Pieve di Santa Maria Annunziata – Mevale di Visso (MC)

Cenni Storici

La chiesa è costruita, in località Mevale, fra il 1101 ed il 1205, anno della sua consacrazione. Le due date sono incise rispettivamente su una pietra del campanile e su una colonna dell’interno. Nel 1282 la primitiva chiesa è trasformata ed ampliata in un organismo a tre navate. A causa dei danni provocati da un terremoto, alla fine del sec. XV, più precisamente fra il 1491 ed il 1495, è rifatta la facciata e realizzato il portale per mano di Giovanni di Gianpietro di Venezia. Allo stesso periodo e forse allo stesso autore potrebbe appartenere il portale del portico laterale. Il portico è costruito nel corso del sec. XIV, in esso è ancora visibile un affresco dello stesso periodo ispirato all’Ultima cena. Il campanile è ricostruito con materiale di recupero nel corso del sec. XIX. La chiesa è danneggiata dal terremoto del 1979 e restaurata e consolidata fra il 1982 e il 1983. Nel corso dei lavori sono riportati alla luce gli affreschi della navata centrale datati 1492. L’interno delle chiesa è decorato con affreschi dei secc. XV, XVI e XVII. In particolare: nel 1492 Tommaso di Pietro da Visso, Benedetto di Marco da Castelsantangelo e Paolo Bontulli da Percanestro affrescano gli spazi della navata che fiancheggia il portico e quelli della navata centrale; nel 1500 Giovanni Battista di Norcia affresca l’arco trionfale e l’abside; nel 1600 Fabio Angelucci e Ascanio Poggini dipingono un Giudizio Universale sulla contro facciata; altri affreschi sono opera di Camillo Angelucci ed una Madonna con Bambino è attribuita a Gaspare Angelucci. Nel 1973 si restaurano gli affreschi presenti nella chiesa. Nel 1478 si mura l’ultima arcata a sinistra della navata per creare un sacello. La chiesa è danneggiata dal terremoto del 26.9.1997

