Chiesa e convento di Santa Maria in Legarano – Casperia (RI)

La chiesa ora è inagibile; il complesso non è solitamente aperto al pubblico.

 

Cenni storici

La chiesa della Natività della Beata Vergine Maria con l’annesso ex monastero si trova nell’antico abitato di Legarano, 3 km a nord del centro urbano.
Costruita forse tra il IV e l’VIII secolo, sui resti di una villa rustica romana del I secolo A.C. e riconsacrata nel 1166, rimase Chiesa Parrocchiale e Collegiata fino al 1409.
Nel 1278, sotto il pontificato di Niccolò III, la comunità di Aspra, l’attuale Casperia si dichiarò soggetta alla Santa Sede entrando successivamente in conflitto con il cardinale Giovanni Bocca allora vescovo di Tuscolo, i cui uomini, nel corso di un’incursione, danneggiarono gravemente la chiesa. Nonostante ciò la chiesa mantenne la sua antica importanza.
Il Registrum omnium ecclesiarum Dioecesis Sabinensis la descriveva nel 1343 come collegiata dotata di 15 cappelle: “Item accessit et visitavit ecclesiam sancte Marie de Legarano de Aspra, in qua instituti sunt tres clerici cum archipresbitero et habet infrascriptas capellas sub se: capellam sancti Iohannis de Aspra in qua instituti sunt tres presbiteri, parrochialem capella sancti Angeli de Castro Iannutii, capellam Sancti Salvatoris de monte, capellam Sancti Consordii, capellam Sancti Viti, capellam Sancti Gervasii, capellam Sancti Angeli, capellam Sancti Iohannis de Marciniano, capellam Sancti Stephani, capellam Sancti Leonardi, capellam Sancti Egidii et Sancte Marie, capellam Sancti Hyppoliti, capellam Sancti Nicolai, capellam sancti Silvestri, in territorio castri Perusini Sancte Restitute“.
Nel 1409, il titolo di collegiata fu trasferito alla chiesa parrocchiale di San Giovanni ad Aspra.
Nel 1530, sotto Clemente VII, il complesso passò agli Eremiti di San Gregorio, detti anche Colombini o Gesuati, fino al 1652, quando la Chiesa diviene Rettoria.
Il convento dei Gesuati fu soppresso da papa Clemente IX nel 1668.
Venti anni più tardi, nel 1686, la chiesa fu restaurata ad opera del Cardinale Carlo Pio di Savoia juniore, Vescovo di Sabina dal 1683 fino alla morte sopravvenuta nel 1689.
Nel 1800-1815 il monastero ospitò membri della Fraternità dell’Abbé Receveur, fuggiti dalla Francia.
Nel 1866 chiesa e monastero furono venduti all’asta; poi acquisiti alla Santa Sede, e da questa affidati a una comunità benedettina fino al 1972.
Il 7 giugno 1917, il consiglio trattò il Restauro alla Chiesa di Santa Maria in Legarano e vendita della cancellata, come risulta da una deliberazione dell’epoca.
L’alienazione della cancellata-transenna fu considerata indispensabile per il suo deterioramento e al contestuale bisogno di risorse per il restauro della chiesa, pesantemente danneggiata dal terremoto del 13 giugno 1915, fu pertanto accettata l’offerta di duemila lire formulata dalla Regia Galleria d’Arte Antica di Roma, a condizione che fosse perennemente scolpita la località di provenienza del bene e la sua epoca.
Il convento è divenuto residenza privata nel 1980, mentre la chiesa, di proprietà comunale e ancora consacrata, ospitava fino a qualche tempo fa la messa domenicale e ricorrenze mariane come i Rosari di Maggio, l’8 settembre e l’8 dicembre, ora è inagibile.
 

Aspetto esterno

Si accede alla chiesa da una lunga scalinata: un ante-portale del 1522 con cornice in pietra, ove si legge la scritta AVE REGINA COELORUM MDXXI e si trova scolpita una piccola Annunciazione, introduce a una secolare siepe di bosso, che termina innanzi al portale della chiesa.
La facciata si struttura in un portico a tre fornici a tutto sesto sorretti da due colonne di ordine tuscanico.
Al piano superiore semplici paraste del medesimo ordine salgono a sorreggere il timpano triangolare: tra di esse tre finestre quadrangolari, di cui la centrale risulta cieca.
Nella lunetta del portale d’accesso alla chiesa, compare l’immagine dell’Annunciazione, probabilmente opera di Bartolomeo Torresani.
A fianco sono affrescate le immagini di San Rocco e San Sebastiano, protettori dalla peste.
Più in basso è murato una parte di Torcolarum romano.
 

