Chiesa di Santo Stefano di Pino – Petrelle di Città di Castello (PG)

La chiesa è di proprietà privata e dalla sua posizione e dalla sua titolazione si può supporre che sia di origine bizantina; di fatto da qui si gode un panorama unico che abbraccia un quarto di Umbria.

 

Cenni Storici

La piccola chiesa si inserisce in un nucleo composto da poche abitazioni situate in posizione leggermente rialzata, lungo la strada che congiunge le frazioni di Morra e Petrelle; si trova nella parte alta e lungo il pendio del monte di Pino, la sua origine è molto remota anche se la sua struttura e ciò che la circonda ha subito nei secoli profonde trasformazioni, sia per i cambi di viabilità e necessità sia per il graduale e progressivo spopolamento che ha subito la montagna in generale e non solo questa della Valle del Minima.
Innanzi tutto bisogna fare un’analisi della struttura storica della valle che durante l’insediamento romano qui aveva una viabilità molto importante che conduceva nell’area toscana.
Il territorio in questione si trova ai margini della principale via di comunicazione costituita dalla valle del Tevere che per sua conformazione assorbe numerosi fiumi sia destra che a sinistra del suo percorso; questi si snodano a “Lisca di pesce” e costituiscono importanti nodi di viabilità secondaria che riescono a mettere in comunicazione il Tirreno con l’Adriatico in quanto il Tevere e la sua valle si trovano in posizione centrale rispetto alla catena appenninica; questa sua posizione funge da nodo cruciale di collegamento tra viabilità secondarie che interagiscono tra di loro per costruire una rete complessa di strade alternative e adatte a vari tipi merci e mezzi di trasporto.
E’ proprio attraverso questa valle secondaria che i romani costruirono a loro cosiddetta “Basolata“, strada ancora in parte leggibile che congiungeva l’Umbria ad Arezzo.
Questa possibile strada alternativa è stata da sempre nodo importante per la storia dell’uomo tanto che persino nella ritirata tedesca della seconda guerra mondiale divenne una linea cruciale di scontri con le forze alleate.
Alla caduta dell’Impero romano, quest’area fu interessata dal famoso “Corridoio bizantino” che portava alla città di Ravenna evitando le aree di influenza longobarda e che abbracciavano gran parte dell’Italia centrale; flebile però era la linea di confine in quanto in gran parte del suo sviluppo troviamo presenze Longobarde e Bizantine che si fronteggiano e che si trovano a poche centinaia di metri l’una dall’altra.
Le chiese, più che essere edifici di culto risultavano delle vere e proprie marcature del territorio, e questo lo si può ancora leggere attraverso le titolazioni delle stesse, certo però è che dopo l’occupazione longobarda fino alla sponda destra del Tevere che costrinse i Bizantini al ritiro nella sponda sinistra ed in particolare nella roccaforte di Fratta, alcuni edifici passarono di mano pur mantenendo le originarie titolazioni.
Santo Stefano di Pino era tipicamente bizantina per titolazione e la sua posizione ci fa riflettere sul controllo del territorio e della valle, considerando poi che a differenza di oggi la popolazione del tempo era molto consistente; quindi questa chiesa, ora ridotta a piccolo edificio un tempo doveva costituire un punto di riferimento importante per una comunità molto consistente.
