all’interno della sua proprietà e di pubblicarle.
 

Fonti documentative

G. Angelini Rota – Spoleto e dintorni – Spoleto, Panetto & Petrelli, 1905
G. Angelini Rota – Guida di Spoleto e del suo territorio – Spoleto, 1929
Francesca Bernardini – L’Anfiteatro romano e i monasteri della Stella e del Palazzo – Spoleto, Associazione Amici di Spoleto, 2006.
Giovanni Battista Bracceschi – Commentari per l’Historia di Spoleti – manoscritto in Sezione di Archivio di Stato di Spoleto, Archivio Campello.
Sandro Ceccaroni – La Storia millenaria degli ospedali della città e della diocesi di Spoleto – I Quaderni di Spoletium, Spoleto, 1978
Procopio di Cesarea – Bellum Gothicum – in D. Comparetti (a cura di), Fonti per la Storia d’Italia (XXIII-XXV), F.M. Pontani, 1981 (traduzione), Perugia, 1895.
Liana Di Marco – Spoletium: topografia e urbanistica – Spoleto, Edizioni dell’Accademia spoletina, 1975
Liana di Marco, Aurora Gasperini e Giovanni Antonelli – Esercito e città nell’urbanistica spoletina – in Esercito e città dall’unità agli anni trenta, Atti del Convegno di studi Spoleto 11-14 maggio 1988, Roma 1989, pp. 1049-1066.
Lamberto Gentili – Spoleto formato cartolina. Album di storia urbana 1890-1940 – Spoleto, 1986
L. Gentili – L. Giacchè – B. Ragni – B. Toscano – L’Umbria – Manuali per il territorio – Spoleto, Roma 1978
Carlo Pietrangeli – Spoletium (Spoleto). Regio VI – Umbria [Italia romana: municipi e colonie, s. I, vol. I], Spoleto 1939
Luigi Rambotti – I monasteri della Stella e del Palazzo: da conventi a caserma – In “Corrispondenze dall’800“, numero 2/2007, Perugia 2007, pp. 40 42
Achille Sansi – Degli edifici e dei frammenti storici delle antiche età di Spoleto: notizie corredate di dodici tavole in rame – Stab. tip. e lit. di P. Sgariglia, Foligno, 1869,
Giuseppe Sordini – Notizie dei monumenti dell’Umbria – in Bollettino della deputazione di Storia patria per l’Umbria (XII), 1907, pp. 620-622.
Bruno Toscano – Spoleto in pietre – Spoleto 2023

https://it.wikipedia.org/wiki/Complesso_monumentale_dell%27Anfiteatro

 

Mappa

Link alle coordinate: 42.738927 12.738594

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