Interno

L’interno ha pianta a croce latina, con unica navata, abside a terminazione semicircolare e copertura a capriate lignee.
Due santi dipinti su tavola, rappresentanti San Sebastiano e San Giovanni Battista, occupano gli sportelli laterali del trittico: autore delle tavole è Antoniazzo Romano; è considerata opera di maniera.
Il dipinto di San Sebastiano è interessante dal punto di vista anatomico e del colore.
In una nicchia di modesto spessore della parete sinistra è affrescato lo Sposalizio della Vergine, opera di Alessandro di Lorenzo Torresani.
L’affresco, nell’organizzazione dello spazio, presenta notevoli analogie con il San Pietro Martire realizzato nel 1552 a Rieti da Bartolomeo Torresani.
È simile in particolare l’impianto architettonico à trompe-l’oeïl che finge il prospetto di un altare.
Nella cappella sinistra v’erano due grosse statue in terracotta rappresentano la Vergine in ginocchio e San Giuseppe: più bella la figura della Vergine dalla dolce espressione, di larga fattura e dalle mani accuratamente modellate.
È probabile che le due statue fossero parti “del bellissimo e devoto” presepio, descritto dalle visite pastorali dei cardinali Paleotti e Corsini.
La chiesa conserva l’altare maggiore del XV secolo.
Nella parte centrale di una nicchia era conservata la statua in legno policromo di Santa Maria Leva Pene, opera firmata da Carlo dall’Aquila, dell’anno 1489, ora non più in sito.
Sull’altare, v’era un ciborio della fine del Quattrocento, che aveva nella porticina la figura ad alto rilievo di San Giovanni Battista.
Sulla calotta absidale è affrescato un Cristo benedicente, nel tamburo sono due affreschi raffiguranti la Madonna in trono col Bambino della metà del XV secolo.
La chiesa possedeva una bellissima transenna in legno, come detto fu asportata e tenuta in consegna dal Ministero della Educazione Nazionale.
Un’epigrafe, sul pavimento della chiesa, dinanzi all’altare maggiore, ricorda il sacerdote professore di Teologia fra Giovanni Battista De Filippis di Monterotondo.
Nell’ala nord prende luce dal portico l’ex oratorio, con volta a botte alta sette metri, interamente affrescato con il “Giudizio Universale“, opera di Bartolomeo Torresani, probabilmente in collaborazione col nipote Alessandro, del 1560.
Il 18 marzo di quello stesso anno fu reso noto il testamento del cittadino di Aspra Francesco Massari di Aspra, già tesoriere generale dello Stato della Chiesa durante il pontificato di Giulio II e ancora nel brevissimo pontificato di Marcello II, egli lasciava l’ingente cifra di duecento scudi a favore della chiesa di Santa Maria di Legarano.
Il lascito fu destinato alla decorazione della cappella che si apre sotto il portico della chiesa.
Il 5 maggio fu stipulato l’atto con il quale l’arciprete Giacomo Tomassoli e i santesi Lello Colalello e Leonardo Zezze affidavano a Bartolomeo Torresani la realizzazione di un Giudizio Universale analogo all’opera dell’oratorio di San Pietro Martire a Rieti, evidentemente nota e apprezzata dai committenti.
L’artista s’impegnava a realizzare l’opera entro un anno a partire dal 15 giugno successivo; l’anno di avvio dei lavori è registrato, in cifre arabiche, in una delle grottesche del sottarco sinistro, l’iscrizione apposta in basso a sinistra della parete di fondo attesta che l’impresa fu compiuta in soli sette mesi, riportando la data A.D. MCCCCCLXI DIE XIIII IANUARII.
L’opera fu ispezionata da un ignoto pittore di fiducia dei committenti e giudicata conforme al contratto.
Il 12 luglio 1561, Bartolomeo Torresani riceveva pertanto la somma pattuita da parte degli eredi di Francesco Massari, i fratelli Emilio, Giorgio e Benedetto Massari suoi nipoti.
Il Giudizio Universale replicava il capolavoro reatino nell’impostazione generale, ma adattando le scene agli spazi della cappella, voltata a botte, e, probabilmente, alle richieste dei committenti.
L’arco trionfale, con le sue grottesche su fondo ocra, mostra il consueto apparato di candelabre, sfingi, elementi araldici, ovali con agili figurette e delicati paesaggi, introduce allo spazio affrescato dell’oratorio, concepito come un’autentica galleria di personaggi e concluso dalla parete di fondo sulla quale si svolge la scena del Giudizio.
La parete di fondo è dedicata alla scena cruciale del Giudizio e della resurrezione della carne.
Sotto la chiave di volta, sostenuta da un ricco festone vegetale, è raffigurato il mandylion, l’immagine acheropita del volto di Cristo.