La sua posizione risulta fortemente strategica in quanto da quella posizione si controlla sia la valle del Minima, sia la valle del Tevere dall’altra parte, è facile quindi pensare che oltre alla chiesa e ad una comunità ci sia stato un avamposto militare dedito al controllo della viabilità.
Nel tardo medioevo c’è stato lo sviluppo delle famiglie nobili di Città di Castello che hanno cercato in tutti i modi di espandere la loro sfera di influenza e l’appropriazione dei luoghi di culto rappresentò una via arricchimento.
Notiamo infatti dagli scritti dello storico Muzi che dal tempo di Giulio Vescovo eletto forse per favorire la sua Casa Vitelli si cominciano a vedere conferite Chiese di giuspatronato Vitelli, e sono le Chiese di S. Zeno a Poggio, la Pieve di Canoscio, le Chiese de Ss. Vito e Modesto di Val di Petrina, e di S. Ilario di Quarata, che poi sono passate parte alla famiglia Bufalini, parte a quella Berioli.
In quest’elenco non troviamo scritto specificatamente Santo Stefano di Pino, ma se andiamo a spulciare i documenti lo troviamo assoggettato alla Pieve di S. Ilario di Quarata, quindi il suo passaggio sotto la famiglia dei Vitelli e scontato; infatti a conferma di ciò nella campana della Chiesa di S. Stefano del Pino annessa a quella di S. Ilario di Quarata si legge l’iscrizione “Marchesa Girolama Bandini Vitelli 1664“.
Sempre secondo lo storico di riferimento, le chiese surriferite o con cura, o senza cura d’anime erano molto numerose per la presenza dei relativi castelli, fortilizi e palazzi di difesa diffusi nelle ville, che contavano un’alta popolazione rispetto al presente.
Le guerre frequentissime, i tagli delle folte macchie, che hanno dilavato i terreni, ed in fine la distruzione di ogni castello armato hanno fatto sì, che le chiese o rovinassero, o fossero unite ad altre e questo spiegherebbe la consistente diminuzione.
Per avere un quadro della vita più o meno recente della chiesa dobbiamo ricorrere alle Visite pastorali quindi parliamo del XVIII secolo che ci danno un quadro generale dell’aspetto e della struttura dell’edificio religioso.
Una prima Visita ci descrive la chiesa nella sua struttura architettonica con una “lunghezza è piedi 35, larghezza 24, altezza 26”, con il tetto in pianelle e nel pavimento, come da consuetudine vi erano lastre sepolcrali“.
Il campanile fatto di pietra e mattoni e calcina, di altezza piedi 6 ,con sua campana alta piedi 1 e mezzo larga un piede e un quarto. La porta è al mezzogiorno. Dentro la chiesa dalla parte orientale sta eretto l’altare.
L’altare è dedicato a Santo Stefano lungo tre piedi e mezzo e largo due, alto tre, con suo gradino e pietra sacra
“.
Nel documento, relativo ad una visita pastorale del al 1826, si legge: “…Don Benigno Tommasini mandato dal Vescovo a Santo Stefano di Pino, annesso a Sant’Ilario di Quarata, …trovò che il detto altare mancava di ogni cosa, anche la pietra sacra, il tetto era restaurato mentre il resto necessitava ancora di restauro…” e ancora, da una perizia dei lavori da fare a Pino nel 1846, si legge: “… L’altare in legno tutto consumato dal tempo e dal tarlo necessita di essere nuovamente fatto.”
La stessa perizia invitava altresì a fare una struttura in muratura fornita di paliotto e di ciborio; questa opera però non venne mai realizzata.
Da un inventario del 30 giugno 1921 scritto da don Pasquale Monticelli:
La chiesa di Pino, annessa alla parrocchia di Sant’Ilario: chiesina in buone condizioni statiche. Il cavallo del tetto, verso l’altare, copre metà dell’affresco. L’affresco nel fondo è discreto. Vi è un incensiere bello del 1400“.
 