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Mevale è un piccolissimo paese ai confini dell’Umbria, oggi amministrativamente nelle Marche, che dista 25 KM da Visso. Un paesino di poche case, distrutto dal terremoto che colpì l’Umbria e le Marche nel 1979 e che lasciò in piedi solo la pieve ed un paio di abitazioni. Un vasto piazzale divide la Pieve del paese: gruppi di case crollate la cui presenza è testimoniata dai resti delle murature e dai cumuli di pietra grigio rosata posti lungo le stradine tortuose. Il castello, di cui non restano che modeste tracce, sorgeva oltre il piazzale. Sappiamo che era molto popolato e aveva alle dipendenze sette ville. Il borgo vi nasceva accanto e si adagiava sul versante del colle. Oggi sono rimaste poche persone a viverci, perlopiù anziani, insieme alle pecore e ai cani da tartufo: si anima solo d’estate quando arrivano da Roma i familiari e allora si sente la voce della televisione come un eco fuori luogo. Eppure questo paese è stato in passato abbastanza importante. La pieve originaria era stata dedicata nel 1101 alla SS. Annunziata, come risulta da una pietra incisa sulla parete del campanile. Nel suo interno colpiscono le pareti riccamente decorate. L’affresco più antico si trova sulla parete sinistra e raffigura un torneo di cavalli. Il Fabbri ci informa che il torneo era stato organizzato dal duca di Alviano per commemorare l’avvenimento miracoloso della scomparsa dell’immagine della Madonna del Monte dalla chiesa omonima e della sua comparsa a Mevale, trasportata da angeli nella Chiesa della Fonte. Il fatto prodigioso, ricordato dalla tradizione popolare, trova conferma in diverse fonti, tra cui la cronaca di una visita pastorale che ebbe luogo nel 1712. Un documento risalente probabilmente al 1282 narra come l’immagine consacrata della Vergine Maria, dipinta su tavola, venisse miracolosamente trasportata dagli angeli nel luogo comunemente denominato Mevale e deposta in un piccolo sacello situato accanto alla fonte vicino al castello, dove cominciò ad acquistar fama per i suoi numerosi prodigi. Tra questi, il più eccezionale fu che, essendo stato deciso dalla comunità di Mevale e dei paesi vicini di trasferire l’immagine in una chiesa più grande, per tre volte fu riportata dagli angeli nella piccola cappella ove inizialmente era stata deposta. Si deve al duca di Alvino l’ampliamento e l’abbellimento della chiesa, con la costruzione del sacello che ospitava il dipinto chiamato in seguito Madonna di Mevale. La preziosa immagine si conserva dopo il restauro nel Museo di Visso; si è così sottratta a un tentativo di furto perpetrato dai vandali che erano riusciti ad entrare nella Chiesa di Mevale rompendo la parete adiacente il sacello. Il miracolo si ripeté nel 1492, come risulta da un iscrizione sul muro laterale della Pieve. Fu in quell’occasione che l’affresco trecentesco, che doveva apparire illeggibile, fu ritoccato e sui drappi dei cavalli vennero aggiunti gli stemmi dei Savoia. In quell’anno, come racconta il Feliciangeli, passarono per Mevale i 4000 cavalli della truppa di Luigi I d’Angiò, accompagnato dal Conte Verde Amedeo VI di Savoia. Lungo la navata centrale, sopra le arcate, sono gli affreschi rappresentanti la Madonna con Bambino e Santi. I dipinti portano tutti la data del 1492 e i nomi degli offerenti. Questi affreschi erano coperti dallo scialbo, spesso strato di pittura a calce che si usava dare sulle pareti dei luoghi comunitari come disinfettante durante le pestilenze, ma anche, in epoche non lontane, per coprire il degrado delle immagini devozionali. Dopo il restauro eseguito, i dipinti hanno riacquistato la loro freschezza, e ricordano quei preziosi tappeti con cui si usava ornare i balconi al passaggio delle personalità illustri. I documenti dell’archivio di Norcia permettono di ricostruire le vicissitudini di Mevale, dalla concessione del territorio fatta nel 1378 dall’erede Tommaso Alviano al Comune di Norcia fino alla contesa con Spoleto e alla pace imposta nel 1504 dal Pontefice Giulio II e firmata proprio a Mevale. I documenti portano anche a conoscenza che in quel castello fiorì un popolo molto aperto alla cultura e alle arti.. Un attitudine sviluppatasi sicuramente in seguito alle richieste di ornamento delle chiese, con opere di intaglio di mobili, pulpiti, confessionali, con pitture ad affresco e su tela. Possiamo supporre che alludano alla dinastia degli Angelucci, pittori e scultori operanti sia nella Pieve che nei territori vicini, come Norcia, Spoleto, Foligno e Cascia. Un interessante famiglia di artisti che ho imparato a conoscere nel corso dei restauri compiuti tra il 1981 e il 1984, attraverso i quali ho potuto approfondire il loro linguaggio pittorico e decorativo mettendo in luce opere il più delle volte poco note o addirittura sconosciute.
