Chiesa ed Eremo di San Benedetto, detto “La Romitoria” – Ferentillo (TR)
Cenni Storici
Si trova lungo l’antico percorso che da Ferentillo conduceva a Spoleto, valicando i monti Solenne e Fionchi, appena a monte della celebre abbazia di San Pietro in Valle, con cui è in contatto visivo, di fronte al castello di Umbriano, anch’esso a vista sull’altra riva del Nera; secondo la popolazione del luogo è l’eremo originariamente abitato dai monaci Lazzaro e Giovanni.
Le sue origini vanno pertanto cercate nella leggenda, che a volte si intreccia con la storia e ne supplisce la carenza di informazioni documentate.
L’11 aprile del 491 d.C. si insediò sul trono dell’impero Anastasio I Dicoro, fedele all’eresia monofisita, fin qui è storia, a seguito di ciò, e qui inizia la leggenda che però probabilmente deriva da fatti realmente accaduti, ancorché non documentati da fonti: trecento monaci siriaci, per sfuggire alle persecuzioni, s’imbarcarono verso l’Italia.
Accolti qui da Papa Ormisda, con la sua autorizzazione si recarono ad evangelizzare popoli che vivevano sull’Appennino umbro marchigiano e fra cui il cristianesimo non era ancora molto diffuso.
Fondarono eremi e abbazie lungo la via Flaminia o nei suoi pressi, tra i monaci più noti ricordiamo Spes, Eutizio, Fiorenzo, Isacco, Mauro e suo figlio Felice.
Fra gli eremiti che si stabilirono in Valnerina, meno noti dei sopra citati, ci furono Lazzaro e Giovanni, della cui vita poco si conosce.
Dopo aver predicato a lungo nello Spoletino, intorno al 535 decisero di stabilirsi in una grotta alle falde del monte Solenne, poco lontano dal fiume Nera, che solcava la valle.
Qui vissero in quiete e preghiera per decenni, finché, nel 575, Giovanni morì.
Resosi conto che, ormai ultraottantenne, non avrebbe più potuto badare da solo a sé stesso, Lazzaro pregò allora san Pietro di aiutarlo.
Secondo la leggenda l’apostolo apparve in sogno al fondatore del ducato longobardo di Spoleto, Faroaldo I, per invitarlo a cercare l’eremita e a costruire per lui un monastero nel quale pregare insieme ai suoi discepoli.
Così fu fondata la ben più celebre abbazia di Ferentillo.
Ovviamente non si ha certezza che la grotta qui presente sia stata l’originario eremo dei due Monaci siriaci, una grotta ancor più prossima all’abbazia è forse candidata più credibile, ma vista la vicinanza e la dedica a San Benedetto un collegamento tra eremo e abbazia esiste con certezza.
Il nucleo originario dell’insediamento è certamente la grotta, che presenta evidenti segni di adattamento abitativo, ovviamene non è possibile stabilirne l’epoca in cui è iniziata la frequentazione umana.
Nel sito non si rinvengono attualmente reperti o testimonianze di epoca romana, dalla letteratura si apprende che sulla soglia del recinto si leggeva l’iscrizione:
T(ITUS) TTEIUS T(ITI) F(ILIUS) / QUIR(INA TRIBU) SABINUS / [T]ETTIA PRIMA [FE]CIT;
il reperto è conservato all’interno della vicina abbazia ove si trova un cippo romano recante l’iscrizione:
P. CRASTINUS P.F PAULUS / Q. TITTENIUS Q. F. MACER / TESAURUM F. C
(Publio Crastino Paolo figlio di Publio Quinto Tizieno Macro figlio di Quinto Fece fare il tesoro), un tempo utilizzato come sostegno per la mensa dell’altare.
Nel corso dei secoli al primitivo speco si addossarono altri ambienti, con una sequenza temporale non ben chiara.
Negli statuti di Ferentillo del 1563 è riportato che le pene dei Malefizi erano duplicate se il reato era commesso nel territorio abbaziale del colle di San Benedetto al monastero.
Nella visita pastorale di Pietro de Lunel, vescovo di Gaeta, nel 1571, è menzionato l’eremo, così come in quella del 1712 a opera del vescovo di Spoleto, monsignor Carlo Giacinto Lascaris.
Dal resoconto di quest’ultima si apprende che la chiesa era di piccole dimensioni ma di bella struttura, con copertura a botte e pavimento lapideo, un unico altare, due porte, campanile con un’unica campana.