Aspetto esterno

In assenza di notizie storiche esaustive, si può ipotizzare che l’impianto originario risalga alla metà del XIII secolo.
La piccola chiesa, interna al suddetto agglomerato, è orientata ad est secondo il sorgere del sole (solstizio).
L’edificio attualmente si presenta in semplici forme con un unico portale che riecheggia forme gotiche.
Sopra questo, in una pietra più grande rispetto alle altre, è scolpita una croce patente che ricorda quelle utilizzate dall’ordine dei templari.
La facciata della chiesa è stata realizzata con conci di pietra arenaria grandi e regolari diversi rispetto alle pietre che compongono le altre pareti, più piccoli ed irregolari sia nella forma che nella disposizione.
Su una pietra della parete della facciata, a sinistra dell’ingresso, si trova scolpito un animale dalle linee molto elementari, forse un cane; una leggenda del luogo narra infatti che fu proprio un cane a volere che la chiesa sorgesse in quel luogo, infatti si narra che un cane rubasse il pranzo a dei muratori e lo lasciasse in quel luogo come a dire qui dovete edificare un luogo di culto, come poi è avvenuto.
Di fatto il reperto è di origine alto medievale e la figura del cane nella cultura bizantina, ma soprattutto in quella longobarda assume spesso una valenza simbolica legata alla fiducia e alla protezione, ricorre continuamente come custode e protettore ed era associato a figure di rispetto ed elevato grado sociale quindi non è escluso che la pietra sia appartenuta ad una sepoltura trovata nella zona e poi murata nell’edificio.
Il campanile a vela si eleva in facciata sul colmo dell’edificio in asse con la porta.
 

Interno

Internamente la chiesa si presenta con soffitto a capriate, aula quadrata ad un’unica navata e presbiterio leggermente rialzato di un gradino; qui si trova l’altare maggiore, in muratura e stucco con mensa in pietra, risalente con molta probabilità al XIX secolo.
Tutte le pareti interne alla chiesa sono tinteggiate di color chiaro e non presentano decorazioni ad eccezione di quella dietro l’altare maggiore su cui, al centro, è rappresentata una Crocefissione con Santi.
E’ un affresco databile tra il XIV e il XV secolo riquadrato da una elementare cornice dipinta a tempera.
Vi è rappresentato il Cristo crocifisso con ai lati l’immagine della Vergine e di Santo Stefano.
La Vergine, in veste rossa e manto damascato, è rappresentata con mani giunte e dita incrociate mentre Santo Stefano presenta i suoi classici simboli iconografici: il libro, la palma del martirio e sul capo una pietra che ne rievoca la lapidazione.
Al centro il Crocifisso è ritratto con le braccia tese sulla croce con chiodi e schizzi di sangue; le gambe si incrociano sui due piedi trafitti da un solo chiodo ed il capo, reclinato sulla spalla, è coronato di spine e con gli occhi chiusi.
Ai piedi della croce è rappresentato un teschio con tibie incrociate che ricorda l’interpretazione di Cristo come nuovo Adamo che conduce l’umanità a nuova vita.
In seguito alle ultime opere di restauro, sempre nella parete d’altare, sono tornati alla luce altri due dipinti, che si affiancano a quello centrale; a sinistra vi è raffigurato un Sant’Antonio abate nella sua tradizionale iconografia con ai piedi il maialino, il bastone e il libro in mano.
Alla destra del dipinto centrale un’altra Crocifissione con la Madonna, la Maddalena ai piedi della croce e un’altra figura a destra irriconoscibile per il grave stato di deterioramento, ma si può supporre sia San Giovanni.
Tutti e due i dipinti di recente restauro sono da catalogarsi della stessa epoca del dipinto centrale superstite e databili anch’essi tra il XIV e il XV secolo.
 

Nota di ringraziamento

Ringrazio Luigi Castori che pazientemente mi ha accompagnato nella visita del bene; altresì ringrazio l’ing. Enrico Tognaccioli proprietario per avermi fornito del materiale informativo nonché le foto degli interni.
 

Fonti documentative

Polo Tecnico “Franchetti-Salviani” di Città di Castello – La Pieve Antica di San Gregorio e le Origini di Montone
Giovanni Muzi – Memorie ecclesiastiche e civili di Città di Castello – 1842
Dr.ssa Lucia Gustinelli – Relazione sulla chiesa di Santo Stefano di Pino – 2018
 

Mappa

Link alle coordinate: 43.362406 12.155635

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