Città di Dubios – Fiuminata (MC)
Cenni Storici
Nel territorio di Fiuminata crebbero alcuni insediamenti umani già nell’età del bronzo o alla fine del neolitico come testimoniano alcuni sporadici rinvenimenti di cocci, carboni o punte di frecce in varie località: tuttavia, la prima presenza umana documentata di un certo interesse è la “Mansio” Romana di Dubios, una città romana della Valle Somaregia o Salmaregia di cui si sono perse definitivamente le tracce.
Oggi quello che ancora ricorda la memoria di questa città è una lapide affissa sulla parete di una casa cantoniera abbandonata tra i rovi e con il tetto crollato che si incontra su un curvone prima dell’incrocio con la strada per Casaluna e all’altezza dell’incrocio con la carrareccia che porta alla Rocca di Santa Lucia; intorno per chilometri nessuna traccia di qualsivoglia rudere che faccia pensare ad un insediamento antico.
Ora per capire dov’era e che ruolo aveva sulla società, ma soprattutto sulla viabilità del tempo occorre studiare il territorio e capire i percorsi stradali dell’epoca, di cui alcuni non corrispondono alla viabilità attuale.
Tre antiche strade di notevole importanza, riattate in vari tempi, toccano la Valle Salmaregia, collegandola con l’esterno.
L’una proveniente da Nocera attraverso Bagnara e Poggio Sorifa, conduce a Pioraco ed è denominata “Prolaquense” (nome che deriva da Prolaqueum, così era chiamato Pioraco dai romani, il nome è dovuto dalla prossimità ad un lago in seguito scomparso).
L’altra si distacca dalla Flaminia a circa due km a nord di Nocera, presso Ponte Parrano, scende a Capodacqua per il Passo del Termine, e prosegue per Molinaccio, Campodonico, Belvedere, Fabriano e Ancona.
Questa è detta “Clementina“, perche ricostruita e migliorata da papa Clemente XII a cominciare dal 1734.
La terza, d’importanza storica ancora maggiore, essendo registrata già nell’itinerario di Antonio, coincide nel primo tratto con la Clementina, discende poi per la Vallefeggio e Casaluna, presso cui era l’antica “mansio” romana di Dubios, e discendeva, per la Valle di S. Croce, al fino al Ponte delle Pecore, dove sbocca sulla Prolaquense; la strada era conosciuta come “Camellaria“.
Era una scorciatoia che si diramava sulla Flaminia per “Septempeda” (S. Severino) e Ancona.
Si trattava di una delle mulattiere che congiungevano la Valle Salmaregia con Nocera e che fu convertita in strada carrabile in tempo imprecisato.
Il ruolo di questa città è dovuto al fatto che nelle regioni montagnose, talvolta si formava una comunità di tutta una valle, sotto la guida di un capoluogo, con una specie di piccolo parlamento comune dotato di giurisdizione; in questa Valle i capoluoghi guida erano Dubios e Orsara, organizzazione che fu lasciata praticamente intatta dai barbari, come i Goti e i Longobardi.
Dubios distava solo 8 miglia dalla via Flaminia ed i romani attenti com’erano allo sviluppo della rete stradale certo non mancarono di attenzioni per Dubios che divenne una “Mansio“, stazione o posta per cavalli; su queste strade poi transiterà il cristianesimo che convertirà le genti partendo dai più umili e forse la storia di questa città proprio al cristianesimo è legata.
Durante l’epoca augustea l’Italia conobbe un periodo di pace per cui furono risistemate le strade e fiorirono le arti, ci fu anche una divisione territoriale e l’Umbria formò la regione VI comprendendo la Valle di Salmaregia.
Ora per capire dove si trovasse la piccola cittadina di Dubios sede della “mansiones“, non essendoci documenti che l’attestino, occorre affidarsi ai ritrovamenti archeologici, seppur limitati, che nel corso degli anni sono stati rinvenuti nella zona.
Tra Casaluna e Orve furono trovati pezzi di laterizi romani, ruderi di fabbricati, resti di mura, scheletri umani, qualche statuetta, inoltre nella zona fu trovato un sepolcro romano oltre a molti resti di antiche fabbriche, rottami e tegole; inoltre nell’Itinerario di Antonino Pio (imperatore romano dal 138 al 161), “Itinerarium Antonini” che altro non è che una lista di “stationes” e “mansiones”, cioè posti di riposo e di mutamento di cavalli, situati a convenienti intervalli lungo le strade militari e consolari dell’impero romano questi posti vengono così elencati:
Nucerie mpm XVIII (da Mevania)
Dubios mpm VIII
Prolaque mpm VII
Septempeda mpm XV
(dove mpm sta per “miliaria plus minus” ovvero “miglia, più o meno“)
Dubios doveva dunque trovarsi a mezza strada tra Nocera e Pioraco, a otto miglia di distanza, equivalente a circa 12 chilometri, dai due luoghi.