Dopo l’Unità d’Italia Mariano Guardabassi visitò il sito e vi vide “le pitture della cappella potevano giudicarsi del XVII secolo di artista umbro poco valente“.
Anche nella visita del decano del Laterano, Francesco Mattei, datata 1788, si trova la descrizione dell’eremo.
Aspetto
Dopo un lungo periodo di abbandono che lo stava conducendo alla completa rovina ora è ben ristrutturato e adibito ad abitazione privata, non è pertanto accessibile per una visita.
L’eremo si presenta oggi circondato da un muro alto circa due metri, su cui si aprono tre feritoie, una in direzione dell’abbazia e due con vista sul castello di Umbriano.
Si accede al complesso tramite un arco in pietra a tutto sesto.
Sul piazzale si trova una cisterna.
Domina il complesso un imponente campanile a vela a doppio fornice ad arco ribassato, non proporzionato rispetto al resto della struttura, quasi certamente un’aggiunta più tarda rispetto alla stessa.
Le due campane sono di recente costruzione; sulla campana grande, in Fa, si legge la scritta: A.D. 2002 EX OBLIVIONE RESTITUIT LANFRANCUS GENTE AMADIO NATUS IULIANA UXORE ET IULIA FILIA FAVENTIBUS.
Vi è raffigurata l’immagine di San Benedetto.
Sulla campana piccola, in La, si legge la scritta:
A.D. 2002 VOS AD LAETITIAM VOCO IN SPIRITUS SANCTI GLORIA EXULTANS.
Vi è raffigurata l’immagine dello Spirito Santo.
Un arco in pietra, di restauro introduce a un atrio, anch’esso di restauro ma col pavimento a schiazze originario.
Di fronte c’è una porta da accesso a un ambiente di cui si ignora la funzione primitiva e che affaccia sulla parete esterna della grotta eremitica, caratterizzata da una finestrella.
L’ambiente ipogeo mostra evidenti segni di adattamento per usi abitativi, tra cui un giaciglio scavato nella roccia, consta di due cavità unite tra loro da un passaggio arcuato.
Ove era l’accesso originario si trova una porta che reca la data 1587.
Tramite detta porta si accede ad ambienti successivamente addossati alla grotta, tra cui uno con un camino, probabilmente la cucina dell’eremo.
A destra dell’atrio si accede alla piccola chiesa di San Benedetto, ambiente quadrangolare voltato a botte.
Sulla parete d’altare rimangono poche tracce degli affreschi notati dal Guardabassi, decorazioni geometriche che sembrano essere più antiche di quanto ipotizzato dallo studioso.
Sotto l’eremo, in direzione di Spoleto, si trova la piccola chiesa della Santissima Trinità, chiamata dai locali dello Spirito Santo.
Nella visita di Francesco Mattei, datata 1788, la chiesa è descritta come protetta da una cancellata lignea e così la si vede in una pianta d’epoca, conservata presso l’Archivio di Stato di Spoleto.
Non se ne hanno altre informazioni, da quel che resta delle strutture murarie sembrerebbe essere tardo cinquecentesca.
Nota
Foto di Silvio Sorcini, testi di Lanfranco Amadio e Silvio Sorcini
Nota di ringraziamento
Si ringrazia il signor Lanfranco Amadio, proprietario della struttura, che oltre ad avere permesso l’effettuazione e la pubblicazione delle foto ha fornito utile materiale, collaborando attivamente nella stesura del testo.
Fonte fotografica
Una delle foto d’epoca è tratta da:https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/1000009095A
Fonti documentative
E. Borsellino – L’abazia (sic) di San Pietro in Valle presso Ferentillo – Spoleto 1974
L. Fausti – Le Chiese della Diocesi di Spoleto nel XIV secolo secondo un codice del XVI secolo – Archivio per la storia ecclesiastica dell’Umbria, Foligno, 1913
F. Filipponi – La percezione del Sacro – Terni, 2016
L. Gentili – L. Giacchè – B. Ragni – B. Toscano – L’Umbria – Manuali per il territorio – La Valnerina, Il Nursino, Il Casciano – Roma, 1977
Sacra visita di Pietro de Lunel vescovo di Gaeta, 1571, in Biblioteca Comunale di Foligno
Sacra visita di Carlo Giacinto Lascaris vescovo di Spoleto, 1715, in Archivio Storico Diocesano di Spoleto