La Pieve di Mevale ha subito molti interventi di consolidamento e tamponatura delle pareti, in conseguenza delle lesioni derivate dai terremoti che hanno afflitto la zona. Certamente il più grave fu quello riportato da Lucantonio Chracas nella sua cronaca: “ … all’improvviso poi la sera del 14 gennaio del corrente anno 1703 in giorno di Domenica a tempo nero e piovoso, sopravvenne a un’ora e tre quarti circa di notte un cotanto fiero, e terribile scuotimento di terra, che Norcia, Cascia, le Preci, e molti altri luoghi minori circonvicini ne restarono in un momento interamente disfatti, e come poi si seppe, più che ottocento persone vi perirono.”. L’episodio, drammatico, fa meglio comprendere l’esodo delle genti da quelle terre un tempo fiorenti e il degrado del Castello e del borgo di Mevale, mentre la Pieve, che custodiva l’immagine della Madonna del Monte, seguitò richiamare i fedeli e a essere meta di pellegrinaggi. In conseguenza del terremoto del 1703 la parete destra dell’arco trionfale era stata tamponata con blocchi di tufo fino al soffitto: operazione che risultò provvidenziale quando, nel 1979, un nuovo movimento tellurico sconvolse la Valnerina rendendo necessari urgenti lavori di consolidamento. L’impresa appaltatrice aveva già eseguito gran parte degli interventi sulle strutture architettoniche quando iniziai i restauri degli affreschi. Un ponteggio era stato montato di fronte alla parete tamponata, e il capo cantiere mi avvertì che, nel togliere le pietre di tufo, si erano intravisti sul fondo dei frammenti di colore e i lavori erano stati fermati. Salita anch’io sul ponteggio, facendo la massima attenzione, cominciai con un mio aiutante a sfilare i blocchi, i modo da salvaguardare un eventuale presenza di pittura. Vennero così alla luce sulla parete originaria i resti di un dipinto e, trattenuti tra questa e i blocchi, un infinità di polvere. Con grande pazienza, man man che si toglievano i blocchi, prendevo questi frammenti e li appoggiavo su un “letto” di sabbia. A un certo punto venne alla luce un pezzo più grande, pericolosamente distaccato, che mostrava, chiaramente visibile, l’immagine di una Madonna con Bambino, dai colori accesi, con il manto azzurro e verde, il volto ben disegnato e dipinto con sicura maestria. Proteggemmo il frammento con una velinatura e lo staccammo dal supporto adagiandolo sulla sabbia. Gli ispettori della Soprintendenza, da me informati del ritrovamento e venuti sul posto, decisero di procedere all’assemblaggio dei pezzi di intonaco caduti, unendoli al frammento più grande raffigurante la Madonna nel tentativo di ricomporre l’immagine. Il lavoro più delicato si svolse in laboratorio, quando furono svelinati i frammenti e come in un “puzzle” cominciai a riordinare i piccoli pezzi, secondo i colori, la forma, il disegno e il verso della pennellata, individuabile nello spessore della materia. Un operazione paziente da cui dipendeva l’esito della ricostruzione e che ha permesso infatti, con grande soddisfazione, di reintegrare una parte sinistra del fondo rendendo parzialmente leggibile un paesaggio, la spalliera del trono, parte del manto e la mano del Bambino. L’immagine pittorica ricomposta è stata di nuovo melinata, poi capovolta delicatamente per consentire l’intervento sul retro. Sull’intonaco di supporto della pittura, assottigliato con le raspe, sono state incollate le garze e l’insieme è stato infine montato su un pannello di vetroresina armato. Nell’incollaggio è stato usato un materiale inerte per facilitare un’eventuale futura separazione del dipinto dal supporto. La pulitura, eseguita dopo la svelinatura, ha scoperto una sensibile cromia che è stata valorizzata con un intervento di reintegrazione pittorica ad acquerello. Il pannello con la Madonna è ritornato poi nella Pieve, murato poi nella parete che in origine accoglieva la sacra rappresentazione. Le fonti storiche riferite al Castello di Mevale, messe in luce da attenti studiosi della storia umbro marchigiana quali il Morini e il Pirri, ci parlano della fortuna e della prosperità di cui godeva il paese nei secoli XVI e XVII. I notabili del luogo commissionavano moltissime opere d’arte e tra gli artisti allora più accreditati erano gli Angelucci, noti come, pittori, intagliatori e scalpellini. Una famiglia di artisti composta da Gaspare, il capostipite, dai figli Camillo e Fabio e dal nipote Ascanio Poggini. Un