Con il tempo si sono intensificati i ritrovamenti di rovine intorno a Casaluna, però il termine Dubios era definitivamente scomparso, fino a che lo studioso Feliciangeli non si è accorto che in antichi documenti medievali compariva una chiesa (oggi scomparsa) detta: “S. Maria Uggii (Ugii), Plebs Orbis, Plebs Dugii, Plebs Uczi” e simili.
Sulla scorta di norme filologiche riguardanti la trasformazione dei vocaboli, arrivò alla identificazione di “Dugius” con “Dubios” e con “Giuggiano“.
La trasformazione si snodò press’a poco nelle seguenti fasi: “Dubios, Dubius, Dugius, Dugianus, Giugianus Giuggiano“, o, nell’uso dialettale umbro, Ghiugghiano; si ricorda che a Casaluna sopravvive il vocabolo “Giuggiano“.
In seguito a questa scoperta si provava che l’antica mansione romana sorgeva vicino a Casaluna e Orve, cioè sulle rovine li trovate.
La conferma definitiva dell’ubicazione della città si ebbe nella primavera del 1953 quando, a valle di Casaluna, fu trovato un grosso cippo di pietra con iscrizione latina (ora conservato presso il Museo archeologico di Nocera Umbra); si trattava di una pietra miliare, che i Romani ponevano a intervalli lungo le strade consolari, con su scritto il numero delle miglia da Roma o da altri luoghi, qualche volta con altre indicazioni, come nel caso presente.
Il cippo, posizionato dall’imperatore Vespasiano in occasione dei lavori di restauro del diverticolo della via Flaminia per Ancona passante per Pioraco (Prolaqueum) e San Severino Marche (Septempeda), fu trovato in un campo ai piedi del Passo del Termine accanto al casale di Santa Croce, vicino al Fosso di Giuggiano, misura m. 1,86 d’altezza, 1,60 di circonferenza, 0,50 di diametro ed è il più grande e il migliore rinvenuto sulla Flaminia; in esso c’è scritto:
“lmperator Caesar Vespas(ian)us, augustus, pontifex max(imus), trib(unicia) pot(estate) VII, imp(erator) XVII, pater patriae, censor, consul VII, designatus VIII CXV”
cioè:
“L’imperatore Cesare Vespasiano Augusto, Pontefice Massimo, insignito della Potestà Tribunizia sette volte, acclamato imperatore diciassette volte, Censore, Console la settima volta, designato per l’ottava. (Miglia da Roma) 115“.
I dati indicano l’anno 76 d. C. quindi il cippo fu eretto al tempo, in onore e per iniziativa dell’imperatore Flavio Vespasiano; purtroppo però il cippo si ruppe durante il trasporto quindi la scritta ha subito qualche danno.
A questo imperatore gli successe Tito il 23 giugno del 79 soprannominato “delizia del genere umano“, fu uno dei migliori imperatori, ma regnò solo due anni e anche lui ebbe cura anche nelle strade, compresa quella di Dubios; infatti su questa stessa strada, presso San Severino, si rinvenne un’altra pietra miliare col nome Tito, dell’anno 80.
Quindi la via Nocera-Septempeda era già importante, inclusa nella rete ufficiale dell’impero e ben frequentata, assai prima di Antonino Pio, all’epoca del quale si attribuisce l’Itinerario denominato da lui.
L’Alocchi misurò accuratamente le distanze, giungendo alla conclusione che da Nocera al luogo in cui fu piantata la pietra intercorrevano appunto 8 miglia romane, come porta l’Itinerario.
La pietra era un poco fuori del centro di Dubios, e non presso il Ponte delle Pecore dove molti posizionavano l’agglomerato principale della cittadina e da cui si calcolavano le distanze, ma circa due chilometri più su verso sud-ovest.
Il grosso di Dubios giaceva nell’area del Colle Cistoppio, entro l’ambito del 115° miglio segnato sul cippo, mentre abitazioni sparse s’estendono all’intorno per un largo raggio, d’altronde le abitazioni private, anche lussuose, erano disseminate nei territori, cosi le officine, le terme, il teatro magari in legno, gli alberghi e i luoghi di culto.
Il territorio della civitas di Dubios, compreso quello della sua scomparsa Pieve, secondo gli ultimi documentatissimi studi, va da Casaluna a Orve e Campagliolmi.
Secondo studi recenti il nome “Dubios” è di origine celtica e significa “luogo acquitrinoso, palude“.
Principali rappresentanti della gente celtica erano i Galli, stabilitisi soprattutto in Francia, dove ad esempio un fiume, affluente del Saone, è tuttora denominato “Doubs“, ed è ricordato così anche da Strabone e da Cesare (secolo I av. C.).