Nella parte superiore, al centro, compare San Disma, il buon ladrone, che sorregge la croce, a destra e a sinistra ci sono Santi dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Vi si riconoscono, tra i tanti Santa Barbara con la torre, Sant’Ansano con in mano la trachea, Santo Stefano vestito da diacono, San Lorenzo con la graticola in mano.
Al registro inferiore, divisi da una sottile linea di nubi compaiono i beati che risorgono e risalgono verso il paradiso, aiutati dai santi soprastanti.
La parte inferiore dell’affresco è molto rovinata e quindi poco leggibile.
Sulla volta a sinistra sono dipinti sul registro superiore i Patriarchi ed i Profeti dell’Antico Testamento.
Tra i personaggi biblici si riconosce Giuditta, l’eroina liberatrice della città di Betania, che compiaciuta si appoggia alla spada insanguinata mentre con la mano sinistra impugna per la chioma la testa del comandante assiro Oloferne appena spiccata dal busto, un re, forse Salomone, Mosè, mutilo della parte superiore, vestito di giallo e di verde, raffigurato nella posa plastica ispirata dalla statua michelangiolesca di San Pietro in Vincoli.
Nel registro inferiore angeli musicanti e, ancora sotto, le anime elette alla gloria del paradiso, tra cui si riconosce Adamo vestito solo da una foglia di fico, e alle sue spalle Eva, vergognosa, turbata per la sua nudità.
Nella curvatura delle pareti che prelude alla volta sono dipinti angeli musicanti.
Al centro della volta, campeggia la possente immagine del Cristo risorto assiso su un trono di nubi, il busto scoperto, la mano destra levata in atto benedicente, i segni dei chiodi e la ferita del costato.
Accanto a lui, la Vergine Maria e San Giovanni Battista.
Sopra di loro la colomba dello Spirito Santo, avvolge di luce le tre figure, cui fanno da scorta celeste le testine dei serafini che si mostrano ridenti tra le bianche nuvole e una coppia di angeli dalle vesti cangianti con gli strumenti della Passione.
Nella parete destra, al registro superiore, prosegue la schiera dei Santi: vi si riconoscono San Giovanni evangelista col calice, San Paolo con la spada, San Pietro con le chiavi, Sant’Agostino, il cui colorito olivastro palesa l’origine nordafricana, ritratto mentre è impegnato nella stesura del De Civitate Dei.
In basso separati dalla solita linea di nubi i dannati che precipitano, cadono, trascinati all’inferno con i demoni che li tirano, li pungono e li maltrattano.
Si notano evidenti citazioni michelangiolesche.
La diversa disposizione dei personaggi che affollano la scena rispetto al Giudizio Universale dell’oratorio reatino della Confraternita di San Pietro Martire dipende essenzialmente dalla struttura architettonica della cappella, più ridotta nelle dimensioni e voltata a botte.
Angelo Sacchetti Sassetti giudicava l’esecuzione del Giudizio di Aspra “piuttosto grossolana e trasandata“.
In effetti solo le pitture della volta, ben conservate, hanno ancora l’antica grazia e vivacità di Bartolomeo Torresani, le rimanenti, quasi completamente svanite per l’umidità e per l’incuria degli uomini presentano un aspetto dimesso.
La decadenza artistica si spiega non solo con l’età avanzata di Bartolomeo, ma anche per il tempo ridotto con cui fu eseguita l’opera e con l’evidente apporto dei meno dotati nipoti Alessandro e Pierfrancesco.
Il giudizio critico è però troppo pesante, talune figure appaiono armoniose, ben disegnate e dipinte con cura, l’effetto della grandiosa composizione è nel complesso piacevole.
Al primo piano, dove erano le celle dei monaci, si trovano oggi i locali privati del proprietario, un balconcino affaccia sull’interno chiesa.
Gli edifici sorgono in un parco di 10.000 m2, in cui coesistono armoniosamente stili diversi di giardino: “all’italiana“, “romantico” e “romantico di rovine“, con piacevoli incontri di rare specie volatili e con resti romani: murature in opus reticulatum, pavimentazioni in opus spicatum, l’antica cisterna divenuta giardino di agrumi e le grandi pietre del frantoio.
 

Nota di ringraziamento

Si ringrazia il gentilissimo proprietario conte Antonello Aluffi Pentini per la sua cortesia, disponibilità e per le interessanti spiegazioni.
Il complesso non è solitamente aperto al pubblico.
 

Fonti documentative

A. Maoli, Lorenzo e Bartolomeo Torresani – Tra l’Umbria e la Sabina – Rieti 2020
A. Sacchetti Sassetti – Lorenzo e Bartolomeo Torresani: pittori del secolo XVI – Roma 1932.
 

Nota

La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
 

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Mappa

Link alle coordinate: 42.354852382117045, 12.674943948501861

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