documento citato da Morini e Pirri ci informa dell’esistenza di un altro membro della famiglia, un certo Maestro Battista, di cui tuttavia non si conoscono opere firmate. Egli si trovava ad Ancona nel 1553 con Gaspare e Camillo per assistere alla vendita dell argento ricavato dalle elemosine. La Chiesa di Mevale è colma delle opere degli Angelucci. Sulla parete della navata destra, fino al 1981 coperta dagli scialbi, sono ora visibili gli altari dipinti e le decorazioni a motivi architettonici eseguite da Fabio e Camillo. Sopra la porta d’ingresso è un Giudizio Universale dipinto da Fabio Angelucci e da Ascanio Poggini nel 1600: il tema del giudizio veniva spesso raffigurato nelle chiese per manifestare lo spirito della controriforma e sancirne il dogma. Tra gli esponenti della famiglia eccelse il capostipite Gaspare. Stando al Morini e al Pirri, sembra che egli si sia formato nelle botteghe umbro marchigiane, e a questo proposito va ricordato come a Norcia verso la fine del XV secolo operasse lo scultore dalmata Giovanni Duknovich o Giovanni da Traù. Le stesse fonti parlano di Gaspare come di “valentissimo intagliatore e scalpellino”. Ciò giustificherebbe la scarsità di dipinti con la sua firma, poiché nella realtà il suo intervento non si esauriva con la pittura ma comprendeva la costruzione stessa degli altari dei tabernacoli di cui curava l’intaglio e la doratura e ogni minimo dettaglio decorativo. Altri studiosi lo vedono piuttosto come un seguace della scuola raffaellesca, pur riconoscendolo operante a Mevale e nei vicini centri. Bisogna tuttavia riportarsi alla concreta realtà del tempo e considerare che allora i contatti con Roma erano più frequenti di quanto avvenga oggi, anche per l’uso della transumanza, che durante i mesi invernali generava un vero e proprio esodo delle genti del luogo, con le loro greggi, verso i prati della campagna romana. Un usanza che si è perpetuata fino ai giorni nostri creando e legando parentele tra la Città Eterna e queste sperdute terre degli Appennini umbro marchigiani. Opera assai rappresentativa di Gaspare è un tronetto, collocato all’origine all’interno del sacello, formato da una nicchia centrale, che ospitava l’immagine miracolosa della Madonna col Bambino, e da due sportelli laterali con dipinti raffiguranti S. Pietro e S. Paolo. Anticamente era possibile raggiungere il sacello da una porta che dava sull’esterno e che facilitava il passaggio dei pellegrini, ma in seguito al tentativo di furto la parete venne murata. Il tronetto, quando lo trasportai nel mio laboratorio, era in uno stato pietoso: pezzi mancanti, tracce di bruciature, grossolane ridipinture a tempera sulla decorazione architettonica. Sulla predella c’erano numerosi graffi e cadute di colore.L’umidità aveva ulteriormente peggiorato le cose: il colore spolverava e la parte destra del mobile era completamente marcia. Il restauro ha posto come prima condizione un’attenta opera di consolidamento e di ripristino di alcune parti lignee, mentre sulle pitture si è intervenuti usando la medesima metodologia con la pittura, la stuccatura e la reintegrazione pittorica a “rigatino” delle lacune e una patinatura finale a cera. I problemi derivanti dall’umidità costante e dalla rigida temperatura invernale hanno consigliato gli ispettori della soprintendenza di conservare questa importante opera di Gaspare nel Museo di Visso. Questo museo, situato nel centro storico della cittadina accanto al Duomo, deve la sua esistenza al lavoro appassionato del dottor Ado Venanzangeli, ispettore onorario e attento studioso dell’arte umbro marchigiana. No c’è dubbio che la raccolta di opere del museo rappresenti un importante rassegna dell’arte fiorita nel territorio tra il XV e l XVII secolo, di grande interesse per chiunque voglia approfondire questo aspetto dell’arte italiana. Molte sono le opere attribuite agli Angelucci che è possibile ammirare nel museo, come i dipinti su tavola di Gaspare, gli affreschi di Camillo o la tavola di Camillo e Gaspare con il tabernacolo. Sono anche esposti i due tabernacoli intagliati, dorati e istoriati da Camillo con deliziose miniature. Degna di rilievo, ampio parere, è la scultura in legno policromo di un S. Sebastiano attribuita a scuola marchigiana, che tuttavia lascia intravedere latamente il linguaggio rude di Gaspare.

Pubblicazione di Veronica Hartman:
” Gli Angelucci di Mevale 1510-1610 Storia di un
restauro e di due scoperte” VERONICA HARTMAN, pubblicato a Milano 1991 da FENICE 2000.

Per approfondimenti maggiori: www.comune.visso.mc.it

 

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