Gli scozzesi, pure di origine celtica, hanno la parola “dub“, palude, usata anche in inglese.
Questo nome si giustifica perché l’alto Potenza, più ricco d’acqua in passato che non ora, straripava frequentemente da Pioraco in su; perciò il governo, durante la guerra 1915-1918, vi fece eseguire lavori di prosciugamento dai prigionieri austriaci.
Approfondendo la ricerca toponomastica della zona si scopre tra l’altro che altri nomi della regione hanno origine celtica; così Pennino, Penna, Pordinaldo, Puro, Purello, Purillo, Bordaino, Burella, è ovvio quindi che i Galli si erano infiltrati fino qui nel periodo della loro massima espansione quando invasero l’Italia nel secolo V a. C. quando respinti in seguito dagli Umbri e dai Piceni al nord del fiume Esino, furono costretti a restare.
L’esistenza di Dubios è documentata quindi dall’Itinerario di Antonino e datata dalla pietra miliare; sicuramente quel percorso, attraverso i Passi del Termine e di Carosina e diramantisi per Molinaccio e Pioraco, era la via più naturale tra i due versanti appenninici e sicuramente la strada ha ricalcato antichi sentieri.
La “Mansio” di Dubios si posizionava al riparo dei monti, posto conveniente ad una sosta per fornire di ristoro i viandanti e i loro giumenti, ed è così che si sarà sviluppato il villaggio che divenne il centro dell’organizzazione vicinale per tutti quelli vicini, posti tra le gole dei monti, da Sorifa a Laverino; nella sua organizzazione edilizia avrà avuto la sua fortezza, il tempio, la locanda, ricoveri, stalle, officiali e funzionari.
Con il flusso dell’utenza stradale villaggio prendeva l’aspetto di piccola città, e grazie alla sua qualità di centro topografico, avrà dato vita a piccole industrie e al piccolo commercio, con conseguente afflusso di venditori ambulanti dai paesi vicini e lontani tra questi non saranno mancati gli Ebrei di Norcia e di Nocera e periodicamente vi saranno anche state fiere di bestiame, di schiavi e d’altro.
Con l’attribuzione di “mansio” o posta di cavalli per Dubios, vuol dire che quella strada fu aperta al gran traffico ed elevata a consolare; questo favorì il passaggio di distaccamenti di soldati avviati alle guarnigioni poiché quella strada serviva di scorciatoia fra buona parte del Piceno e l’importantissima Flaminia.
Sicuramente con la caduta dell’Impero romano e le conseguenti invasioni barbariche, quella strada che era stata la ricchezza di Dubios ne divenne la sua rovina e in seguito alle distruzioni la “mansio” sparì; coloro che scamparono alla furia distruttrice barbarica trovarono rifugio sulle circostanti alture e secondo alcuni i dispersi di Dubios avrebbero edificato Laverino, Varnano, e il Castello di Gista.
Queste persone scampate alla distruzione di Dubios, ebbero come legame probabilmente la religione e come comunità si ritrovò presso la chiesetta di S. Maria di Orve, ad essa rimase il nome della cittadina distrutta, ma storpiato: “S. Maria de Plebe Dugii“.
La Pieve di S. Maria di Dubios più tardi detta di Orve, documentata a partire dal 1246, scomparve fra il XVII ed il XVIII secolo; di essa oggi non restano più tracce.
La zona circostante fu detta dallo stesso nome storpiato allo stesso modo: Giuggiano; ma i successivi abitanti dimenticarono che tali denominazioni si riferissero all’antico Dubios e i loro discendenti lo ignorarono a lungo.
Sicuramente, oltre alle lotte tra Bizantini e Longobardi essendo posti ai confini del Ducato, non mancarono le invasioni saracene che lasciarono tracce di toponimi che tutt’ora esistono quali “il Turco” o “Turchia” nelle vicinanze di Casaluna e “Africa“, presso Parrano di Nocera.
Anche Giuggiano, conosciuto come castello e passato nel corso della sua storia sotto diversi proprietari fra cui i Varano, già nel 1573 Mons. Camaiani, Visitatore apostolico, ne aveva trovato solo le rovine e nessuna traccia della chiesa o oratorio di S. Fortunato.
Oggi risulta difficile stabilire con esattezza dove sia stato il castello, ma a 200 metri dall’attuale chiesa di Casaluna esistono delle rovine che vengono dette dagli abitanti “il Palazzaccio” che confermerebbe il posto dove sorgeva il castello di Giuggiano che lo storico jacobilli nel 1653, annovera tra gli undici Castelli del Comune di Nocera.
Fonti documentative
Agostino Guido Biocchi – La Valle di Somaregia o Salmaregia – 1989
http://www.comune.fiuminata.mc.it/